Così Morifet guardava Scicli...
di Redazione


Scicli – Ha dovuto aspettare qualche secolo l’arciprete Antonino Carioti prima che qualcuno credesse al suo racconto circa la vita di Giovanni Morifet, che “si cavò dentro alle viscere del giogo di Monte Sion una grotta che la dura ancora piuttosto sepoltura d’un morto che abitazione d’un vivo, la quale si conserva sin’ora e con nella parete di essa l’immagine di Maria Vergine della Grazia, a dentro cui con rigida penitenza macerava il suo corpo innocente”.
Già, un frate francese che si sarebbe “murato vivo” in una grotta del complesso di Santa Maria di Monte Sion, oggi meglio conosciuto come l’ex convento della Croce, autore della crescita spirituale del Convento del Terz’Ordine, dal terzo decennio del Cinquecento. Giovanni Morifet era stato colui che aveva ottenuto nel 1521 la bolla con la quale si autorizzava la erezione del convento del Terz’Ordine, vicino alla Chiesa di Santa Maria della Croce, per quanto la presenza dei frati in quel luogo è documentata già nel 1472. Intorno a quell’anno i Frati del Terz’Ordine convivevano con i Minori Osservanti.
In seguito al restauro del convento, all’inizio degli anni 2000, è stato ritrovato l’ipogeo, la grotta in cui il frate condusse la sua vita di eremita.
Col restauro siano venute alla luce tutta una serie di nuove acquisizioni, brani di architettura, sculture ed affreschi sconosciuti alla storiografia artistica che si era occupata del complesso, in particolare con gli studi di Giovanni Modica Scala e di Paolo Nifosì, pubblicati negli anni settanta.
Un ipogeo che si trova all’angolo est del secondo cortile, proprio a strapiombo sulla vallata di San Bartolomeo, un ipogeo, cui si accede da una botola circolare di un metro di diametro, a dieci metri di profondità circa, scavato nella roccia.
La grotta si compone di due ambienti. Nel primo vano, che si affaccia sulla vallata mediante una fenditura irregolare, forse causata da un crollo, si trova un affresco raffigurante, molto probabilmente, una Pietà molto lacunosa.
Nel secondo vano si trovano tracce frammentarie sbiadite di altri due affreschi. I due vani sono comunicanti tramite una apertura. Dell’affresco raffigurante la Pietà resta la parte sinistra del corpo di Maria, avvolto in un mantello azzurro, la parte alta dell’aureola, mentre del Cristo deposto sulle gambe della madre, con indosso un perizoma disegnato a sanguigna, resta buona parte del corpo fino al torace: mancano la testa, la spalla destra e il braccio destro. Sulla sinistra di Maria si intravede una sorta di tronco rossiccio. Alle spalle una croce color rosso minio. E’ la grotta in cui Giovanni Morifet fece “piuttosto sepoltura di un morto che abitazione d’un vivo”. Il racconto paradossale, incredibile del Carioti descrive in maniera minuziosa la grotta scoperta, a dieci metri di profondità rispetto al piano di calpestio del convento.
Giovanni Morifet era uno di quelli che il professor Giuseppe Barone, ne “L’Oro di Busacca”, definisce “carcerati o reclusi volontari, in celle o grotte ai margini dei centri abitati”. La vita di Giovanni Morifet nei primi decenni del Cinquecento si uniformava ai modelli proposti in quel tempo dalla Chiesa, e la scoperta della grotta è una conferma del racconto che nei secoli successivi storici come il Carioti hanno tramandato.
Nelle foto: Il convento della Croce e la sottostante grotta di Morifet.
Nei successivi scatti, di Luigi Nifosì, la sguardo di Morifet su Scicli e l’affresco, in grotta, della Madonna e del Cristo di cui parlano le fonti.
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