Scicli - “Orgoglioso di essere chiafuraro”. Così Pietro Sudano, classe 1926, che nelle grotte di Chiafura c’è nato e vissuto fino a 31 anni.
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“Eravamo poveri ma felici” spiega Pietro, “il signor Sudano” per intere generazioni di alunni della scuola media Lipparini, che in lui hanno avuto un riferimento insostituibile. “Un’unica grande famiglia di settecento anime, dove regnavano la miseria e la solidarietà –spiega Pietro-. Sono cresciuto senza padre, mia madre paralitica era perennemente ricoverata in ospedale, abitavo in una grotta prima con mia nonna poi con le zie. Per i bisogni fisiologici andavamo in dei concimai comuni, dove c’era anche un orticello, insomma, facevamo l’utile e il dilettevole... Per l’acqua ci dovevamo approvvigionare a San Bartolomeo. Abitavamo in una grotta a condominio, a tre piani, con delle rampe esterne che collegavano un ambiente all’altro. Erano delle grotte “familiari”, dove c’era anche, mi si consenta l’ironia, il garage per il mulo, che viveva insieme a noi. A sette anni andai a lavorare dal barbiere, un maestro di vita oltre che di professione, non mi dava neanche una lira, gli dovevo essere grato perché mi insegnava l’arte. Feci questo lavoro fino al 1946, anno in cui mi sposai. Ricordo che le comari si scambiavano i favori, dal regalo di un piatto di fave alla balia dei bambini, c’era il senso dell’appartenenza a una comunità sfortunata, che, paradossalmente, ci rendeva più forti. A Chiafura ho abitato fino all’età di trentuno anni, quando in seguito al crollo di un masso fu decretato lo sgombero del quartiere. Fu costruito un alto lungo muro di recinzione e molte grotte furono abbattute. La gran parte dei chiafurari si trasferì al villaggio Aldisio, io e mia moglie abbiamo preso una casa in affitto a Scicli. Chiafura cominciò ad essere solo un ricordo. Ma per me quella grotta è rimasta sempre misura del mondo, di una civiltà antica e fondata su sani valori, che ha costituito una guida spirituale anche nell’educazione che ho impartito ai miei figli. Torno a Chiafura in media una volta ogni quindici giorni, spesso ci diamo appuntamento con gli altri chiafurari, ripercorriamo i sentieri, visitiamo le nostre case natali. L’idea che un giorno Chiafura possa rinascere è per me motivo di grande emozione”.
Il signor Sudano è uno degli ultimi testimoni di quella civiltà, fatta di stenti, di sacrifici, ma piena di vita, come notò lo stesso Pierpaolo Pasolini durante quella che egli stesso descrisse come una discesa agli inferi.
A Chiafura lavorava anche la madre di Elio Vittorini, durante i tre anni di permanenza dello scrittore di Siracusa nella città. Faceva l’infermiera “a parte di casa”, come si dice da queste parti, e Chiafura è diventato uno dei luoghi mito nell’immaginario dello scrittore, che anche parlerà della Madonna a Cavallo nelle sue opere.
Insomma, Chiafura ha lasciato il segno in chi vi è passato, sia stato esso residente o visitatore. Città dei morti, città dei vivi, di nuovo città dei morti. Prima cimitero, poi villaggio rupestre, oggi luogo della memoria.
Scicli, foto d'epoca del quartiere San Bartolomeo