Madrid - “In un paese del Sudest siciliano un giorno non si sa come e perchè arrivò un cane, un vecchio meticcio color miele...” Non è l’incipit di una favola di Italo Calvino o di qualche altro bravo fabulatore ma l’inizio di una storia vera.
Protagonista indiscusso un vecchio cane, un meticcio color miele, che subito qualcuno volle chiamare “Italo” forse sospettando una provenienza straniera.
Un randagio apparve una mattina del 2006, turista sui generis, nella splendida Via Francesco Mormina Penna, il salotto elegante di Scicli.
Da dove veniva? Chi fino a quel giorno l’aveva nutrito, l’aveva accarezzato?
Sono domande cui nessuno potrà dare delle risposte, purtroppo.
Un girovago lo aveva portato in quel posto e poi abbandonato?
Era rimasto orfano dell’affetto del suo padrone, un ragazzo rumeno che era morto, la tomba del quale il cane puntualmente visitava e riconosceva fra mille nel cimitero monumentale della città?
Una storia misteriosa, con un passato romantico forse, prese forma piano piano nel cuore della gente per diventare un’autentica fiaba.
Italo scelse Scicli e la conquistò con la sua mitezza, con una simpatia che oltrepassava il limite della parola.
La città aveva subito nella primavera del 2009 un vero e proprio choc.
Alcuni cani randagi avevano sbranato un bambino e aggredito altre persone nelle sue immediate vicinanze.
Ma non solo Scicli.
Una vera e propria crociata contro il randagismo, in quest’estremo lembo di Sicilia, aveva invocato il sacrificio dei cani senza un padrone in una lotta impari che vedeva l’uomo contrapporsi all’animale che più di tutti gli è stato fedele.
Italo si fermò, dunque, nel posto più incredibile e più inadatto per un cane, la Via Francesco Mormina Penna col suo splendido Municipio e gli storici palazzi della Borghesia illuminata e del potere.
Una strana coincidenza? forse.
Un segnale del destino? Sicuramente.
Ad ogni modo, l’inizio di una passione che non lascerà insensibili grandi e piccini, turisti e residenti, artisti e curiosi.
La città lo trasformò nella sua mascotte e lui si lasciò viziare, accarezzare, difendere, curare.
Sensibile all’affetto, rincorreva gli amici con cui amava giocare non distinguendo in loro l’uomo e il padrone; ne pianse con guaiti a volte la scomparsa, ne condivise le gioie.
Conosceva la città, di cui era diventato primo cittadino onorario, a palmo a palmo, percorrendola allegro quando guidava, impettito, le comitive di turisti che la visitavano e che non mancavano di dispensargli commosse carezze.
Come in tutte le fiabe più belle Italo morì di vecchiaia.
Il 31 gennaio del 2011, Italo partì per un ultimo viaggio. Lo fece sotto la pioggia forse per nascondere lacrime, insolite nella sua natura, di un malinconico addio senza ritorno.
Da quel giorno riposa nella Villa Comunale cittadina come accadeva un tempo per i figli migliori, per gli uomini illustri.
Ha lasciato, però, un gran rimpianto in quanti lo amarono e lo apprezzarono.
Voglio pensare ad Italo come alla più bella favola “vera” della mia vita: un ossimoro felice, un insperato miracolo.
All’angelo strano che ci visitò in un tempo di dolore trasformandolo in tempo di serenità e di grazia.
Voglio pensarlo come spesso lo vedevo, accucciato nella casetta posta a guardia del portone del Municipio, fedele custode dei sentimenti più genuini e più buoni della mia gente.
“Italo” è diventato ora per fortuna uno splendido film, una pellicola che ci aiuta ad elaborare il senso della sua perdita, che ne immortala l’intelligenza, la sensibilità, il cuore.
Complice di questo rinnovato incantesimo l’ottima Alessia Scarso, una promettente regista siciliana (chi meglio di lei poteva penetrare il senso più delicato e più commovente di questa storia?) che ha saputo magistralmente dirigere un cane addestrato e un formidabile cast di piccoli e grandi attori per restituirci, intatta, la magia del ricordo.
Italo. Il cane e il film
Come in una favola di Calvino
di Un Uomo Libero.
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