Cultura Catania

Sottopelle, autobiografia postuma di Pietro Barcellona

L'intellettuale, il politico, il docente

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Catania - «Sottopelle. La storia, gli affetti» (Castelvecchi, Roma 2014).
E’ il libro cui ha lavorato negli anni della malattia Pietro Barcellona, filosofo, giurista, uomo politico, morto un anno fa.
E’ una autobiografia postuma.
C'è il racconto della Seconda Guerra Mondiale vista dalle pendici dell'Etna, con le vicende di paura e sacrificio di una famiglia borghese siciliana. C'è, anche, l'epopea del Pci nel Sud, raccontata attraverso l'adesione al partito da parte del narratore, giovane rampollo di una borghesia anticomunista, che finirà per occupare ruoli di alta responsabilità nell'organizzazione comunista e nella vita politica: da segretario cittadino del Pci a componente laico del Csm a parlamentare. E c'è il dramma del crollo del Muro, la conseguente mutazione di pelle del Pci e lo stravolgimento antropologico dell'intero Occidente. Ci sono, infine, i momenti cruciali della storia italiana contemporanea raccontati da un osservatore privilegiato: l'assassinio Moro, la morte di Berlinguer, l'avvento di Berlusconi nella scena politica fino alla più recente irruzione del M5s.
Nel libro c'è anche uno spaccato della gioventù catanese del Secondo Dopoguerra, con i suoi riti, le sue emozioni, le sue avventure nel Nord Europa raggiunto in autostop e rimasto nella memoria di alcuni per la natura e per le sue belle ragazze bionde.

A metà degli anni Settanta, il giurista catanese viene cooptato nel gruppo dirigente del Pci locale. La sua «incoronazione» avviene all'epoca del referendum sul divorzio con un comizio in piazza Università assieme al segretario nazionale del partito, Enrico Berlinguer. Dopo quell'evento, Barcellona fu candidato al Consiglio comunale e gli venne affidata la guida del Pci nella città di Catania che da poco aveva virato massicciamente a destra.
Erano gli anni del grande connubio fra intellettuali e Pci. Barcellona si lancia nella nuova avventura con la passione del neofita: scopre il proletariato cittadino, va a cena coi compagni comunisti e celebra l'avanzata del Pci del 1976 che riporta il partito a Catania oltre il 30% dei consensi.
A Catania, in particolare, il partito perse il 10% dei consensi rispetto al 1976.
Enrico Berlinguer, in un comizio a Catania, attribuì la sconfitta «all'eccesso di astrazione intellettualistica con cui alcuni dirigenti locali [il riferimento a Barcellona era evidente] avevano condotto la campagna elettorale». Il partito doveva tornare, secondo Berlinguer, alle cose concrete che interessano la gente: l'acqua potabile, l'illuminazione delle strade, i servizi di nettezza urbana. «Quando il comizio finì - annota Barcellona - mi allontanai da solo verso casa con un grande senso di amarezza».
Il professore catanese accetta la bacchettata, ma non s'arrende. «Ero stato sconfitto - annota nel suo diario - ma non avevo torto». Per Barcellona la questione meridionale è anche una questione del ceto intellettuale. «Il cuore del Mezzogiorno - sostiene - è malato di mediocrità subalterna e (...) ogni riscatto passa anche attraverso una nuova generazione di intellettuali coraggiosi, leali e non chiusi nelle accademie o nei centri di ricerca».
Riguardo alla propria situazione personale, Barcellona utilizza una frase che fotografa il suo percorso umano e culturale: «Ho sempre sfiorato l'abisso, ma non mi sono mai abbandonato».


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