Comiso - Non so se vi è mai capitato di trascorrere una piacevolissima serata, dal punto di vista della compagnia e della location, ma di esservi trovati per caso in ristoranti da incubo. A noi si. Siamo a Comiso, una delle cittadine più belle dell’intera provincia. Sottovalutata da molte, troppe persone, Comiso in realtà è una città vivissima, con un centro storico di notevole impatto culturale e piuttosto curato. Comiso, insomma, non è solo “la città dell’aeroporto”, ma un centro in cui è piacevole trascorrere un sabato sera. Il centro storico è ricco di locali e molta gente lo sceglie come location anche soltanto per bere un drink e fare una passeggiata, essendo stato trasformato ormai da diversi anni in isola pedonale. Fin qui, tutto bene: siamo in sette e il nostro sabato sera procede. Abbiamo deciso di mangiare una pizza, un classico dei classici. Usciamo un po’ tardi e ci rendiamo conto di dover mettere in conto un po’ di attesa, ci mancherebbe. Decidiamo di chiamare un ristorante del centro storico: sono le 21.30. La persona che ci risponde all’altro capo del telefono, ci dice che è disponibile a prendere una prenotazione, ma può farci accomodare in terrazza. Noi accettiamo.
Arriviamo, dopo un quarto d’ora: alle 21.45 siamo lì e ci fanno accomodare quasi subito. Ci sentiamo davvero fortunati: il personale, infatti, pur avendo il locale strapieno, ci accompagna in terrazza dove è stato apparecchiato il nostro tavolo. La vista è stupenda e ci portano subito al tavolo le bibite e gli stuzzichini, per ingannare l’attesa. Una cameriera molto gentile prende quasi subito la nostra ordinazione. Sono circa le 22.15. Al tavolo si chiacchiera, ci si scambiano battute e si ride. Passa la prima ora. Alle 11.30 circa, iniziamo a preoccuparci: la fame si fa sentire e una nostra amica scende in reception per chiedere informazioni: “le pizze sono nel forno”, ci assicurano. Ok, un po’ di attesa il sabato sera ci sta, è normale. Ci saranno duecento persone, in fondo abbiamo prenotato tardi. Ma alle 00.10 ci rendiamo conto che è davvero troppo tardi: sono passate due ore dalla nostra ordinazione. Altri due di noi scendono in reception per chiedere nuovamente informazioni: “Le pizze sono in forno, davvero”. Cominciamo a capire che c’è qualcosa che non va.
Che siano andati a mietere il grano per la farina dei panetti? Dovevano raccogliere anche i pomodori per la salsa? Un’attesa di due ore per sette pizze è veramente troppo. Alle 12.30 delle pizze “mancu u sciauru” e allora decidiamo di andare via. Andiamo in reception e chiediamo di annullare l’ordine. Ce ne andiamo. I proprietari prima cercano di dissuaderci, dicendoci che “le pizze sono nel piatto, le stanno già facendo salire in terrazza”, ma a questo punto noi non crediamo più a chi per due volte ci ha dato una falsa informazione. Qualcun altro, ci dice che dobbiamo comprendere che il locale ospita circa 200 persone. Molto rispettosamente, un nostro amico fa notare che loro sono professionisti della ristorazione ed è loro compito saper gestire 200 coperti il sabato sera. Per tutta risposta, ci viene detto di andarcene “in posti con 20 coperti, non lì”. Restiamo abbastanza scioccati dalla risposta. Poi, ci viene detto che per il nostro consumo (acqua, birra, coperto, due porzioni di patatine fritte), paghiamo 20 euro. E noi, paghiamo e andiamo via.
Molte cose si potrebbero dire su questa serata, ma la prima domanda sorge davvero spontanea, è quasi obbligatoria: si trattano così i clienti? Ma soprattutto, vengono trattati così anche i possibili turisti che arrivano a Comiso e magari desiderano cenare in un delizioso locale in centro? L’altra domanda è questa: perché prendere le prenotazioni se non si è in grado di gestirle? Bastava dire di essere al completo, si cercava altrove. Ultima questione: non solo siamo dovuti andare via dopo aver aspettato due ore e mezza seduti al tavolo, ma è giusto insultare così i clienti che tutto volevano, tranne che passare una serata del genere? Usciamo e siamo arrabbiati, sconsolati e affamati: che cosa fare? Ci ricordiamo che sempre in centro c’è un’arancineria molto famosa che si chiama, “Cantunera”.
Il personale sta pulendo il locale, ma noi decidiamo di fare lo stesso un tentativo. La ragazza ci dice che la cucina è chiusa, ma ha compreso la nostra situazione e non ha nessun problema a riaprire solo per noi. Ed è così che un’arancina ci ha salvato la serata. Poco dopo, arriva anche il proprietario, Sandro Pace. E le arancine della Cantunera non deludono mai: croccanti all’esterno, aromatiche di zafferano all’interno e un ripieno adatto a tutti i gusti: al ragù, al pistacchio, alla boscaiola, al curry e pollo, allo speak e mele…il menù è piuttosto ampio e vario. La location, di per sé, è già particolare: all’incrocio tra cinque vie, ha numerosi tavolini all’aperto, tutti in legno, e un locale estremamente curato. Sandro, non propone la classica arancina rivisitata.
Il suo, è un viaggio nel gusto e nella gastronomica a chilometro zero. Il negozio è pieno di eccellenze culinarie del nostro territorio come olio dop di Chiaramonte e della sottozona Gulfi, birre artigianali, cioccolato di Modica Sabadì, bibite gassate bio Tomarchio, conserve Sallemi. Nel suo locale, nulla è lasciato al caso e si mangia solo territorio ragusano dop. E le sue arancine sono davvero un trionfo di semplicità e di ricercatezza allo stesso tempo. In una sola serata abbiamo visto il disastro di chi si improvvisa alla cucina e di chi invece ha fatto del food una vocazione, oltre ad una professione. Alla fine lo ringraziamo davvero di cuore. Lui, è il nostro eroe.