Scicli - Più passano i giorni e più l'immagine di quel quadro svanisce. Scrivere nell'immediatezza dell'esperienza sarebbe stato precipitoso, ho preferito invece ponderare, indagare, mettere insieme i pezzi di un inaspettato mosaico che continuano a non collimare perfettamente. Perché ne mancano.
Sono stata tra i pochi, 35 circa, che hanno avuto il privilegio di cenare con Monet. Una bella serata, la prima estiva, che ha finalmente permesso di lasciare a casa i cappotti invernali e di entrare in un ambiente di luce soffusa, profumato di erbe aromatiche, decorato con fiori e piccoli alberi a riprendere l'amore di Claude Monet per i Giardini, le tiepide e gioiose atmosfere primaverili, i piccoli specchi di cielo tra le foglie degli alberi, la passione per il suo Hortus Conclusus ma sempre in divenire: il Giardino di Giverny dove, addirittura, Monet al termine della sua vita, biologica e artistica, riesce portare le acque della Senna, deviandole all'interno della sua proprietà a nord-est di Parigi.
Una cena a base di ricette francesi accompagnata da champagne e dalla compagnia di un video-galleria di celebri opere e ritratti fotografici del Padre dell'Impressionismo. Incantevoli, potenti e naturalmente piacevoli aggettivo, quest’ultimo, intrinseco alla pittura di Monet e compagni ovvero la “Società anonima degli artisti, pittori, scultori, incisori ecc.” (questo il nome con il quale gli Impressionisti esposero per la prima volta nello studio del fotografo Felìx Nadar al numero 35 di Rue des Capucines, 15 aprile 1874).
Cena ottima, champagne perfetto, compagnia amabile, ambientazione mozzafiato, organizzazione impeccabile e un Monet!
Avevo ricevuto una piccola anticipazione, riguardava il formato dell'opera: un ovale. Sì ero stata precipitosa e presuntuosa -cosa che non stupisce :-) - deducendo che avrei visto o un vaso di fiori, una natura morta o un ritratto e propendevo più, credo a ragione, per la prima o la seconda ipotesi.
Entriamo, pieni di soggezione ed emozione, nella sala che ospita l'opera misteriosa destinata alla privilegiata visione. Non so gli altri commensali, suppongo siano rimasti un po' delusi nel non trovare una ninfea o un piccolo paesaggio alla maniera di Monet. Personalmente mi sono parecchio incuriosita cominciando a voce alta a fare ipotesi e domande sulla raffigurazione di una scena di battaglia combattuta da soldati con dei copricapi rossi (forse Zuavi, unità d'Elite dell'Armata Francese) all'interno di un ovale quasi completamente riempito da uniformi, berretti rossi e armi e sulla sommità del quale sventola una bandiera francese.
L'ovale era circondato da decorazioni “dorate” su fondo giallo dove si carpivano delle scritte e una data, per quello che si riusciva a leggere 1853, ma a quanto pare non sarebbero state realizzate da Monet e si tratterebbe di una decorazione di un autore ignoto. Fin qui la mia memoria, magari inesatta, di un'opera osservata per pochi minuti e sulla quale non sono state fornite molte spiegazioni né una riproduzione fotografica.
Comprendo benissimo gli accordi degli organizzatori con il fortunato proprietario che desidera rimanere nell'anonimato, comprendo meno le striminzite informazioni ricevute alla cena e quelle ancor più striminzite fornite ai giornali. Avere contezza di un'opera, delle sue ragioni, delle sue vicissitudini, della attuale collocazione e della primitiva provenienza, del suo far parte di un inventario o meno, è alla base di un qualsivoglia expertise o di una semplice curiosità su un'opera certamente insolita come soggetto e come stile; non credo che il minimo sindacale dell'informazione possa far risalire alle generalità del proprietario che continuerebbe a rimanere anonimo e a godersi nell'anonimato questa scena di battaglia, La Dernière Résistance, firmata Claude Monet.
Anch'io nell'immediato ho ipotizzato fosse la Guerra Franco Prussiana ma desideravo delle conferme nette. Così come volevo avere notizie circa la datazione: mi viene detto, e leggo sui giornali, primi del Novecento.
Leggo inoltre: “Il dipinto, in realtà un bozzetto per un tondo da affrescare sul soffitto di un nobiluomo italiano, raffigura una scena della guerra franco – prussiana, evento militare a cui Monet partecipò realmente durante la sua gioventù”.
In realtà, in serata, rettifico la prima supposizione e comincio a mettere insieme i pezzi. La Guerra Franco Prussiana fu combattuta dal 19 luglio 1870 al 10 maggio 1871 tra il secondo Impero francese (e dopo la caduta del regime, dalla terza Repubblica francese) e il Regno di Prussia. Monet fece il servizio militare nel 1861 e ad Algeri dove rimane colpito dalla luce e dai colori che lo aiutano a sviluppare il suo amore per la natura, per la vita all'aria aperta e, di conseguenza, per la pittura en plein air. L'anno dopo Claude Monet viene rimpatriato per ragioni di salute senza completare il servizio militare che, secondo le norme allora in vigore, sarebbe durato ben sette anni, a meno che non si fosse trovato un sostituto, disposto a svolgere il servizio in sua vece.
Nel 1870 quando scoppia il conflitto Franco Prussiano Monet, per evitare il richiamo alle armi, decide di trasferirsi a Londra; la moglie ed il figlio lo raggiungeranno poco dopo. La famiglia si stabilisce dapprima a Piccadilly, poi a Kingston.
Dunque Monet non partecipa alla guerra del 1870-71.
Venezia e Monet, primi del Novecento. È vero nel 1908 Claude Monet e la sua seconda Moglie Alice Hoschedè, la prima moglie Camille Doncieux era venuta a mancare per una malattia incurabile a soli 32 anni, fanno il loro primo viaggio veneziano. Saranno a Venezia da ottobre a dicembre e Monet ci ritornerà l'anno dopo, forse, per poi dipingere a memoria delle vedute veneziane. Non risulta dalle fonti, certamente non esaustive, in mio possesso, e sarebbe interessante poter avere la possibilità di un confronto con fonti dettagliate alla mano relative all'opera ospitata a Scicli, che Monet fosse stato incaricato di decorare un palazzo aristocratico di Venezia del quale l'opera della blindatissima cena sarebbe uno studio preparatorio.
Venezia, 7 dicembre 1908 Allo scrittore Gustave Geffroy:
“[...}Preso dal lavoro, non ho potuto scrivervi, lasciando a mia moglie la cura di darvi notizie. Essa ha dovuto dirvi del mio entusiasmo per Venezia. Ebbene, questo non ha fatto che crescere, allo stesso tempo di tutta questa luce inimitabile. Io me ne rattristo. È così bello! Ma occorre farsi una ragione [...]. Mi consolo al pensiero di ritornarvi l'anno prossimo, perché non ho potuto fare che qualche assaggio, qualche avvio di lavoro.
Ma che disgrazia non essere venuto qui quando ero più giovane! Quando avevo tutte le energie! Passo ugualmente momenti deliziosi, dimenticando quasi di essere il vecchio che sono.”.
I riflessi sull'acqua, la luce dei diversi momenti del giorno che si riverbera sugli incantati palazzi della nobiltà veneziana, una pennellata che disgrega le forme e di esse lascia il fantasma: è la Venezia raccontata da Monet in un ciclo di sublimi tele lontane dal soggetto per un tondo da soffitto in una dimora della Laguna Veneta. Venezia, sono parole di Monet, “è l'Impressionismo in pietra”.
Era già il tempo delle serie: dei covoni, delle cattedrali, delle straordinarie Ninfee soggetto indagato per circa trent'anni a Giverny dove il pittore si trasferisce nel 1883. Un ciclo immenso quello delle Ninfee con 250 dipinti, una vera e propria ossessione per Monet che il 12 novembre 1918 donerà allo Stato Francese - per celebrare la vittoria alla fine della Prima Guerra Mondiale - il massimo esito, anche per dimensioni, con protagonista l'esotico fiore acquatico.
Il destinatario della missiva dove Monet esprime la sua volontà era il discusso Primo Ministro George Clemenceau, amico, ammiratore dell'artista e autore di due saggi un libro dedicati al Maestro.
I grandi ovali delle Ninfee si possono ammirare, sempre, all'Orangerie delle Tuileries.
Probabilmente non vedremo mai più il silenzioso e misterioso Monet “di Scicli”, l'immagine svanirà fino a diventare una vera e propria “Impression” a meno di non poter incastonare, con il regalo di maggiori dettagli, La Dèrniere Résistance all'interno della lunga esperienza pittorica di Monet del resto, e per rimanere in Francia, “le Bon Dieu/Diable est dans le dètail”.