Partendo dalla taranta, toccando note geneticamente del Sud, come nella ballata popolare “Lucia e la luna”, trascina il pubblico sino ai suoi più grandi successi.
Grazie a note provenienti da Capo Verde, con la canzone “Intanto”, l’atmosfera si scalda sempre di più ed è a quel punto che qualche anziano decide di battere in ritirata, con la sedia di plastica alta sulla testa: non è uno spettacolo da guardare comodamente seduti in poltrona. “Grande Sud”, il pezzo sanremese, precede “Briganti se more”, brano scritto dall’artista come sigla per uno sceneggiato Rai. Tra le due canzoni ci sono trent’anni di differenza, ma non c’è polvere su quella più vecchia.
Profumano entrambe di sole, di terra, di mare, di sud, dell’umidità della sera. Bennato non è tipo da grandi discorsi, non è nemmeno molto cordiale, incanala l’energia nelle note da suonare, nelle corde da pizzicare, nei ritmi da creare. Aiutato dalla danza, sorretto dalle splendide voci dei due coristi, accompagnato da musicisti splendidi, con “Che il Mediterraneo Sia” riesce a far ballare tutti.
Ed è un ballo viscerale, che non ha bisogno di alcun maestro, è una danza di bambine sulle spalle dei genitori, di uomini anziani e ragazzini, di famiglie e gruppi di amici, di persone che non si conoscono e che si trovano in cerchio, di gente capitata lì per caso e trascinata dal calore della musica, come attorno ad un falò.
Prima di chiudere con il bis di “Grande Sud”, un omaggio a Domenico Modugno, con “Malarazza”, canzone che ha in sé una frase che dovremmo ripeterci spesso, specialmente qui, a Sud: “Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia lu vastuni e tira fora li renti”.
Chiara Padua, www.0932blog.it