Modica - Poter guardare al cinema un film come “Salò o le 120 giornate di Sodoma” è un’esperienza rara. Se poi si ha anche la fortuna di visionare anche la versione completamente restaurata, allora l’esperienza diventa unica. In occasione dell’anniversario dei 40 anni dall’assassinio dello scrittore, regista, poeta ed intellettuale italiano, è stato proiettato in 40 sale cinematografiche in tutta Italia la versione restaurata e senza tagli del controverso capolavoro pasoliniano. Il lavoro di restauro, effettuato dalla Cineteca di Bologna e da CSC-Cineteca nazionale, in collaborazione con Alberto Grimaldi, era già stato presentato durante la mostra del cinema di Venezia e ieri è stato possibile vederlo anche nelle sale cinematografiche che hanno aderito all’iniziativa. In provincia di Ragusa, onore al merito al Nuovo Cineteatro Aurora di Modica, unica sala ad averlo proiettato. Ci si stupisce, una volta arrivati in sala, del pubblico presente: molti giovani sui trent’anni o poco più. Un buon numero di presenze, considerando anche l’aura di film maledetto che questo capolavoro si porta dietro. Certo, resta un film per stomaci forti e l’espressione della vicina di posto alla presentazione degli escrementi a tavola, a metà fra il disgusto e la voglia di scappare dalla sala, sicuramente rendono bene l’idea del clima in cui riesce ad immergere questo film. C’è chi sibila a bassa voce, c’è chi distoglie lo sguardo quando si vedono le giovani vittime seviziate in cortine: non è facile sopportare scalpi, lingue tagliate, occhi cavati con un coltello e bruciature ai genitali. La versione restaurata, oltre a dare di nuovo lustro alla già splendida fotografia di Tonino Delli Colli, dona maggiore spessore al sonoro, un po’ logorato dagli anni. Questa nuova versione offre la possibilità di percepire alcuni dialoghi quasi sussurrati fra i signori (che, ricordiamolo, rappresentano i quattro poteri temporali, ovvero l’Eccellenza, il Presidente, il Monsignore e il Duca), magari non perfettamente intellegibili nella versione “originale”. Inoltre, in alcune scene particolarmente significative (come ad esempio durante il finto matrimonio fra due vittime), si sentono nitidamente i rumori dei tuoni in lontananza. Stesso effetto, anche se stavolta si tratta di aerei e bombardamenti, si può ascoltare durante la supplica di una delle vittime e la relativa scena scatologica. Tutto ciò riesce ad immergere lo spettatore nel clima storico in cui è ambiento il film, cioè negli anni fra il ’44 e il ’45, ai tempi della Repubblica di Salò. Com’è noto, il film è ispirato al romanzo del marchese Donatien-Alphonse-Francois De Sade, anche se si discosta per via della struttura a gironi danteschi voluta fortemente da Pasolini. L’antinferno, infatti, è la presentazione dei regolamenti che diventano legge all’interno della villa in cui i signori hanno rinchiuso per il proprio piacere nove ragazzi e nove ragazze (anche se uno dei ragazzi viene ucciso prima di entrare in villa perché tenta di fuggire, e non a caso viene detto che è figlio di sovversivi, e una ragazza viene uccisa poco dopo perché scoperta in atteggiamenti religiosi). Il passaggio attraverso i vari gironi, “delle manie”, “della merda” e “del sangue”, è un’escalation di violenza che ha davvero pochi esempi in tutta la produzione cinematografica mondiale. Lo spettatore, infatti, riesce a sopportare il film solo grazie alla tecnica dello straniamento di brechtiana memoria: le giovani vittime, infatti, non sono caratterizzate psicologicamente, poco o nulla sappiamo di loro, e vengono soltanto trattate come “corpi” ad uso e consumo dei “poteri”. La fotografia e i costumi sono sgargianti ed elaborati e cozzano volutamente con la tematica scatologica e il sangue. Stessa cosa può dirsi della raffinata colonna sonora, affidata principalmente alle note della pianista (che poi si suicida) e della recitazione forbita, con citazioni tratte da Nietsche, Simone De Beauvoir, Pierre Kossowski e molti altri. Resta un film duro, anche a distanza di tanti anni. Ci si disgusta, certo, ma la tematica sessuale “estrema”, se così vogliamo definirla, non è certo fine a sé stessa. Apprendiamo dalla viva voce del regista, grazie ad una rara intervista che è stata proiettata sempre ieri sera prima del film, che tutto ciò assume nella pellicola un significato metaforico: descrivere quello che il potere fa del corpo umano. La mercificazione del corpo, o meglio di ciò che l’anarchia del potere (in questo caso rappresentato nel film dal potere fascista, ma il discorso è estendibile a qualunque forma di potere), fa dei corpi e del sesso, è la vera chiave di lettura per comprendere appieno il significato di un film come Salò. La riduzione del corpo umano a mero strumento di piacere per il potere, con l’illusoria e “ridicola libertà concessa dal mondo esterno”, è il concetto cardine per comprendere la denuncia contro ogni forma di potere che Pasolini intendeva portare avanti. Facendo un parallelismo con i suoi film precedenti denominati “Trilogia della vita”, ovvero “Decameron”, “I racconti di Canterbury” e “Il fiore delle mille e una notte”, ci rendiamo conto che per il regista il sesso era visto come esperimento giocoso soprattutto delle classi sociali inferiori, principalmente quelle contadine. Il sesso delle classi medio-borghesi, invece, diventa strumento di morte, perché pensato per assoggettare con la manipolazione delle menti e dei corpi le classi popolari. L’intervista proiettata prima della presentazione è stata realizzata da Gideon Bachmann durante le riprese del film, nel 1975, ed è denominata “intervista sotto l’albero”. A 40 anni dalla sua morte ci piace ricordare il poeta e regista in questo modo.
Il Salò restaurato di Pasolini
Nuovi colori
di Irene Savasta
Sullo stesso argomento: