Faceva freddo e la strada era deserta. Franco, ladro di professione come me, tirò fuori dalla tasca un grimaldello per forzare la cler del più fornito negozio di alimentari del quartiere.
<<Se non riusciamo ad entrare mi devi una cena>> dissi nervoso.
<<Stai calmo, Giacomo. Vedrai che fra un minuto sarà tutto risolto>>.
Sentii uno scatto e tirai un sospiro di sollievo.
<<Ecco fatto! Visto? Non sono ferramenta per caso. Prego, si accomodi>>, mi canzonò.
L’idea di rapinare quel negozio era stata mia. Avremmo potuto rubare altrove, in posti più ricchi ed eleganti, ma per entrambi era una questione personale.
Il signor Ernesto Galli, un tipo belloccio sulla quarantina, proprietario del negozio che avevamo preso di mira, non era solo un arrogante egocentrico ma anche un donnaiolo. Laura, sua moglie, lo chiamava “Ernesto il porco” e se non aveva ancora chiesto il divorzio era perché non voleva rinunciare alla sua vita agiata. Non erano affari nostri se Ernesto ci provava con tutte le sciacquette del quartiere, ma guai a toccare le nostre donne. Elisa, mia moglie, mi aveva raccontato di aver faticato parecchio per tenerlo a bada durante la festa del quartiere. E anche Franco aveva qualcosa da recriminare visto che Ernesto gli aveva soffiato un’avvenente ragazza a suon di belle parole e di regali, che il mio amico non poteva permettersi.
Ernesto Galli meritava una lezione e cosi, con la complicità di Elisa che avrebbe fatto da palo, avevamo programmato il colpo per il giovedì successivo, nel giorno in cui Ernesto e la moglie Laura cenavano regolarmente fuori in un rinomato ristorante del centro.
Alzammo la cler ed entrammo nel negozio. Dovevo riconoscerlo: anche se era un viscido donnaiolo, di gusto Ernesto ne aveva da vendere. Aveva sistemato il negozio in modo elegante e raffinato, dove il bianco dominante degli arredi si sposava a meraviglia con i prodotti e le confezioni colorate esposte sugli scaffali. Ispezionammo velocemente il locale e ci accorgemmo che nel retrobottega del negozio una scala a chiocciola conduceva al suo appartamento al primo piano.
<<Va bene, che cosa facciamo adesso?>> mi chiese Franco eccitato.
<<Prima prendiamo i soldi nella cassa e poi facciamo piazza pulita di prosciutti, salami e formaggi>>, dissi divertito mostrandogli due sacchi di iuta che avevo portato per il colpo.
<<Sicuro che possiamo procedere?>>.
<<Tranquillo>>, gli risposi. <<Elisa li ha appena visti entrare, mi ha mandato una foto>>.
Tirai fuori il cellulare e gliela mostrai. Poi, mi avvicinai alla cassa illuminandola con una torcia.
C’era una bella somma lì dentro: sei banconote da cento, sette da cinquanta e moltissime da venti e dieci. Buttai tutto nel sacchetto lasciando solo gli spiccioli da uno e due centesimi mentre guardavo divertito Franco che afferrava salumi e formaggi con la grazia di un elefante. Passava da un punto all’altro del negozio sgranando gli occhi per tutto quel ben di dio che aveva davanti: bottiglie di vino, champagne, paté, salmone affumicato, salami.
Sentendosi osservato, mi fissò.
<<Non ti preoccupare, ti faccio assaggiare tutto!>>. Scoppiai a ridere, il colpo stava andando secondo i piani. Mi sedetti e sbadigliai. Quella mattina mi ero svegliato presto, mi sentivo stanco e avevo voglia di riposare.
<<Non ti addormentare, controlla il cellulare, l’ho sentito vibrare>> mi spronò Franco.
Lo guardai, era in modalità silenziosa. In effetti c’erano due chiamate senza risposta di mia moglie e un sms in cui ci avvisava che Ernesto e la moglie avevano litigato e stavano rientrando a casa prima del previsto.
Riacquistai tutte le energie e incitai il mio amico a sbrigarsi,
<<Chiudi tutto e andiamocene. I Galli hanno lasciato il ristorante, non penso che verranno subito qua ma è meglio non rischiare...> stavo per finire la frase quando sentimmo delle voci all’esterno, nella strada dove affacciava il negozio. Trattenemmo il respiro. Oramai non potevamo più fuggire senza essere visti.
Dovevamo aspettare che salissero nel loro appartamento prima di poter sgattaiolare fuori.
<<Io voglio delle spiegazioni>> starnazzò una voce acuta di donna.
<<Stai zitta! Hai parlato abbastanza per stasera. Sei ubriaca. Che figura che mi hai fatto fare!>> rispose a tono una voce maschile infilando le chiavi nel portone. Erano loro, riconoscevo le loro voci anche se non riuscivo a vederli. Continuarono a litigare anche mentre salivano le scale. <<So tutto! Fuori dal ristorante c’era quella donna!>> urlò isterica.
Sentimmo sbattere la porta, erano entrati in casa e i toni erano diventati più accesi. <<Quale donna?>>.
Ernesto era sorpreso.
<<Adesso fai anche finta di non averla vista. Quella che è rimasta impalata per un’ora davanti al ristorante. Ci sei andato a letto, ne sono sicura. Ci ha scattato anche una foto!>> sbuffò la donna.
Mi veniva da ridere, stavano parlando di mia moglie che erì lì a fare da palo. Franco mi fece segno di andarcene, la situazione si stava complicando ma io volevo continuare ad ascoltare. Dissi a Franco di fare la guardia fuori del negozio mentre io imboccavo la scala a chiocciola del retrobottega per origliare meglio.
<<Sono stufa delle tue storielle con tutte le baldracche che incontri>>, gridò velenosa la donna con tutta la rabbia che aveva in corpo.
Il marito non si scompose. <<Mi spii?>>.
<<Non ne ho bisogno, lo sanno tutti. Sono lo zimbello del quartiere>>.
Calò bruscamente un silenzio minaccioso. Franco mi tirò per la maglietta sollecitandomi ad andarcene. Dovevamo scappare con il bottino, e in fretta. Ma io mi stavo appassionando a quel dramma familiare, non volevo perdermi il finale, e quando udimmo un urlo seguito da un tonfo ci rendemmo conto che la storia stava prendendo una piega drammatica.
Sentii che la donna singhiozzava, probabilmente aveva ricevuto uno schiaffo o una spintone dal marito che le aveva fatto perdere l’equilibrio facendola stramazzare al suolo. Non capivo se piangesse per l’umiliazione o per le contusioni riportate. Anche se era una pessima idea, decisi di aprire la porta del retrobottega che portava all’appartamento per vedere cosa stesse succedendo. Abbassai pian piano la maniglia e dalla piccola fessura che mi ero ritagliato per guardare all’interno, senza essere scoperto, vidi che la donna aveva in mano un pesante posacenere in vetro ed era pronta a scagliarlo contro il marito.
<<NON TI PERMETTERE MAI PIU’ DI TOCCARMI>> urlò in preda ad una furia irrefrenabile.
Alzò il posacenere per lanciarlo, ma Ernesto la bloccò tenendole i polsi. Nella concitazione del momento l’uomo perse il controllo e le sferrò un secondo schiaffo, ancora più violento del primo, che fece precipitare la situazione. La donna corse in cucina e ritornò in sala brandendo un coltello affilato.
<<Non ti avvicinare, voglio il divorzio e mi devi lasciare la casa, il negozio, la villa al mare. Devi ripagarmi di tutto il male e le umiliazioni che mi hai costretta a subire!>>, gridò puntandogli contro l’arma.
Ernesto sbiancò in volto. La situazione gli era sfuggita di mano. Cambiò tattica cercando di placare l’ira della moglie.
<<Laura, tesoro. stiamo esagerando. Hai ragione, non dovevo colpirti, perdonami. Il coltello...mettilo giù>>. Adesso si sarebbe sistemato ogni cosa, pensai, lei avrebbe avuto una crisi isterica e tutto si sarebbe risolto in un abbraccio.
Mi sbagliavo. Laura fissò con rancore il marito ma non disse nulla. Sembrava intenta a riordinare le idee. Poi con uno scatto avanzò verso il marito puntandogli contro il coltello.
<<Amore, devi confessarti una cosa... preferisco ammazzarti piuttosto che sopportare ancora la tua presenza. Pensa che bello non averti più tra i piedi>>. Sorrise in maniera malvagia.
<<Laura, ti prego, non scherzare. Dimentichiamo quello che è successo. Domenica ce ne andiamo al lago. Ti va?>>.
<<Non con te. Ci andrò da sola perché tu sarai già all’altro mondo>>.
Raggelai. Ero così concentrato a fissare la scena che non sentii Franco raggiungermi. Mi tirò violentemente verso l’uscita ma mi divincolai sussurrandogli che non potevamo andarcene, che quei due facevano sul serio e che, se fosse successo qualcosa, l’avremmo avuto per sempre sulla coscienza.
La donna cercò di colpire il marito all’altezza del fianco fallendo goffamente. Forse aveva voluto solo intimorirlo, ma lui non la prese bene. Tirò fuori da un cassetto un coltello a scatto e con una voce che mi fece venire la pelle d’oca disse: <<Vuoi la guerra? Allora vediamo chi è più veloce>> .
Ad osservarla da fuori, era una scena ridicola. Vedendo la lama, la donna si spaventò e cominciò a girare intorno al tavolo inseguita dal marito. <<Tesoro>>, disse lui con un sorriso che mi ricordò quello di Jack Nicholson nel film Shining , <<Non avrai mica paura di me? Metti via il coltello che lo faccio anch’io>>. Franco soffocò a stento una risata, ma io non ci trovavo nulla di divertente in quello che vedevo: quei due rischiavano seriamente di finire all’ospedale o, addirittura, all’obitorio. Capii che dovevamo andarcene, che non potevano rischiare di essere accusati di furto o di tentato omicidio nel caso in cui la lite fosse degenerata. <<Dai, andiamocene prima che arrivi la Polizia>>, dissi, ma prima di dileguarmi decisi di fare un ultimo tentativo per salvarli; aprii completamente la porta semichiusa del seminterrato dalla quale li spiavo e la richiusi con violenza sperando che quel rumore li distraesse dai loro intenti omicidi. Purtroppo scivolai rovinosamente, rotolando per la scala a chioccala come una trottola. Mi ritrovai a terra senza potermi muovere. Mi ero rotto una gamba.
<<Dai, Giacomo, alzati e andiamo>>. Franco allungò un braccio per tirarmi su ma io ero un pezzo di legno. Non sapevamo cosa fare mentre i passi di Ernesto si avvicinavano sempre di più nella nostra direzione. Dieci secondi e ci avrebbero scoperto.
<<Ho un piano. Insultami>> gli ordinai.
In quel momento Ernesto comparve davanti a noi. Guardai Franco, dandogli il segnale di iniziare a recitare la sua parte.
<<Maledetto bastardo, dovevi farti i fatti tuoi!>> mi urlò dietro con la voce contraffatta scappando e chiudendo velocemente la cler del negozio.
<<Al ladro!>>, gridai fingendo di non aver visto Ernesto alle mie spalle. <<Al ladro, aiuto!>> supplicai disperato.
Ernesto si avvicinò a me, il suo primo sguardo fu di sospetto ma io sfoggiai la paura più genuina che conoscevo.
<<Signor Galli...mi dispiace di non essere riuscito a fermarlo>> sussurrai quasi senza voce toccandomi la gamba che mi faceva un male del diavolo.
<<Lei è il marito di Elisa, giusto?>>. Annuii. <<Cos’è successo?>>.
Quello che raccontai a lui e alla polizia fu questo:
<<Ero pensieroso ed ero uscito per fare una passeggiata. Mi ero fermato a fumare una sigaretta proprio nella stradina dove affaccia il negozio. Sentendo dei rumori sospetti provenire dall’interno, mi ero avvicinato e proprio in quel momento il ladro con il volto coperto da un passamontagna, aveva alzato la cler per fuggire con due sacchi di refurtiva. Credendo che fossi un vigilante o un testimone scomodo mi aveva minacciato con un pistola e prima d fuggire, mi aveva dato uno spintone che mi aveva fatto cadere malamente sulla gamba destra che poi aveva riportato la frattura. . No, non sapevo chi fosse perché aveva il viso coperto e una tuta nera. Non sapevo se era alto o snello, italiano o straniero, se avesse la pelle bianca o nera>>.
Mi credettero anche se un buon investigatore avrebbe dovuto chiedersi come mai ero stato ritrovato all’interno del negozio quando dalla mia relazione risultava che il ladro mi aveva colpito all’esterno. Forse Ernesto aveva sedotto anche la donna di qualche poliziotto...
La mattina dopo mia moglie venne a trovarmi in ospedale con due cornetti caldi. Si stese accanto a me, leggendomi una notizia dal cellulare. Si mise a ridere e la lesse ad alta voce: parlavano del colpo. Ernesto aveva commentato il furto in un’intervista a un giornale locale ma anche lui, come me, aveva mentito spudoratamente.
L’uomo diceva che il ladro, prima di attaccarmi, aveva minacciato entrambi i coniugi. Lui si era opposto e aveva fronteggiato l’aggressore che aveva avuto la meglio. Approfittando del suo svenimento l’aggressore aveva colpito due volte sua moglie Laura perché non smetteva di piangere dal terrore. A quel punto aveva rubato l’incasso e diversi beni alimentari molto costosi.
<<Non ci posso credere>> commentai disgustato.
<<Il meglio deve ancora arrivare>> mi disse Elisa continuando a leggere.
In fondo dell’articolo Ernesto aveva dichiarato pubblicamente di aver rischiato la sua vita per l’incolumità di sua moglie, che amava sopra ogni cosa! Ero tentato di ridere ma un’improvvisa tristezza mi bloccò. Sentii dei passi fuori dalla mia stanza.
<<E’ arrivato!>>mi disse.
<<Chi?>>.
Era Franco. In mano teneva una bottiglia di champagne.
<<L’hai comprata?>>, lo canzonai.
<<Scherzi, non compro da vent’anni...prendo in prestito>>.
Mi fece molto ridere.
<<Franco, avevi ragione tu, dovevamo andarcene subito>> buttai fuori con astio.
<<La prossima volta non ripeterai l’errore!>> rispose sedendo di fronte a me.