Cultura Ragusa

Casa Museo Appiano: un luogo ideale per dialogare con l’arte

L’amore di Titì per il bello

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Ragusa -  Il tempo che stiamo vivendo testimonia l’abnorme mutamento che il mondo sociale subisce incessantemente giorno dopo giorno. Esso corre senza conoscere sosta e rispecchia quanto riportato già dal documento conciliare “ Gaudium et spes “,circa “quell’accelerazione della storia tale da poter essere seguita difficilmente”. In una società come la nostra tanto distratta e lontana dai temi culturali, perché sempre più succube dell’imperante progresso tecnologico e delle conseguenze della globalizzazione, è lecito chiedersi: C’è ancora oggi del tempo da dedicare all’arte e al bello? La risposta è certamente positiva, se si pensa per esempio al grande impegno messo in campo dal Fai nel promuovere ogni anno le giornate di primavera, ove a chiunque viene data la possibilità di vivere una giornata all’insegna dell’arte e del bello, fruendo un patrimonio culturale perennemente chiuso o valorizzato dopo anni di mortificante oblio.

Purtroppo a questo grande evento nazionale, così tanto pubblicizzato dal mondo mediatico, non segue una vera e propria continuità di eventi culturali, specie nella realtà locale. Pertanto il più delle volte, nei pochi ritagli di tempo a disposizione, l’unica soluzione possibile è quella di rifugiarsi nei libri per trovare delle risposte. Non deve essere soltanto così. E’ sicuramente importante trovare un rifugio sui libri, ma il bello lo si può e deve vivere soprattutto per contatto e per cercarlo non bisogna poi affaticarsi tanto, perché lo trovi sempre in qualsiasi momento nello stesso luogo.

Una città d’arte come Ragusa offre due centri storici che sono il frutto di sacrifici di una comunità che, benché straziata psicologicamente, dovette ripartire da zero per ridare un’identità alla propria città, costruendo chiese, conventi, palazzi  e risanando quello che si era salvato. Il risultato è quello che ancora oggi vediamo, ovvero un tripudio di armonie tardo barocche, che specie nell’antica Ibla affiancano le vestigia del glorioso passato. Nullum est sine nomine saxum, non c’è pietra senza nome, verrebbe da dire insieme a Lucano. E’ soprattutto nell’antica Ibla che si avvertono le suggestioni più straordinarie, sembra quasi di tornare indietro nel tempo. Nel percorrere i vicoli, le scalinate, le silenti viuzze, sembra di sentire le voci di vispi ragazzetti che si rincorrono, le martellate di scalpellini e artigiani vari che lavorano, le voci sommesse di donne raccolte per la recita del rosario, ma è soprattutto il profumo della storia che ti assale, specie nelle giornate invernali, quando si unisce all’odore della legna bruciata.

In una viuzza come queste situata nelle vicinanze dei Giardini Iblei, della ritrovata chiesa di San Vincenzo Ferrer, della chiesa di San Tommaso,  l’arte e il bello dimorano all’interno di una abitazione privata, di cui una parte della struttura risale al periodo pre-terremoto. Questa abitazione, che la stragrande maggioranza del popolo ragusano purtroppo non conosce o forse snobba, è meglio conosciuta come Casa Museo Appiano, dal nome del suo proprietario, il maestro Salvatore Appiano detto Titì.

Egli è molto conosciuto e apprezzato dalla gente di Ibla e non solo, per la sua semplicità, gentilezza e profonda religiosità. Caratteri, questi, che lo accomunano ad un indimenticato uomo politico di terra iblea, il profeta di pace Giorgio la Pira, con il quale il maestro strinse un’amicizia negli anni ’70.

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 Il maestro è anche stimato per essere un fine e colto musicista di professione e insostituibile organista di chiese come San Francesco all’Immacolata, San Tommaso, San Giacomo, Sant’Agata ai Cappuccini.

Queste sue spiccate qualità che gli si sono manifestate sin dalla giovinezza, hanno trovato piena maturazione durante la sua formazione presso il Conservatorio di Palermo e forse molti ragusani ricordano ancora le sue eccellenti apparizioni in molte edizioni di Ibla Viva degli anni ’80, nonché la pubblicazione di un volume sugli organi delle chiese della Diocesi di Ragusa.

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Il suo amore sconfinato per la musica è sempre stato sulla stessa lunghezza d’onda con quello per la letteratura, la poesia, la pittura, la scultura, insomma per tutto ciò che è arte. Il suo essere un patito per tutto ciò che è bello non è certamente una casualità. Sembra un “vizio” di famiglia tramandato da generazioni. Visionando il documento araldico che il maestro espone con orgoglio nel piano nobile, si evince che la famiglia Appiano abbia origini remote. Il primo nucleo, infatti, prese il nome dal paese di origine Appiano Gentile, nei pressi di Como, ma con il passare dei secoli da questo primo ceppo si originò un altro ramo che prese il nome Appiani. Entrambi i casati si ramificarono in altre città d’Italia come Trento, Pisa, Piombino, Napoli ( in quest’ultima città avvenne un apparentamento con la famiglia Pignatelli ) divenendo sempre più influenti e blasonati perché retti da principi, conti, vescovi e persino papi ( Urbano VI 1386 ), ma anche artisti e musicisti. E’ curioso sapere che una lontana parente del maestro Appiano, Peppina Appiani, fu la dama di compagnia della madre di Vincenzo Bellini, Agata, fino al 1830, anno in cui quest’ultima passò a miglior vita. La raffinatezza e la magnificenza che sono così palpabili all’interno della Casa Museo, sembrano ancora testimoniare i fasti di tutti questi uomini illustri, che erano anche profondi conoscitori di opere d’arte e collezionisti. Da più di cinquant’anni il maestro Titì Appiano porta orgogliosamente avanti la tradizione del collezionismo, che egli già aveva vista radicata  nel padre e prima ancora nei nonni e benché una parte del suo patrimonio sia stata ereditata, egli mantiene sempre vivo  il suo interesse verso le antichità,  intrattenendo, sino ad oggi, contatti con il mercato d’antiquariato e case d’asta.

Crescendo negli anni il valore del contenuto è cresciuta la bellezza del contenitore. Mobili antichi, dipinti, sculture, argenteria antica, orologi, candelabri, stampe antiche, arazzi, lampadari e oggetti in vetro di Murano, antichi vasi e oggetti in porcellana di Copenaghen, strumenti musicali e tanto altro ancora.

 Non è un caso che, fra tutta la sua collezione, il maestro nutra una particolare predilezione per un trono viennese di fine ‘700 e primo ‘800, finemente intagliato, indorato e fatto restaurare di recente, per una stampa di San Gerolamo perfettamente conservata del ‘500,  per un busto ottocentesco in marmo di Carrara raffigurante una nobildonna e per una tela ottocentesca raffigurante l’Immacolata, attribuita al pittore di scuola napoletana Paolo Greggi. Come si è detto prima, tutto questo ricco patrimonio è il frutto di anni e anni di passione e amore per l’arte e il collezionismo, ma questo sentimento non è stato mai fine a se stesso solo per puro e personale godimento estetico, perché il maestro ha voluto da sempre condividere con gli altri l’amore per l’arte e il bello. E’ nata così l’idea di creare una vera e propria Casa Museo, un luogo ideale dove chiunque possa dialogare con l’arte e con il bello, permettendo quindi ai visitatori di sentire, durante il momento della visita, questo sensazionale patrimonio come il loro.

Un’ iniziativa come questa, non ancora tanto consolidata in una piccola realtà come quella di Ragusa, ha da tempo avuto invece grande affermazione in altre città italiane. Uno fra i più belli luoghi della cultura italiana è, per esempio, il rinomato museo Poldi Pezzoli situato in via Manzoni a Milano, sorto dal 1850 per volere del suo fondatore, il nobile Gian Giacomo Poldi Pezzoli, grande conoscitore d’arte e collezionista, che fece ricavare, all’interno del proprio palazzo, un appartamento che raccogliesse collezioni d’arte ereditate dalla famiglia o raccolte con passione da lui stesso, dopo anni e anni di ricerca. Il museo fu aperto al pubblico dopo la morte del nobile Poldi Pezzoli, avvenuta nel 1879, il quale diede ordine per testamento che il palazzo e le sue collezioni venissero inglobati all’interno di una fondazione “ ad uso e beneficio pubblico “.

 L’amore verso l’arte che accomuna tutte queste dimore private aperte al pubblico, è naturalmente visibile anche all’interno della Casa Museo Appiano, dove il suo proprietario si prende cura di ogni singola opera come se fosse un membro di famiglia.

Tutto l’allestimento non ha seguito un vero e proprio criterio museografico, vista la volontà del maestro di scegliere per ogni pezzo la sistemazione più adatta in spazi che lui vive quotidianamente.

Tuttavia sembra che ogni opera si trovi nel posto assegnatole prima del tempo e ti guarda con brama, come se volesse per sé un’attenzione privilegiata. Una sensazione che si può provare dopo aver varcato la soglia della Casa Museo Appiano è quella di sentirsi isolati dalla realtà, vuoi per un silenzio sepolcrale, vuoi per il tempo che sembra essersi apparentemente fermato.

Oltretutto, da qualche mese, il maestro Appiano dà la possibilità ai visitatori, di usufruire delle più importanti stanze per godere di un percorso eno-gastronomico, curato da un rinomato chef ragusano, al fine di riscoprire e valorizzare le antiche ricette e i pregiati vini della Provincia di Ragusa.

Una simbiosi unica tra arte, profumi, sapori incomparabili e naturalmente anche musica.

Infatti, quando il maestro comincia ad eseguire un brano musicale con uno dei suoi due pianoforti, allora un’altra suggestione che si avvertirà è quella della musica che non solo si fonde con i profumi, ma anche con le forme di ogni singola opera,  risvegliandole quasi dalla loro immobilità e confermando soprattutto che l’arte è veramente vita.

Casa Museo Appiano, Via Valverde 67/69, Ragusa Ibla.

Per info 338/6545559


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