Scicli - Gentilissimo Antonio Sarnari,
l'attività del vedere è molto diversa da quella del guardare e dovrebbe ben saperlo Lei cresciuto a Pane e Arte. La prima riguarda non solamente l'utilizzo dello sguardo, che potrebbe benissimo essere fisso su un oggetto senza vederlo, ma la comprensione totale, l'immersione in ciò che si sta guardando. Il guardare è un'occupazione molto meno completa, meno emozionante, meno vibrante (per riprendere una sua parola) del vedere.
Conoscere vuol dire, anche, riconoscere ovvero poter verificare direttamente quello che magari si è studiato sui libri o nel quale ci si è imbattuti nella propria esperienza: le assicuro che ci si emoziona molto di più quando si ri-conosce piuttosto che quando, in un libro o in un museo “si guardano solo le figure”, personalmente ho smesso di farlo fin dall'ingresso in prima elementare.
L'arte, per chi vuole vederla non solo guardarla, è soprattutto scatole cinesi temporali, rimandi, connessioni, influenze, date, certezze (quando si ha la fortuna di possederle): qualità che non escludono l'emozione, anzi, a mio parere la amplificano, rendono l'opera più cara, più familiare, capace di raccontare una storia vera. Al Louvre ci viene data attestazione, documentazione e attendibilità di ogni opera o reperto senza che queste informazioni ci possano far risalire all'individualità di generici “collezionisti privati”. Alla Galleria (è ancora in voga come termine?) Quam di Scicli, succursale del più famoso museo parigino, della storia che una singola opera di Claude Monet poteva raccontarci ci sono state regalate le briciole. L'opera ospite doveva essere protagonista è stata invece messa all'angolo, da sola, per privilegiare l'atmosfera, l'informalità, la fruizione “impressionista” (fugace, spensierata, che tende a dissolversi).
Ho scritto il resoconto della mia serata con Monet mettendo in tavola le informazioni ricevute nel corso della cena, quelle lette successivamente sui giornali e riportate da me con un virgolettato (dimenticando che è da mesi che tutto quello che succede in città di sbagliato è colpa dei giornalisti!) - informazioni alle quali lei aggiunge nella lettera un tra parentesi mai riportato dall'Ufficio Stampa con cui lavora - e condividendo quelle che fanno parte del mio bagaglio personale; immaginavo un confronto costruttivo, un dialogo che potesse essere stimolante apportando i pezzi mancanti di un bellissimo puzzle non di un arido expertise. Ho scritto il mio intervento pesando ogni parola, misurando ogni “dettaglio” per non colpire, nella richiesta di informazioni, elementi, chiarimenti, le persone che hanno lavorato egregiamente all'organizzazione dell'evento in galleria.
Ha detto che non è tenuto a fornire informazioni per accordi con il collezionista; se vado a Palazzo Reale (dal Louvre mi hanno già fatto accomodare fuori) per una esposizione temporanea di un artista famoso e trovo un'opera senza titolo, senza data, senza pannello esplicativo e chiedo ad una guida “Domando scusa, saprebbe dirmi qualcosa su questa tela?” sono sicura che non risponderebbe: “Non sono tenuta a farle sapere niente, se il quadro la emoziona lo guardi, altrimenti si accomodi fuori”. Insomma, per farla breve sarebbe interessante e intellettualmente onesto farci sapere se l'opera ospite della cena fa parte di un catalogo ragionato dell'artista ad esempio e se sì quale? Per quale nobile veneziano è stata dipinta e in quale occasione ad esempio? Se proprio non deve trapelare nulla basterebbe anche solo la data, elemento tutto sommato semplice da reperire qualora si tenga conto di tutta la serie di informazioni da non divulgare.
Infine, e la saluto, volevo sottolineare che i toni, la sostanza e la forma del mio primo intervento e della sua lettera sono molto diversi tra loro, non c'è bisogno di scomodare alcun perito d'arte per capirlo.