Scicli - Entrare all’interno del laboratorio di un artista, è come varcare la soglia del ventre molle di un segreto ben custodito. E’ un onore, oltre che un privilegio. Decidere di far oltrepassare quella soglia ad un’estranea vuol dire mettersi a nudo di fronte ad un interlocutore, far vedere qualcosa della tua vita lavorativa, i tuoi segreti, i tuoi attimi d’intimità. E’ questa la sensazione che ho avuto entrando nel laboratorio di Carmelo Candiano, l’artista della pietra, colui che plasma la materia che, per sua natura, non sarebbe plasmabile. Arriviamo intorno a mezzogiorno percorrendo una strada piena di carrubi e olivi. Non saprei dire il nome della contrada non essendo io sciclitana. Non ricordo assolutamente il tragitto e quindi, molto probabilmente, non saprei neanche ritornarci. In questa zona, noto subito che non c’è campo per i telefoni cellulari. Non che la cosa sia un problema, per me, tutt’altro. Apprezzo, infatti, la sottile poesia dietro questa non scelta. E’ un po’ come trovarsi catapultati nell’isola che non c’è, un luogo non definito nello spazio-tempo, inaccessibile. Qui, il superfluo resta fuori, compresi tutti coloro che in quel momento non sono necessari. E penso subito che forse, decidere di abitare in un posto così, non sarebbe uno spreco.
Scendiamo dall’auto e subito due cani meticci ci vengono incontro: docili, cercano carezze. Forse un po’ d’affetto, d’attenzione. Carmelo Candiano ci viene incontro e ci saluta cordialmente: porta i sandali e ha l’abbigliamento tipico di chi stava lavorando, ma senza troppo impegno, quasi come un’abitudine.
Trascorre lì le sue mattinate e talvolta intere giornate: una casetta modesta e una dependance che funge da laboratorio. Ci accoglie in questo ambiente rustico, familiare, interessante: in giro, opere incomplete, foto di famiglia, ritratti di dive del passato. E poi, la pietra. E’ sul retro, la pietra, pronta per essere plasmata: “Questa viene dal nord Africa”, spiega Carmelo Candiano. L’accarezza, quasi come se fosse una bambina. Le venature al sole, la polvere a terra, un reticolato segreto di cui solo lui conosce la finalità. S’intuisce il presagio di qualcosa, ma è ancora un lavoro in divenire, avvolto nel mistero. Poi, Candiano ci fa accomodare nel suo studio: ci sono le opere che l’hanno reso celebre e fa scegliere a Peppe una stampa: vuole fargli un regalo. Un quadro. Un prezioso e inestimabile quadro. Sono tante le proposte, ma alla fine la decisione è presa. Il giglio rosso. Poi, chiede a me come mi chiamo e io rispondo.
Ed è la prima volta. Il primo uomo a dedicarmi qualcosa è stato Carmelo Candiano.
Foto di Gianni Mania