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Cenni sulle case di alcune famiglie di Scicli

Un testo di Mario Pluchinotta riedito su iniziativa di don Antonio Sparacino

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Scicli - Recentemente è stato presentato presso la chiesa di S. Giovanni il libro di Mario Pluchinotta “Cenni sulle case di alcune famiglie di Scicli”, curato da Antonio Sparacino e dagli studenti dell’IISS “Q. Cataudella”, con Cenni biografici di Francesco Marino: relatori lo stesso Sparacino, Pietro Militello e Giuseppe Pitrolo, di cui riportiamo la presentazione.

 Il testo è disponibile presso le edicole della città

La recensione di Giuseppe Pitrolo   

Questo nuovo, pregevole testo curato da Don Antonio Sparacino con gli studenti del Liceo mi ha dato lo spunto per delle riflessioni generali, che mi piace condividere con voi.

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Negli ultimi 25, 30 anni nella nostra città abbiamo recuperato la nostra identità, abbiamo imparato a conoscerci, stimarci, apprezzarci: in ciò ci è servito “lo sguardo degli indigeni” e quello “degli stranieri”.

Vanno perciò ricordati gli studi di Elio, Pietro e Paolo Militello, quelli di Paolo Nifosì, ma anche quelli di Luigi Scapellato e Guglielmo Ferro, le curatele di Michele Cataudella, “L’oro di Busacca” di Giuseppe Barone, “La città delle due fiumare” di Attilio Trovato, certi “Medaglioni” di mia conoscenza, gli scritti di Salvatore Rizza e di Severino Santiapichi, quelli di Ignazio La China, il Progetto KASA (500 pagine sull’archeologia del nostro territorio sviscerata da una generazione di nuovi archeologi); vanno ricordate le tante tesi su Scicli, il recupero che Pino Nifosì ha fatto del dialetto e che Don Antonio Sparacino sta facendo degli storici locali; vanno ricordate le foto di Giustino Santospagnuolo, quelle di Egidio Vaccaro (sulla memorabile “Visita del ‘59”), quelle di Luigi Nifosì e Gianni Mania e di tanti altri bravi fotografi; vanno ricordate le “feste di primavera”, conosciute ormai ben oltre i confini della Spana (…), così come il “Gruppo di Scicli”, stimato a livello nazionale.

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E col piano più squisitamente “culturale” si sono intrecciate le azione amministrative ed economiche, in un rapporto per una volta fecondo: è quindi opportuno mettere qui gli opportuni “paletti”:

-       nel 1995 cinque comuni del Val di Noto (Catania, Caltagirone, Modica, Noto, Ragusa) sguisciarono in fuga solitaria per ottenere il riconoscimento UNESCO, ma la classe dirigente sciclitana (Piero Guccione, Bartolomeo Falla, Paolo Nifosì, Mario Occhipinti,…) riuscì a fra riaprire la pratica per TUTTI i comuni del Val di Noto; questi erano circa 60, però a presentare l’istanza – infine – furono solo 3 amministrazioni: Militello in Val di Catania, Palazzolo Acreide e Scicli, nei quali comuni per l’opinione pubblica diffusa (capitanata dal “GdS” come dal “Brancati”) l’UNESCO era proprio un valore culturale da conseguire (il riconoscimento sarà ottenuto nel 2002);

-       del 1995 “Bella Italia” dedica un ricco servizio alla nostra città, e “Kalòs” un numero monografico;

-       nel 1998 iniziano a Scicli le riprese del “Commissario Montalbano”; la Palomar Produzione aveva chiesto ai Comuni della provincia di Ragusa la collaborazione per poter girare nei vari siti gli episodi tratti da Camilleri, ancora poco conosciuto: nessun Comune rispose, tranne quello di Scicli, il cui assessore alla Cultura era da anni un patito di Camilleri… Ecco svelato il “mistero” per cui i primi episodi della (poi) fortunata serie sono girati quasi integralmente a Scicli;

-     nel 2003 nasce le sezione Turistica del “Q. Cataudella”, il FAI inizia le sue attività in città e la via F. Mormina Penna diviene zona a traffico limitato; viene riaperto il cine-teatro “Italia”;

-       nel 2006 Vinicio Capossela compone “L’uomo vivo (inno al Gioia”);

-       negli stessi anni nascono il Museo del Costume e quello della Cucina; vengono recuperati Chiafura, villa Penna, il convento della Croce...: ora la sfida è renderli fruibili; come S. Matteo.

Non a caso nei giorni scorsi la scrittrice Simonetta Agnello Hornby (che non veniva a Scicli dal 2004) si stupiva vedendo tanti cambiamenti.

E possiamo aggiungere la nascita di ristoranti, quella del Millennium, del 97018, del Macosh,…; di alberghi come Novecento o Hedone, di tantissimi b & b; per non dire di Barocco Slow Cost o di Albergo Diffuso, di tante case del (vastissimo) centro storico restaurate, ma anche acquistate, da locali come da “foresti”. E va sottolineato che Scicli è l’unico luogo al mondo (che io sappia) dove non si chiude un luogo di cultura per aprire un supermercato (con tutto il rispetto…), ma in cui a un supermercato subentra una galleria d’arte (per di più modernissima ed elegantissima come la Quam).

Con ciò non si vuol dire che viviamo “nel migliore dei mondi possibili”, ma solo evidenziare i rapidi mutamenti in atto.

In certi comuni del Val di Noto ciò non è avvenuto: perché? Forse perché in tali cittadine latita il “capitale sociale”, che si forma nel tempo, nei decenni se non nei secoli: ovvero “l'insieme delle relazioni interpersonali formali ed informali essenziali anche per il funzionamento di società complesse. Infatti esistono relazioni ben definite fra capitale umano, capitale sociale e sviluppo economico di una Comunità”: ecco perché in un determinato luogo d’Italia nasce il distretto delle piastrelle e in un altro quello degli occhiali, quello della meccanica o quello del parmigiano (o del Rausanu…): perché le radici e le relazioni sono valori che necessitano del lungo periodo.

E allora ritorniamo all’inizio, ai tanti studi dedicati a Scicli negli ultimi 30 anni: i ricercatori contemporanei di Scicli avevano illustri predecessori: basti pensare agli scritti di antiquaria di Perello (del Seicento!), Carioti, Spadaro, Pacetto, Saverio Santiapichi, Bartolo Cataudella, Pluchinotta,…: per chi scrivevano? Verosimilmente c’era una società di lettori, di amatori.

Eccoci arrivati a (Don) Mario Pluchinotta (1886-1969), storico, appassionato di genealogie, che coniuga con le architetture in “Cenni sulle case di alcune famiglie di Scicli”, meritoriamente edito.

E’ uno storico serio che parte dalle fonti, dagli archivi, ricostruendo i passaggi di proprietà (in questi tempi di IMU avrebbe potuto lavorare efficacemente per Equitalia,…; e – en passant - ricordiamo che palazzo Beneventano era la sede dell’Agenzia delle Imposte).

Pluchinotta è attento alla storia socio-economica di Scicli: del palazzo Peralta ci dice che prima viene venduto al commerciante Salvatore Schembri; poi aggiunge “Ora questo fabbricato appartiene al borgese Guglielmo Piccione, che la comprò all’asta pubblica”: come non pensare a Verga? E si pensi all’alienazione progressiva di casa Pluchinotta da parte di Agata, sposata Pisani, “fino a quando ai Pisani, famiglia divenuta di ceto operaio, non rimase più nulla”.

Don Mario scrive di palazzo di Stefano – La Rocca, che sarebbe stato sontuoso come certi palazzi palermitani o catanesi; di palazzi dotati di giardini interni; di terremoti, morti di vaiolo, assassinii (palazzo Fava, 1793): della famiglia Penna che abitava vicino la chiesa di S. Antonio e che muore tutta nel terremoto del 1693: si salva solo Giovanni, che si trovava a Palermo a studiare; ci parla di nomi che si ripetono (c’è un Nunzio Bongiorno già nel 1815!): insomma, una Sicilia che sembra uscita dalla penna di Garcia Marquez

Lo scritto è precedente il 1962, perché parla di palazzo Micciché come ancora ancora esistente. Le foto sono recenti e consentono di localizzare facilmente gli edifici.

Un plauso, infine, va Francesco Marino, classe 1990, che continua la bella e ricca tradizione degli storici sciclitani.

E con lui un plauso va ai 54 ragazzi del “Cataudella”, che si sono appassionati, a don Antonio Sparacino, sempre attivo e attento, e al Preside Vincenzo Giannone, che sostiene sempre la crescita dei nostri ragazzi.

Con l’auspicio di rivederci prossimamente per il recupero di un altro pezzo del nostro passato e della nostra identità!


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