Riceviamo e pubblichiamo
di Cesare Lo Magno

Gentile Direttore,
la nostra terra ci rende vivi, con le sue pazienti, interminabili e silenziose testimonianze dell’inesorabile scorrere della Storia; è lei che custodisce fedele le nostre radici, che dovrebbero restare per tacito accordo intatte finché lo voglia il Tempo, nella loro venerabile presenza meditabonda e fragile, volatile, aerea.
Essendomi recentemente recato in visita al Museo Archeologico Regionale di Camarina, ho avuto il privilegio di potermi avvicinare a quelle che sono le ultime tracce di una popolazione stroncata da tutti i tumultuosi eventi di un’esistenza e che nella loro esteriore parvenza di semplici oggetti sono giunte sino a noi, in tutta la loro limitatezza materiale. Ma tutto ciò non dovrebbe indurre noi, fuggevoli uomini della modernità ed esponenti di una società fondata su princìpi ancor più labili ed effimeri, ad una breve pausa di riflessione in merito alla fondamentale importanza di ciò di cui siamo stati resi depositari? Come quel popolo, direbbe Melville, che arroccato sul limitare della terra familiare e benigna si volgeva intrepido all’inconoscibilità del mare, lasciandosi cingere dalla sua immane e indomita potenza, mentre si dibatteva soggiogato dalle raffiche di tempesta senza ammettere sconfitta, anche noi viviamo la stessa Vita, lo stesso Mare, e nel ricordo di quei lontani parenti e, nella presenza di ciò che di loro resta, possiamo trovare quel piccolo nido di calore ove ritrovarci tutti uniti nella fredda immensità, per poi affrontare ciascuno il proprio unico e trepidante passo in avanti nel grande cammino collettivo nel Tempo. Tutto questo è la nostra più preziosa ricchezza, che, purtroppo, avanza quotidianamente verso un inevitabile tramonto a causa della nostra sistematica indifferenza e superficialità: il totale stato di abbandono in cui versa infatti l’area archeologica di Camarina, che circonda l’edificio del museo vero e proprio, crea infatti un radicale contrasto con le meraviglie degli spazi interni, che reputo invece ben curati ( anche se privi di didascalie in lingua inglese); la quasi totale assenza di cartelli esplicativi, spesso giacenti a terra e dimenticati, rende difficoltoso al visitatore l’orientamento e l’interpretazione dei resti fin dall’inizio del percorso, delimitato a partire dal tempio di Atena sino all’agorà da una malconcia staccionata crollata in più punti e miseramente sostituita da uno squallido nastro di plastica. Giunti nell’agorà, si possono facilmente notare un cartello, raffigurante la planimetria del luogo stesso, corroso dalla salsedine e giacente al limitare della stoà Nord; le coperture in materiale plastico, volte alla protezione degli scavi, frantumate dalle intemperie e disseminate sul suolo quasi fino all’edificio del museo; e le impalcature, destinate a sorreggere le suddette protezioni (ormai inesistenti), “scavate” in profondità dall’aria salmastra e pericolanti (non a caso, la direzione ha previdentemente deciso di imporre una liberatoria a chiunque voglia avere accesso all’area museale esterna: in fondo non si sa mai, ed è meglio evitare noie…). Tutto questo porta infine, a mio parere, ad una scarsa valorizzazione di ciò di cui il visitatore è reso partecipe, mentre le erbacce, i rifiuti portati dal vento ed i tagli nella rete di recinzione effettuati non certo da appassionati neolaureati in Archeologia contribuiscono di molto a ingentilire il paesaggio, che risulta tollerabile solo grazie alla generosità incondizionata di Madre Natura, la quale ci offre, nonostante tutto, uno scenario assolutamente favoloso.
Con ciò, vorrei indurre CHI DI DOVERE a riflettere sulla trascuratezza che caratterizza la splendida area archeologica di Camarina, ricordando che l’uomo incivilito, privato di una civiltà, non è niente!
Ringraziandola per la sua attenzione e cortesia, nella speranza che la mia lettera venga pubblicata, le porgo i miei migliori saluti
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