Cultura
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13/10/2008 12:55

“Aiuto, il Papa è negro” gridò la folla

"Wojtyla? Ma allora è africano!"

di Redazione

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L'elezione di Giovanni Paolo II
L'elezione di Giovanni Paolo II

Roma – “Annuntio vobis gaudium magnum”.
Gli applausi impediscono al protodiacono Pericle Felici di proseguire. Sono le 18.45. Le grandi vetrate del finestrone che sovrasta l’ingresso della Basilica di San Pietro si sono aperte, lentamente, da pochi secondi e tre figure prelatizie si sono affacciate sulla piazza gremita: due ammantate di bianco, una di rosso. E l’immensa folla che attende da ore, è esplosa in un applauso lungo, liberatorio.

“Habemus Papam” aggiunge il cardinale, e di nuovo lo scrosciare di battimani lo costringe a fermarsi. Ma si avverte un tono più secco e asciutto della sua voce, un timbro diverso da quello esultante che lo stesso Felici aveva poco meno di due mesi fa, alla stessa ora, dallo stesso balcone. In quel momento forse nessuno se ne accorge, tra quanti sono raccolti sulla piazza già buia, tagliata dalle lame dei riflettori e dalle luci della televisione. Adesso il silenzio è totale. Si aspetta il nome di battesimo, quello che il protodiacono pronuncerà per primo, e tutti si sono preparati, tutti sanno che ci sono tra i papabili alcuni Giovanni, alcuni Giuseppe, un Salvatore, un Corrado. Felici si affretta nel dire.

La volta precedente staccò molto le parole. Disse “eminentissimum” e fece una pausa di qualche secondo prima di aggiungere con la formula di rito “ac reverendissimum”. Questa volta pronuncia una frase quasi di corsa, come se volesse liberarsi in una volta d’una incombenza imprevista. Dice “Carulum Wojtyla”. Pronuncia il nome correttamente, con la pronuncia polacca. E un gelo improvviso scende sull’immensa piazza, tra la selva delle colonne.

E’ una questione di secondi, ma d’altronde sono i secondi l’unità di misura di questa cerimonia che, con solennità millenaria, si gioca al rallentatore fra il balcone e la piazza diversamente risplendenti di colore sotto i riflettori delle molte televisioni di tutto il mondo, arroccati in alto a sinistra, della basilica. Così, all’applauso che scroscia, appunto, dopo alcuni secondi è un applauso di sorpresa; forse, un poco, di delusione. Non è dunque italiano l’eletto? Non è dunque Benelli o Siri, Pignedoli o Pappalardo, o Ursi; non è nemmeno Pironio, dal nome quasi italiano, comunque, in parte, italiano all’elezione?

“Mamma, è africano” dice un ragazzetto.
“Silenzio”, impone la madre con una severità che tradisce sgomento.
La folla tace di nuovo. Parla il balcone.
“Qui sibi nomen imposui Johannis Pauli”, conclude il cardinale ammantato di rosso. Arretra, coi i suoi due accompagnatori bianchi; scompare dietro i vetri. La folla, ora, applaude di nuovo come all’inizio: come riconfortata. Questo nome le piace. Le ricorda un Papa semplice, che sorrideva. “Ma è polacco”, dice una ragazza al giovanotto con cui è venuta. “Non importa, applaudi lo stesso”. Sulla balaustra del balcone intanto viene calato lo stendardo bianco dal bordo rosso, lo stemma in mezzo. Agli applausi si mescola il brusio del ritrovato senso comune. C’è un Papa, ed è quello che questa folla voleva. Lo voleva subito. Ora bisogna applaudire, pensare, identificare, collocare. Pochi hanno gli occhi lucidi.

“È arcivescovo di Cracovia”, dice un piccolo prete in clergyman.
“Io sono di Reggio Emilia, ero un po’ tifoso di Pignedoli”, dice come scusandosi della sua parzialità un “operatore sanitario cattolico”, a Roma per un congresso.
“Va bene va bene”, è perentoria una signora alle sue spalle.

“Questo per i comunisti ha buoni argomenti. Pignedoli ha la lingua lunga, è vero: anche Benelli. Ma questo ha i fatti”. L’operatore di Reggio Emilia tace e comincia, lentamente, ad applaudire. Esposto lo stendardo, la finestra si richiude. Comincia per la piazza un’attesa: che non sarà più di secondi, ma di minuti: fino al quarto d’ora. Del resto questo pomeriggio tutto si è svolto di attesa in attesa. La fumata bianca è stata accolta con un entusiasmo che non si è manifestato solo coi battimani, ma con fischi, con grida di “Papa, Papa”, scandite secondo il ritmo caratteristico delle parole d’ordine dei cortei di studenti, con fazzoletti sventolati dai ragazzi arrampicati a grappoli sui fusti delle lampade intorno alla fontana, con tamburi che rullano al centro della piazza e sembrano venire da sottoterra; con lacrime di suore e madri di famiglia; perfino con bandierine tricolori e con un agitare di sacchetti di noccioline.

“Però non riesco a immaginare che sia polacco”, dice una ragazzetta alla madre.
E un signore dai capelli bianchi rivolto a due giovani africani: “Siete contenti che non è italiano, eh?”
“Io non ho detto questo” replica uno di essi.
“Ma lo pensate, lo pensate”, insiste il signore anziano.
“Io sono contento che non sia italiano”, interviene uno studente di architettura, “così non si occuperà dell’Italia”.
“Mamma, e l’italiano lo saprà?”, è di nuovo la ragazzetta. La madre fa un gesto di stizza. Poi si fa il segno della croce.

Gli sguardi di tutti continuano a fissarsi sulle grandi finestre a vetri. Su di esse, come a tentare di aprirle, scorrono raggi dei riflettori. Ma non le aprono. “Ecco un primo inconveniente”, dice un altro giovanotto. “Ora sta preparando il discorso in latino”.

“E il latino chi lo capisce?” gli fa eco una ragazza che non è con lui. Bambini cominciano a fare capricci. Vola qualche scappellotto mentre da un gruppo di monache in bianco sale un mormorio di un rosario. Intanto la marea delle teste è percorsa da pennacchi bianchi e bianchi e rossi: il picchetto d’onore dei carabinieri e delle guardie svizzere che, quasi contemporaneamente, entrano nella piazza dai propilei di sinistra. I carabinieri si collocano al centro della piazza. Finalmente -sono le 19.20- la finestra sul fondo si illumina. Si apre; poco dopo, una piccola folla scarlatta di cardinali si affaccia. Lentamente, lo stesso avviene in tutte le finestre della fila, salvo quella centrale. Il termometro degli applausi ricomincia salire mentre alcuni cardinali agitano le mani verso la folla. Alle 19.22 è finalmente il momento del grande balcone sull’ingresso della Basilica. Una donna sviene vicino al colonnato di sinistra. “L’emozione”, dicono intorno, “l’emozione”. Sono pronti ad applaudire, ad amare.

Ed ecco la voce del nuovo Papa: “Sia lodato Gesù Cristo”.
“Sempre sia lodato” risponde il gigantesco coro.
Tutti sono rinfrancati.
“Parla italiano”, osserva la ragazza preoccupata di non capire il latino.

“Carissimi fratelli e sorelle” riprende Giovanni Paolo II, “siamo ancora tutti addolorati dopo la morte dell’amatissimo Papa Giovanni Paolo Primo”. Gli applausi sono cordiali, sinceri. “Ed ecco”, riprende la voce, “che gli eminentissimi cardinali hanno chiamato a Roma un nuovo Papa. Lo hanno chiamato da molto lontano”. Questa volta i battimani scrosciano; c’è anche qualche grido di “evviva”.

E così la folla continuerà ad interrompere, con entusiasmo crescente, il breve discorso del nuovo vescovo di Roma. “Voleva dire qualche altra cosa, ma si è commosso” osserva un uomo quando il Pontefice si interrompe dicendo che gli è difficile esprimersi. È un altro che dice “io”.”

Laura Lilli
La Repubblica, 17 ottobre 1978