Ragusa - Uno sgargiante San Paolo ci accoglie all’ingresso e, accanto a lui, un San Giorgio in bianco e nero prende il posto tradizionalmente occupato da San Pietro. La mostra si presenta così, accogliendo chi entra con le sue due anime, una strutturata da tasselli di colori aspri, l’altra da soffici ombre della grafite. Posizioni, formati e tecniche diverse dividono la mostra in tre blocchi.
Lo sguardo scende dall’alto verso il basso, seguendo panneggi e forme costruite e strutturate dal colore, nei quattro bozzetti esposti, dedicati a due miracoli. Come sostenute dalle stecche di un ventaglio, le sfumature si schiudono rigide dando volume e solidità a queste statuine dai netti profili e dagli occhi chiusi, mutandole quasi in icone bizantine, muti e assorti sacerdoti di un rito solenne. L’acquerello, la tecnica delicata e sfumata per eccellenza, qui prende corpo dando struttura a questi personaggi ingabbiati in rigide forme geometriche. Non sorprende che l’autore abbia realizzato la stessa opera anche con una tecnica tagliente come l’acquaforte, ribadendo con la linea spietatamente affilata il carattere ieratico e astratto dei personaggi.
Totalmente di segno opposto i tre grandi soggetti a tecnica mista, dai colori densi, materici e corposi. Il Sant’Antonio deve molto a tutta la tradizione rinascimentale italiana, con la struttura piramidale tipica delle Madonne con Bambino, e allo stesso tempo al manierismo toscano e al Pontormo per il sinuoso scivolare di forme e colori nonché per le acidule tonalità. Proprio accanto, il San Paolo disarcionato in cielo, quasi una Medea caduta giù dal carro del Sole, al contrario sembra evocare suggestioni dal sapor espressionista, orchestrate da onirici quanto improbabili cavalli rosa e burattini blu. Chiude il gustoso terzetto una Santa Teresa, la cui estasi mozza, è proprio il caso di dirlo, il respiro. La freccia che l’angelo di Bernini scagliava contro la santa, lì abbandonata qui invece fin troppo composta, ora si è magistralmente tramutato in bacio, in turbine di vento e serafini. Ed è proprio uno di loro che, baciando una Teresa dalla mente annebbiata ed ebbra di questo afflato cosmico, le soffia nel corpo e nell’anima lo spirito divino e la fa entrare in estasi.
Infine, la grafite tradisce la linea per darsi a effetti pittorici. Il San Giovanni, solo in uno spazio fatto di niente, con soltanto la sua ombra a tenerlo legato alla terra, ieratico, con quello sguardo tagliente e appuntito come il dito che punta verso l’alto, rinascimentale quanto celebre citazione, inchioda e costringe a guardarlo, s’impone. Seguono varie versioni del San Giorgio, di cui non a caso Robustelli ci mostra con più esempi una chiara evoluzione, e un disarmante San Francesco. Il santo che predica agli uccelli ci spiazza totalmente perché non è né giovane né bello, tutt’altro che il sorridente e solare beniamino dei bambini! Quasi uccello lui stesso, compie un gesto imperioso e scattante proprio come il battito d’ali dei suoi ascoltatori, con una mossa talmente incisiva da lasciare una scia che quasi lo racchiude, esattamente come, lì accanto, la schioccante frustata della coda del drago qui non ancora annientato da San Giorgio. Di fronte ai due santi il contraltare femminile è affidato a due amatissime patrone siciliane: Lucia e Agata, coi tradizionali segni del martirio, la prima composta, matrona e sibilla, l’altra sciolta dal dolore, moderna Maddalena. E poi il gran finale: i due monumentali disegni (e sembra quasi un ossimoro tanto è raro trovare la matita a sbizzarrirsi su superfici così vaste) . Qui Robustelli si scatena in un divertente quanto profondo duetto: il cavaliere e la dama, la potenza irruente contro la dolcezza del sonno, lo slancio del galoppo contro la stasi onirica, lo sguardo bruciante contro il sorriso soave. Il primo annulla un drago, ormai visibile appena, e in posa imperiale rivendica la vittoria mentre la santa, sensuale e carnale Ofelia, si abbandona alla piacevolezza della quiete, sorvegliata e ammirata dal cane e dal teschio, paradossalmente attento guardiano. Il disegno sembra tracciato dal fumo della lucerna, tanto viene sfumato e prende forma diradandosi sotto i nostri occhi che avvertono quasi una vertigine a voltarsi verso quel turbine di linee futuriste che ci farebbero guizzare avanti il soldato in un baleno se non fosse per il suo sguardo pietrificante. Uno sguardo imperioso e intenso come l’ultima eroina di questa mostra: Edith Stein, santa anche lei ma qui in veste di filosofa, come ci suggerisce l’autore scegliendone il nome laico, in un cammeo troppo grande per lei, severa, immobile, granitica, così potente anche se così rigidamente bloccata nella sua corazza cilindrica intrecciata di fili d’acciaio, non troppo diversi da quelli della sua mente.
La mostra Anime Sante di Giovanni Robustelli , curata da Andrea Guastella e organizzata dall'Ass. culturale Aurea Phoenix, sarà visitabile fino al 10 gennaio.