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19/12/2007 00:00

Il Sole 24 Ore: La Sicilia si guadagni un’altra possibilità

di Redazione

«Montelusa? Pirandello la chiamava la morente cittaduzza. E io non posso che associarmi al professore. Noi di Vigàta ci andavamo solo perché c’erano la Prefettura, la Banca d’Italia e il vescovo. Ci capitai per via del liceo classico Empedocle. Ero una piccola peste e i miei genitori mi iscrissero al convitto vescovile. L’inferno durò tre anni: per costringerli a cacciarmi dovetti lanciare tre uova sul crocifisso della chiesa. La punizione fu così esemplare che per trent’anni mi sono svegliato di notte con i sudori freddi». La voce macerata da milioni di sigarette è quella di Andrea Camilleri. Montelusa è Agrigento, rotolata all’ultimo posto nella classifica delle città italiane. Vigàta è Porto Empedocle, il paese di Camilleri.

Maestro, perché questo vizio della disputa infinita?

Se finisse la disputa bisognerebbe passare all’azione. Noi amiamo spaccare il capello in 18, non in quattro. Loro sanno che poi i soldi evaporano nel nulla. E così possono ricominciare da capo.

L’acqua arriva nelle case ogni 18 giorni. Possibile che sia un’emergenza perenne? Era così anche ai miei tempi. Per fortuna a Porto Empedocle arrivava a giorni alterni.

E il numero abnorme di sportelli bancari?

Quello si spiega troppo bene. O non si spiega per niente.

La mafia?

Direi l’individualismo. Le racconto una storiella: una sera provavo una commedia di Pirandello davanti la sua casa. In fondo al viale c’era la caserma dei vigili del fuoco. Alle prove assisteva tanta gente, che aveva parcheggiato le macchine dove capitava. A un certo punto si sente la sirena dell’autobotte dei pompieri che squarcia l’aria. C’è un fuggi fuggi per spostare le auto, ma dall’autobotte si sporge un pompiere che dice: calma, stiamo portando l’acqua a casa dell’onorevole.

Perché non ci si ribella?

Torno a dire: individualismo. La passività è uno dei retaggi della cultura araba. Pirandello fu spietato con gli agrigentini che passeggiavano per via Atenea. Dementi, dice di loro. Ma il professor Pirandello chiudeva le finestre del suo studio quando sentiva fischiare i proiettili per qualche ammazzatina. Come mio nonno.

E lo scempio urbanistico?

Se lei mette le spalle al tempio della Concordia, quei palazzoni sulla collina sembrano una gigantografia sovrapposta. Una volta da quartiere arabo di Rabatu e Rabateddu, dove Pirandello ambientò due novelle, si vedeva Pantelleria. Io non ci credevo. Lo chiesi a un vecchio del posto. Che ci mise la mano sul fuoco. «Ma fino alla seconda guerra mondiale», chiarì.

Non è triste sapere che le fiction dei suoi romanzi si debbano girare a Ragusa e Scicli?

Triste ma inevitabile. Nessuna persona dotata di raziocinio andrebbe ad abitare a Marinella. Lì c’è una casa sopra l’altra.

Una volta fermarono un sindaco di Agrigento che stava costruendo una villetta nella Valle. Io mi indignai e lo dissi a un giornale. Sa che rispose il sindaco? Si vede che Camilleri manca da troppo tempo….

Forse dobbiamo arrenderci all’idea di essere incivili?

Lei così mi provoca. Noi siamo come i cani bastardi: più intelligenti degli altri. Tredici dominazioni ci hanno arricchito il sangue. E, come diceva Sant’Agostino, ci crediamo come il Padre eterno pensa a se stesso pensante.

Che idea si è fatto della rivolta antimafia degli industriali?

La gente è stanca. Bernardo Provenzano pilotò l’inabissamento di Cosa Nostra. Ingabbiato Provenzano, ogni cosca ritenne di agire liberamente. Più superba che prìa, direbbe Petrolini. Torna tutto a onore di Agrigento essere in prima linea contro la mafia.

Ma stavolta ce la faremo?

Dobbiamo dare la Sicilia ai siciliani. Guadagnarci un’altra possibilità. C’è una saturazione di passività che sta traboccando. La mafia è ciò che non siamo. Facciamoci conoscere per quello che siamo.

 

Mariano Maugeri