Chiaramonte Gulfi - Quando la fisica e la metafisica s’incontrano, lì a metà strada c’è Eikon, la mostra d’arte sacra dell’artista Giuseppe Bertucci, inaugurata ieri pomeriggio a Palazzo Montesano a Chiaramonte. Nata da una burla organizzata dallo stesso artista su Facebook, simulando il ritrovamento di un’antica pittura su pietra, Bertucci in realtà ha dimostrato con questa mostra un concetto per certi versi innovativo del sacro. Colpisce e lancia un messaggio, conquista e fa riflettere: questa è l’impressione generale che si ha visitando le 22 composizioni che Bertucci ha messo a disposizione della collettività. Durante l’inaugurazione, l’artista spiega: “Il sacro è un elemento della struttura della nostra coscienza”. In questa frase è racchiuso il significato profondo dell’intera mostra. Il nome stesso, Eikon, significa “icona” e immediatamente siamo portati a pesare all’immagine sacra. Ma non è questo il senso della mostra di Bertucci. Se lo fosse, sarebbe banale. Per l’artista, infatti, il sacro si manifesta sotto qualsiasi forma e sceglie di incidere su pietra, accanto alle icone della cristianità, passi tratti dalla dottrina del cuore del Tasawwuf, l’esoterismo islamico, dalla filosofia greca (Socrate, Eraclito) e dalla tradizione egiziana (preghiera a Iside). Forse, per far comprendere meglio il messaggio dell’artista, potremmo affidarci alle parole stesse di Eraclito: tutto è uno, ogni cosa è tutto. Ma evidentemente, l’artista non si accontenta di far passare soltanto questo messaggio. Giuseppe Bertucci, infatti, richiama nelle sue opere elementi di fisica quantistica che danno un ulteriore livello di interpretazione alle sue opere. La presentazione di questo livello di conoscenza, viene spiegato dal fisico Maurizio Re che, insieme allo storico Giorgio Flaccavento, hanno aperto l’inaugurazione: “Sono rimasto colpito dall’uso sapiente di simboli che Bertucci utilizza nelle sue opere. La fisica, da Galileo e Cartesio, ha seguito una strada autonoma dalla filosofia, ma il prezzo da pagare è stato il materialismo. Lo scopo di un fisico è quello di interpretare l’universo e rispondere a tre domande: chi siamo? Da Dove veniamo? Dove andiamo? Per questo, la fisica è connessa in maniera indissolubile con la metafisica e il suo scopo iniziale non deve mai essere dimenticato. Bisogna ritrovare ciò che è sacro anche nella scienza. La fisica è in crisi da questo punto di vista da più di cento anni, perché fino agli inizi del ‘900 si pensava che potesse dare risposte a qualsiasi domanda. Ma ciò non è successo. Oggi, con l’avvento della fisica quantistica, abbiamo più domande che risposte. La fisica quantistica ha bisogno di unirsi alla filosofia perché una cosa è certa: di questo universo non abbiamo capito ancora quasi niente”. I riferimenti ai Quanti, nelle opere di Bertucci, sono tantissimi: accanto all’immagine della Madonna col Bambino compare la scritta: “Omnia Vincit Amor”, l’amore vince su tutto. A lato, l’equazione di Dirac che rappresenta lo stato di una o più particele quantistiche e descrive il fenomeno dell’entanglement quantistico, un fenomeno per cui due particelle generate assieme da un sistema, manterranno un legame indissolubile anche se poste a grande distanze: “Se non è questo Amore?”, sorride Maurizio Re. Naturalmente, l’invito non è quello di fare il calcolo, piuttosto quello di comprendere un simbolo, un messaggio. Oppure, nella classica immagine iconografica del cuore ardente di Gesù, non vi sono le fiamme che lo lambiscono, piuttosto viene rappresentata la struttura classica dell’atomo. Anche i riferimenti alchemici non mancano: nell’immagine di San Margherita che la tradizione fece mangiare dal drago, viene rappresentato accanto il triangolo con i tre principi alchemici: lo zolfo, il mercurio e il sale e la scritta latina: Syzygia est radix elixiris (l’unione è la radice degli elisir). Il significato è quello di rappresentare, visivamente, il dualismo degli opposti. Per dirla con una frase di Anassimandro: “Il principio degli esseri è l’infinito”.
Dalla burla, alla fisica, per finire alla metafisica
Da Facebook all'arte contemporanea
di Irene Savasta
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