Cultura Madrid

Monna Lisa e il suo Doppio

Gioconde a confronto

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Madrid -Da alcuni giorni Madrid è presa d’assedio da tutti i mass media del mondo per via di una scoperta eccezionale.

Tra i tanti quadri che fanno parte della collezione permanente del Museo del Prado uno in particolare sta facendo fibrillare il mondo dell’arte.

Si tratta di una copia del celebre capolavoro di Leonardo da Vinci “La Gioconda”.

Il quadro per secoli è stato quasi ignorato forse perché in esso il paesaggio della campagna toscana, tanto caro al genio Da Vinci, era curiosamente assente, sostituito da un tetro fondo nero che rendeva ancora più malinconico il volto della donna raffigurata.

Ora, per una singolare coincidenza, quest’opera si sta prendendo gioco di quanti in passato l’hanno giudicata con molta sicumera “una delle tante imitazioni” della famosa Monna Lisa parigina.

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Ah, la presunzione saccente dei critici d’arte! Ricordo sempre la beffa crudele che un gruppo di ragazzi, anni or sono, mise a segno a proposito di un ritrovamento miracoloso di alcune teste scolpite da Modigliani.

Anche qui la beffa è proprio dietro l’angolo.

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Tempo fa, infatti, un famoso “esperto” spagnolo di pittura rinascimentale italiana aveva sentenziato che la tavola sopra la quale il dipinto era stato eseguito fosse legno di rovere, tipico supporto utilizzato abitualmente dai fiamminghi, e non legno di noce com’era molto in uso in Italia e soprattutto a Firenze all’epoca di Leonardo.

Per tale motivo la pittura era stata confinata nel padiglione fiammingo in quanto ritenuta opera di scarso interesse e confusa con quadri e quadretti di autori minori.

È bastata una richiesta del Museo del Louvre per esporla, come una delle tante copie note della Gioconda, nell’ambito di un discorso su Leonardo e la macchina del restauro si è messa subito in moto.

Il quadro finalmente ha parlato chiaro vendicandosi di quanti fino a qualche mese fa lo avevano ingiustamente sottovalutato.

Sottoposto a un sofisticato esame agli infrarossi, il quadro ha rivelato, infatti, l’esistenza di un disegno preliminare identico a quello della Gioconda parigina.

Anche un esame più attento del supporto ligneo, di misure stranamente uguali all’altro sul quale Leonardo dipinse la sua Gioconda, ha evidenziato la tipica composizione e struttura del legno di noce.

Ma le sorprese non sono solo queste.

L’esame agli infrarossi lasciava intravedere tracce di pittura, cancellate da un ingrato restauro della metà del Settecento ricoprendole con diverse cappe di nero date fortunatamente sulla vecchia velatura. Fortunatamente! Perché, utilizzando degli speciali solventi, i restauratori del Prado sono riusciti ora a eliminare questa incredibile e pedestre sovrapposizione, facendo emergere non solo l’originario paesaggio toscano ma anche riportando alla luce i colori autentici dell’opera.

Si è scoperto, così, che questa nuova Monna Lisa contiene gli stessi ripensamenti dell’originale di Leonardo, che anche questa è stata dipinta su tavola preparata con biacca (carbonato basico di piombo)impastata con olio di lino, tecnica tipica leonardesca.

Che pur non avendo l’intensità e il fascino dello sfumato leonardesco anche quest’opera, sicuramente dipinta da un allievo, costituisce una testimonianza preziosa riguardo alla realizzazione del quadro più imitato e ammirato della Storia dell’arte. Apre in ogni caso grandi squarci sulla tecnica impiegata dal genio italiano e dalla sua scuola.

A caldo sono stati fatti i nomi di diversi pittori della cerchia leonardesca (Andrea Salai, Francesco Melzi, ecc.).  Con molta probabilità si potrebbe trattare di un allievo più volte citato dal Da Vinci come “lo spagnoletto” dal quale il pittore si era fatto affiancare nel celebre dipinto “La battaglia di Anghiari”.

Che cosa rivela la nuova Monna Lisa che la vecchia e conosciuta non sa o non vuole dirci? Che Leonardo, nell’iniziale stesura del suo capolavoro, ha sicuramente impiegato un disegno preliminare, eseguito su cartone leggero, come usava a quel tempo, bucherellato e poi “ripassato” per lasciare impressa la bozza sulla tavola già preparata. Cartone che anche l’ignoto allievo ha utilizzato per iniziare a dipingere la sua copia. L’esame agli infrarossi, eseguito dai francesi tempo fa, aveva in parte suggerito questa tecnica nell’esecuzione della Monna Lisa del Louvre. Oggi questo sospetto diventa certezza a causa di numerose correzioni e ritocchi del disegno originario fatti a mano libera da entrambi.

L’ipotesi degli specialisti del Prado è molto suggestiva, dunque. La Gioconda di Madrid sarebbe il frutto di un “working in progress” di un allievo a fianco del suo maestro. Questa tesi prende corpo soprattutto dal riscontro, nella copia madrilegna, degli stessi ripensamenti avuti da Leonardo a mano a mano che dipingeva l’originale. Un copista avrebbe copiato il risultato finale, non sarebbe mai riuscito a ricostruirlo così fedelmente.

Molti si stanno chiedendo ora perché Leonardo abbia permesso a un discepolo di copiare il suo capolavoro. È una domanda sciocca, questa. Spesso erano proprio i grandi maestri a fare o a far fare delle copie delle loro opere. Tiziano, per esempio. E basterebbe girare lo sguardo nello stesso padiglione italiano del Prado, dove nel frattempo è stata collocata questa nuova Monna Lisa, per accorgersi che la “Trasfigurazione” che campeggia in una delle sue grandi pareti non è quella autentica di Raffaello bensì l’altra quasi identica dipinta dal suo collaboratore  più stretto e segretario, cioè da Giovanni Francesco Penni.

Il doppio di Monna Lisa è un’opera meglio conservata dell’originale. Raffigura una donna “vera”, molto femminile e più giovanile dell’altra. Sfata così le tante fantasiose leggende che la credevano un improbabile autoritratto transessuale di Leonardo. Le ciglia, in questa, perfettamente tracciate, ne ridimensionano, in verità, il fascino e il mistero.

L’opera, inventariata già nelle collezioni reali dal 1666, forse ci aiuterà a capire meglio un artista che definirlo solo tale è semplicistico o riduttivo.

Speriamo che le ricerche, in atto e non ancora concluse, ci svelino qualcosa di lui che sia interessante e bello e offuschi per sempre le sciocche e inutili volgarità che troppo a lungo hanno condito il suo irresistibile fascino e accompagnato il suo nome.


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