Non era mai accaduto che il candidato sconfitto in un conclave diventasse Papa nel conclave successivo.
Ed è un fatto che Jorge Mario Bergoglio, al termine del conclave del 2013, che lo elesse Papa, esclamò, rivolgendosi ai fratelli cardinali: “Dio vi perdoni”.
Ma come si arriva, attraverso due diverse missae pro eligendo romano pontefice, a Bergoglio?
Tutto inizia nell'aprile 2005, quando i due giganti, Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e il cardinale argentino di origini piemontesi, si confrontano nell'urna.
Prima sorpresa. Il competitor di Ratzinger non è -come annunciato dai giornali di tutto il mondo- Carlo Maria Martini, malato di parkinson, padre della chiesa “di sinistra”, che dopo più di vent'anni aveva lasciato l'Arcidiocesi di Milano e scelto Gerusalemme come "meta definitiva di un cammino".
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I cardinali che temevano la candidatura Ratzinger avevano fatto blocco sull’argentino, nel tentativo di impedire che si raggiungesse la maggioranza minima per l’elezione, in modo da obbligare tutti alla ricerca di candidati diversi. Il quorum per l'elezione era 77 voti, su un totale di 115 partecipanti.
Nella prima votazione Ratzinger ricevette 47 voti, Bergoglio 10 preferenze, Martini 9, Ruini 6, Sodano 4, Maradiaga con 3 e Tettamanzi con 2. Martini non partecipava alla “corsa”, e il suo nome era solo di bandiera per coagulare i consensi degli oppositori di Ratzinger.
E inferiori alle stime furono proprio le preferenze raccolte dal cardinal Martini.
La vera sorpresa del primo scrutinio fu invece il cardinal Jorge Mario Bergoglio. Quali erano le sue qualità? Gesuita come Martini, uomo di Dio, sicuro sul piano dottrinale, aperto su quello sociale, insofferente sul piano pastorale verso la rigidezza mostrata da Wojtyla sui temi d'etica sessuale. In mancanza di un vero candidato di "sinistra", Bergoglio diventò l'uomo di riferimento per l'intero gruppo dei cardinali più riluttanti a votare il decano del sacro collegio.
Nella seconda votazione Ratzinger salì a 65, e Bergoglio calamitò anche i voti di Martini, e altri, giungendo a quota 35. Martini e Ruini si dissanguarono restando a zero voti, facendo votare rispettivamente Bergoglio e Ratzinger, Sodano totalizzò 4 voti, Tettamanzi 2. A Ratzinger mancavano 12 voti per raggiungere il quorum dei 77. A Bergoglio ne mancavano 4 per arrestare l'ascesa del competitor, con la fatidica soglia dei 40 voti.
I sostenitori di Ratzinger si concentrarono sul vasto blocco degli incerti: oltre una trentina le preferenze disperse. Gli amici del cardinale Ruini fecero sapere che i loro sei voti si sarebbero riversati sul cardinale decano. Sul fronte opposto, prevalse l'orientamento a fare blocco su Bergoglio. Anche i cardinali che avevano votato Martini si convinsero a puntare sull'arcivescovo di Buenos Aires. Sarebbe stato il primo papa latinoamericano della storia, e sicuramente almeno una parte dei 20 cardinali provenienti dall'America latina lo avrebbe sostenuto.
L'obiettivo dello schieramento di minoranza che intendeva sostenere Bergoglio era di creare una situazione di stallo, che portasse al ritiro della candidatura Ratzinger. In termini concreti centrare tale obiettivo significava sfondare il muro delle 39 preferenze. Ovvero un terzo più uno dei voti. In modo da rendere matematicamente impossibile, al candidato più forte, di raggiungere i 77 voti.
Nella terza votazione Ratzinger arrivò a 72, Bergoglio a 40. Era lo stallo virtuale. Bergoglio avrebbe bloccato l'ascesa al soglio di Pietro di Joseph, obbligando tutti alla ricerca di un terzo candidato.
Ma a quarto scrutinio Bergoglio chiese in lacrime di essere esonerato dal proseguire, Ratzinger raggiunse 84 voti, Bergoglio raccolse 26 preferenze, e Ratzinger fu eletto Papa con 84 voti su 115.
Passano otto anni, dopo la rinuncia di Ratzinger al Pontificato, nuovo conclave, con nomi i più vari, e più lontani da quello di Bergoglio.
La sorpresa venne alla prima votazione, quando emersero sei nomi dall’urna. E a sorpresa il più votato di tutti fu proprio l'outsider Jorge Mario Bergoglio. I Cardinali, non sapendo chi votare, avevano scelto nell’urna il candidato che fu più votato nel 2005 piazzandosi alle spalle di Joseph Ratzinger. Una scelta di pura attesa.
L’emergere casuale del nome di Bergoglio dalle urne diventò un punto riferimento per gli scrutini successivi.
Apparve evidente che l'arcivescovo di Milano, Angelo Scola, aveva meno voti di quelli che gli venivano attribuiti, comunque mai superiori a quota trenta preferenze.
Già dalla seconda votazione, e in modo sensibile nella terza e nella quarta, i cosiddetti voti “curiali” si spostarono da Scherer a Bergoglio. A quel punto il primate dell’Argentina diventò il candidato convinto anche del nutrito gruppo di elettori del Nord America. Bergoglio si fermava a cinquanta preferenze.
Fra la quarta e la quinta e decisiva votazione ci fu la pausa tecnica del conclave, quella decisiva in cui i grandi elettori si parlarono. Serpeggiava la paura di dare l’immagine di una Chiesa gravemente divisa.
«Abbiamo bisogno di un Santo», si disse all’unanimità in conclave, «e chi lo è più di noi?». Risposta: «Bergoglio», venerato in patria come un vero santo vivente, e forse l’ultimo dei grandi all’interno del conclave. Appurato per vie dirette che questa volta non avrebbe rifiutato come accadde nel 2005, nella quinta votazione ci fu il plebiscito che ha eletto Francesco I.
Su 114 votanti, Bergoglio, superò quota 90 voti. Una acclamazione.