Cultura Modica

Guccione e il suo umanesimo tra natura e cultura

Dal 22 maggio

https://www.ragusanews.com/resizer/resize.php?url=https://www.ragusanews.com/immagini_articoli/11-05-2015/1431368365-0-guccione-e-il-suo-umanesimo-tra-natura-e-cultura.jpg&size=485x500c0 Un'opera di Guccione


Modica - Ottanta opere per gli ottant’anni di Piero Guccione. L’Amministrazione comunale di Modica (sindaco Ignazio Abbate) rende omaggio con una mostra antologica curata da Paolo Nifosì e da Tonino Cannata presso l’ex Convento del Carmine, nel contesto delle iniziative che hanno già visto la mostra presso Palazzo Chiericati a Vicenza, a cura di Marco Goldin, la mostra del Gruppo di Scicli, curata da Elisa Mandarà, presso il Palazzo Garofalo di Ragusa e la mostra che si terrà in Agosto a Scicli a cura del Movimento Vitaliano Brancati.
Ottanta opere che raccontano l’attività dell’artista a partire dal 1964 fino ai nostri giorni con oli e pastelli. La mostra comincia con un dipinto del 1963, Balcone con mimose, una macchia di giallo, tra una ringhiera e un muro sbrecciato. Come scrive Guttuso, un partire dalle cose; una scelta restituisce una fioritura primaverile mediante una gestualità informale e, nello stesso tempo, mediante una costruzione geometrica dello spazio.
Molti e diversi i temi affrontati in quegli anni: dalle riprese di quanto vedeva e dipingeva dalle sue due residenze romane da Viale Tiziano, a viale Flaminio, alle antenne, alle Volkswagen, ai ritratti degli amici, alle memorie del suo paese rosso.
Partire dalle cose ubbidendo al suo istinto, al suo inconscio, allontanandosi dalle tendenze che pur erano presenti e di cui viveva le contraddizioni, tra astrazione e figurazione, tra arte impegnata e non. Quel decennio si chiude con le Attese di partire, con le ampie sale di attesa di Fiumicino; una sorta di premonizione per il suo ritorno in Sicilia, che avverrà prima, negli anni Settanta, con una lunga permanenza tra la primavera e l’autunno, poi, dagli anni Ottanta, con la sua definitiva residenza negli Iblei.
Partire dalle cose, affidarsi allo sguardo, ma tenendo conto delle tensioni e delle pulsioni suscitate dagli artisti amati, Bacon innanzitutto e Munch, per il quale fa un viaggio a Oslo per vedere de visu i luoghi e le opere. A Munch e a Bacon dedicherà espliciti omaggi col ritrarre sia l’uno che l’altro. Di queste lunghe permanenze a Punta Corvo, tra Cava d’Aliga e Sampieri, avremo modo di vedere i primi mari, ripresi dal suo studio, il giardino e i muri di cinta, le piccole palme, gli ibischi fioriti e lussureggianti; avremo modo di vedere le colline iblee: partire dalle cose e nello stesso tempo andare oltre, con le inquietanti forme teriomorfe scaturite dalle ombre determinate delle nubi.
Alla fine degli anni Settanta sempre più si fa lontana la vita metropolitana e si accentua l’immersione nella natura, tra la baia di Sampieri, l’azzurro cangiante del mare, la battigia e lo spazio della suo giardino. La scoperta dell’uso del pastello determinerà due percorsi paralleli: quello della pittura che sarà dedicato al mare, con tempi sempre più lunghi, e quello del pastello, a voler fissare l’emozione immediata. Gli anni Ottanta saranno intensi in tutti e due i percorsi e vedremo tutti gli stati d’animo raccontati dai carrubi, dalle pietre, dalle interpretazioni delle opere letterarie, musicali e figurative: da Senso di Camillo Boito, al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, alla pittura di Friedrich; un percorso quest’ultimo che continuerà nei decenni successivi, con la Norma di Bellini, la Cavalleria rusticana di Mascagni, il Tristano e Isotta di Wagner: quel mondo letterario, musicale e figurativo sarà reinventato nei luoghi iblei, e tutti quei personaggi popoleranno le contrade tra campagna e città, tra il mare e le colline.
Il mare e il cielo saranno appannaggio degli oli, l’azzurro con i suoi movimenti, i suoi sentieri; l’azzurro che sempre più va verso la quiete, diventando sempre più chiaro e più liquido, uno spartito in cui le linee, i nastri, saranno cangianti, dall’azzurro più intenso al blu, al verde, al rosa. Sarà quindi la volta del mare e del cielo; ed, infine, del cielo, lo spazio infinito dove ha diritto di esistenza solo la luna e, qualche volta l’arcobaleno. Oggi è possibile tracciare un filo rosso, un filo di Arianna che riconduce ad un racconto, ad una storia organica quanto, di volta in volta, ci ha sorpreso per le novità che sembravano cesure rispetto alle proposte precedenti.
Un umanesimo della natura il suo, reso nelle sue contraddizioni dell’esistenza individuale e collettiva, con un’ancora consolatrice affidata ai classici tra Rinascimento e Ottocento, un amore dichiarato dai d’après, dove protagonista assoluto è Michelangelo ed al grande fiorentino Guccione ha dedicato il più grande (per dimensioni) d’après. Le certezze della coscienza e i dubbi, le angosce dell’inconscio; un inno all’azzurro e alla luce, di contro al lutto del mare nero: lo stesso mare; la dolcezza e la tragedia del Mediterraneo.


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