Cultura
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16/06/2017 21:59

Minchia di mare. Non si può parlare della Sicilia in italiano

Arturo Belluardo racconta la Sicilia tra vecchio e nuovo

di Redazione

Arturo Belluardo
Arturo Belluardo

Davide vive nella borgata di una piccola città siciliana, una provincia avvolta nei suoi miseri rituali: la processione dell’Addolorata, la gara di sosia di Raffaella Carrà, le sanguisughe per i salassi, la perdita della verginità con le prostitute del lungomare Una provincia in cui l’attualità degli anni Settanta filtra attraverso la televisione e i giornali ma rimanendo in sottofondo, mai protagonista, Davide è un bambino prigioniero: di un’infanzia che sembra non finire mai, della vita degradata della periferia, di un padre violento che lo considera senza spina dorsale, un buono a nulla una “minchia di mare”.

In Minchia di mare Arturo Belluardo (siracusano, bancario, ex studente Luiss Guido Carli) racconta la Sicilia tra vecchio e nuovo. Belluardo, siracusano quarantenne, ricorre al dialetto come a un rafforzativo che aiuta a definire un ambiente, che serve per raccontare e raccontarsi, per dare carattere e necessità a un’esperienza di vita per niente originale.

Davide è una sorta di Pel di carota di una società dove i mezzi d’informazione hanno grande peso e con un padre maschilista e manesco: un vecchio e un nuovo poco simpatici. Non è stato facile crescere in quel mondo e in quegli anni e oggi è ancora più difficile, tra adulti comunemente alienati. I Davide sono milioni, e il sonno degli anni ottanta e novanta ha gravato i loro fratelli minori di pesi anche maggiori e di maggiore imbecillità.

“Ho cercato di utilizzare contemporaneamente il piano drammatico e quello comico: si ride molto, ma si ride amaro e, dove c’è da piangere, emerge sempre uno sberleffo -dice Arturo- . Un pò come nella cucina siciliana, caratterizzata dall’agrodolce. Sebbene io abbia lasciato Siracusa a diciannove anni, il mio linguaggio, il linguaggio della memoria, è fortemente permeato dalle mie origini: per questo ho fatto ricorso agli intarsi in dialetto, in modo che il romanzo avesse una sua verità fino in fondo. Non si può parlare della Sicilia in italiano”.