Un clima sempre più estremo, feroce, altalenante. Alluvioni e nubifragi sono sempre più all'ordine del giorno. Quello italiano somiglia sempre più al clima tropicale della Savana. Temperature torride, piogge torrenziali - per lo più concentrate, però, nella stagione calda - e da 3-4 mesi invernali molto siccitosi.
In Italia, dal 1970 ad oggi, la temperatura media estiva abbia subito un brusco balzo all’in sù (tra +2.5 e + 3.5°C). Piovosità e siccità, tuttavia, non sono regolari e prevedibili come nei climi tropicali. Non vi è dubbio che siano aumentati gli eventi estremi.
Le somiglianze fra Italia e Tropici sono solo apparenti perché in Italia non vi è una regolare periodica alternanza tra la stagione delle piogge e quella della siccità e, per di più, la stagione secca, fatta eccezione per le Alpi, cade in estate, ovvero proprio quando ai tropici piove di più.
Allora perché i mass-media, ma anche alcuni “addetti ai lavori”, affermano, impropriamente, che in Italia vi è una deriva verso la tropicalizzazione? Frutto di un bislacco sillogismo: “Ai tropici fa molto caldo, vi è una stagione con piogge torrenziali e una lunga stagione secca; ma anche in Italia sono diventate frequenti le ondate di caldo torrido, le piogge torrenziali e i prolungati periodi di siccità; quindi il clima italiano sta diventando tropicale”.
Gli effetti dei cambiamenti climatici sono particolarmente evidenti in Italia, perché il bacino del Mediterraneo è una delle zone in cui il riscaldamento globale ha iniziato a mostrarsi precocemente. A partire dall’800, la temperatura nel nostro paese è salita in media di un decimo di grado ogni 10 anni, e negli ultimi decenni il fenomeno si è velocizzato: l’Italia, oggi, è di un grado più calda rispetto agli anni Sessanta.
Quando l’aumento di temperatura sarà stabilmente oltre i due gradi in più rispetto all’era pre-industriale, ammonisce l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) delle Nazioni Unite, i cambiamenti climatici potrebbero diventare irreversibili.
Venezia, Versilia, le saline di Trapani, il cagliaritano: sono solo alcune delle 33 zone che corrono il rischio di essere allagate entro il 2100, a causa dell’innalzamento del livello del Mediterraneo. A raccontarlo è uno studio di Fabrizio Antonioli, del Centro Ricerche Casaccia dell’Enea, e le previsioni dell’Ipcc, secondo cui le acque italiane si solleveranno di 50 centimetri nei prossimi cento anni per effetto dei soli cambiamenti climatici.
A questi andrà sommato l’abbassamento della superficie terrestre, per un aumento netto di quasi un metro. Tutto perché, a causa delle temperature sempre più calde, le calotte polari si sciolgono e riversano in mare aperto enormi masse d’acqua allo stato liquido, che innalzano il livello degli oceani e mettono a repentaglio intere zone costiere.
Negli ultimi cento anni, per effetto dei soli cambiamenti climatici (cioè al netto di altri fattori, come il movimento della crosta terrestre), il livello del mare è salito, nel mondo, di quasi venti centimetri. Se dalle nostre parti le cose vanno leggermente meglio (l’innalzamento registrato nel Mediterraneo è di tredici centimetri e mezzo) è solo grazie all’“effetto diga” esercitato dallo stretto di Gibilterra, ma c’è poco da stare sereni.