Scicli - Giuseppe Miccichè figlio di Antonuzzo nacque a Scicli nel 1558.
Una famiglia potentissima, quella dei Miccichè di Scicli, e soprattutto molto ricca grazie a una strategia matrimoniale di tutto rispetto e a diversi lasciti importanti.
Da quasi cinque secoli Giuseppe Miccichè ha legato e lega il suo nome ai destini della città di Scicli.
La vicenda dell’unico figlio Vincenzo, morto in giovane età, ha specialmente commosso e interessato i tanti autori di Storia Patria che nel corso del tempo hanno scritto e lasciato memorie sulla città di Scicli. Soprattutto la fondazione nel Seicento di un Collegio gesuitico a Scicli e il relativo legato a istituire un centro d’istruzione superiore che servisse all’educazione del popolo costituirono all’inizio del Novecento l’esempio perfetto da imitare per il giovane Regno d’Italia, frutto di un’illuminata e profetica filantropia.
Sui testamenti di Giuseppe e del figlio Vincenzo mi dilungherò in un prossimo lavoro, a causa della complessità della materia non esauribile certamente in un semplice pezzo giornalistico.
Qui voglio solo rettificare qualche notizia sbagliata contenuta nella guida storica ai monumenti della città di Scicli offerta on line dal Comune di Scicli nel suo “sito” ufficiale.
La mia correzione riguarda, infatti, i monumenti funerari ora presenti nella Chiesa di San Bartolomeo Apostolo di Scicli, relativi alle sepolture di Giuseppe Miccichè e del figlio Vincenzo, oggi purtroppo relegati ai lati della porta principale del tempio.
La loro sistemazione, infatti, era stata pensata per testamento ai lati dell’altare maggiore proprio nel “cappellone”.
Giuseppe Miccichè aveva voluto la cappella principale della chiesa fastosa e ricchissima non tanto perché avrebbe ospitato il suo corpo e quello del figlio bensì perché nel tabernacolo dell’altare maggiore si sarebbe dovuta conservare l’Eucarestia, in virtù di uno speciale permesso richiesto al Vescovo di Siracusa.
La chiesa di San Bartolomeo si sarebbe, dunque, trasformata in una specie di filiale della Chiesa Matrice di San Matteo.
Era nota la grande devozione sia del padre sia del figlio al Santissimo Sacramento davanti al quale sempre per testamento sarebbe dovuta ardere in perpetuo, giorno e notte, una lampada votiva. Era anche molto frequente per quei tempi inumare i corpi quanto più vicini all’altare principale della chiesa quasi per ricevere l’anima, dal sacrificio della messa, un certo sollievo nel suo cammino catartico verso i cieli di Dio.
Ebbene, quando fu istituita la Collegiata di San Bartolomeo e fu necessario dotare il presbiterio degli stalli, le prime cose a saltare furono proprio le tombe dei Miccichè, in barba a qualsiasi disposizione testamentaria.
I sepolcri furono smontati e rimontati, confinati nei siti attuali.
Un modo tutto sciclitano di essere riconoscenti e rispettosi della morte e dei testamenti.
Giuseppe Miccichè aveva commissionato le due sepolture mentre ancora viveva a un artista di sua fiducia, Francesco Puzzo
“Et quando a Dio piacerà che io passirò di questa vita voglio ordino, e comando che lo mio Corpo si debbia seppellire nella Chiesa di Santo Bartolomeo di questa Città (Scicli, ndt) dentro la Cappella maggiore di detta chiesa la quali Cappella ho fatta fabbricare, e fare, e si sta facendo à mie spesi, et ordino e comando che dalla parti dell’Epistula di detto altare sia collogato il corpo del quondam Don Vincenzo Miccichè mio figlio, et dall’altra parte dell’Evangelio il detto mio corpo con li dui sepulchri quali ho ordinato farsi per maestro Francesco Puzzo conforme alli desinni...li quali sepulchri non si trovando fatti, et forniti in tempo della mia Vita siano obligati quelli fare complire l’infrascritti miei heredi universali (i Padri Gesuiti, ndt), et pagare la somma che si dovrà giusta la forma del quontratto et portarli in detta Cappella con carrico et obligo di mettere sopra il sepulchro di detto mio figlio l’Imagine di San Carlo Borromeo et sopra lo mio Sepulchro l’Imagine di nostra Signora della Concettione la quale Imagine siano bene ornati, et accomodati, et inclusi nella detta spesa dell’onze trecento, e questo è il mio volere, et non altrimenti ne d’altro modo.”
In seguito, quasi un mese prima che morisse, Giuseppe Miccichè “quia voluntas hominum est deambulatoria” dettò al notaio un “codicillo” cioè alcune clausole in aggiunta o a spiegazione delle disposizioni contenute nel precedente testamento scritto di suo pugno, firmato al cospetto di molti testimoni e per questo da lui chiamato “solenne”
“Item ipse Codicillator declaravit, et declarat se esse debitorem magistri Francisci Puzo in summa et pro causa q/tta in publico jnstrumento...in computum cuius fuerunt solute unc/ mille pec/ pred/to mag/ro Francisco virtute notar/in margine dict/ q/ttis, et volens quod opus conservationis Cappelle maioris, et monumenta in Ecclesia Sancti Bartholomei ad quod tenetur pred/us m/r Franciscus quam citius expediant/ juxta formam eius obligationis reliquit, et relinquit Vinc/ Passanisio illas pecunias...
Lasciava delle somme a Vincenzo Passanisi, suo procuratore ma anche figlio sentimentalmente adottato, per provvedere alle spese funerarie e per saldare i conti delle varie committenze tra cui proprio quello dei monumenti funebri commissionati al maestro Francesco Puzzo
“pred/to m/ro Francisco pro expeditione dict/ operis, et solutione, et satisfactione summe per ipsum Codicillatorem debite..”
Alla luce, dunque, dei documenti citati e inoppugnabili chi ha compilato la guida ai monumenti della città di Scicli su incarico del Comune dovrebbe ora spiegarmi da quale manuale Cencelli abbia appreso la notizia che autore delle sepolture dei Miccichè è stato lo scultore Francesco Lucchese.
Voglio sperare che questa segnalazione sia presa nella debita considerazione e si provveda da parte del Comune di Scicli al più presto alla correzione.
Purtroppo i Miccichè nel corso del tempo hanno subito diversi “affronti”.
Dalla nuova ubicazione delle sepolture all’interno del tempio di San Bartolomeo già raccontata, alla rimozione di un busto commemorativo in piazza Municipio nel Novecento, all’ultima clamorosa e vergognosa demolizione, eseguita negli anni Sessanta del secolo scorso, del convento gesuitico ricostruito dai Nostri Padri con grande e fine intuizione dopo il terremoto del 1693.
Forse sarebbe ora di prendere coscienza della storia secolare e intoccabile della città di Scicli.
Il primo necessario atto dovrebbe essere la pronta ricostruzione del demolito Collegio, già citato, com’era e dov’era. Un atto dovuto, necessario, per restituire a un popolo l’eccezionalità gratuita di un dono.
Sarebbe opportuno, poi, che si ripristinasse la celebrazione delle messe in suffragio disposte per testamento e, in seguito, sacrilegamente soppresse.
A questo potrebbe provvedere da subito il Parroco di San Bartolomeo di concerto con la Confraternita, magari celebrandone una durante la festa dell’Immacolata Concezione di Maria, culto al quale Giuseppe Miccichè fu in vita particolarmente devoto.
Per il resto faccio un appello alle nuove generazioni perché siano più vigilanti della mia e non consentano mai più gli scempi e i sacrilegi che sono stati perpetrati ai danni di questa e di altre importanti memorie del nostro glorioso passato.
CREDITI
Archivo Histórico de Protocolos de la Comunidad de Madrid
Archivio di Stato di Ragusa sezione di Modica
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