Che bella giornata
di Redazione

Che bella giornata, l’ultima straordinaria invenzione di Checco Zalone, non smette ancora di suscitare dibattiti e riflessioni. Non solo per la comicità immediata e diretta, non solo perché Zalone tiene interamente in piedi un film di due ore in totale solitudine, non solo per tutto quello che è già stato scritto. Ma anche perché il merito di questo film – senza volergli attribuire intenti di analisi sociologica – sta nel fatto di presentarsi come fotografia di una intera generazione. Giovanile, in particolare.
L’ultimo episodio degno di nota è stato registrato al cinema Vasquez di Siracusa, dove il film è in programmazione, ma il luogo ha ben poca importanza, dal momento che siamo certi che la medesima reazione si sia verificata anche in altre sale, senz’altro in tutta Italia. C’è una scena del film in cui Checco chiede alla protagonista femminile Farah, se sia una ragazza studiosa. Farah risponde affermativamente e Checco replica con quella che è già una frase memorabile, senz’altro già sentita, ma ormai pienamente legittimata da un personaggio popolare e trasversalmente amato come Zalone (che laureato è, e non è certo un ignorante): «In questo Paese studiare non serve a un c..». Ebbene, gli applausi sono scattati all’unisono dinanzi a un paio di parole – buttate lì, schiette e violente come una mattonata in testa – che fotografano una verità. E ciò che è più significativo è che la platea era composta prevalentemente proprio da giovani liceali o matricole universitarie: ovvero i protagonisti (se non ora, a breve sì) di questo paradigma.
E di paradigmi della società italiana se ne trovano a bizzeffe nel film. Quello che ne viene fuori è lo specchio di una società malata: dove chi si arruola nell’esercito per le missioni all’estero lo fa per pagarsi il mutuo e non è animato – al di là di ogni retorica politica – né da intenti ideologici né pacifisti né belligeranti. Dove la gente si fa il porsche, ma non ha i soldi per pagarsi la benzina. Dove corruzione e clientelismo regnano sovrani. Dove le donne sono ancora considerate come l’ultima ruota del carro, mogli e madri che fanno da serve o semplici oggetti sessuali. E il pubblico, al di là delle risate, sembra recepirlo meglio di ogni possibile critica. Ritornando all’espressione presa in esame sul “prestigio” dello studio in Italia, il fatto che siano proprio i giovani e i giovanissimi ad applaudire – con realistica amarezza – è l’ennesima conferma di un dato di fatto che è sempre più incontrovertibile: la decadenza non solo del tanto decantato “merito”, quanto del valore della cultura, della conoscenza e dell’istruzione. Su internet, è lo stesso: sono state create decine di gruppi su Facebook relativi al nuovo aforisma zaloniano. Come se sia proprio questa la frase simbolo di tutto il film. E gli applausi del pubblico siciliano, come a questo punto è evidente, sono una goccia di una standing ovation nazionale. E se i messaggi sottesi non sono arrivati a tutti, e se queste conclusioni sembrano eccessive, ben vengano le risate.
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