Scicli - Nell’ambito di un vasto e ambizioso progetto avente per oggetto l’illustrazione della storia della Città di Scicli nel secolo XVI, ho rilevato spesso delle notizie interessanti. A mano a mano che la lettura dei protocolli dei notai sciclitani, che vissero e operarono nel periodo oggetto della mia indagine storica, presenti oggi presso l’Archivio di Stato di Ragusa sezione di Modica procedeva.
Non sono grandi scoperte, queste che illustrerò, ma restano pur sempre interessanti nella riscrittura della Storia Patria della città di Scicli alla luce di una rilettura critica delle fonti esistenti attualmente rappresentate in specie dalle memorie dell’Arciprete Antonino Carioti (Notizie Storiche della Città di Scicli), sapientemente interpretate e trascritte dall’indimenticabile Prof. Michele Cataudella, e da scritti di altri eminenti studiosi del passato quali il Perello, il canonico Giovanni Pacetto, Saverio Santiapichi, Mario Pluchinotta ecc.
Tempo fa su questo stesso giornale on line avevo dato notizia di una ricevuta a saldo per un lavoro di scultura su legno eseguito dal canonico don Antonino Lo Monachello di Noto. Si trattava del celebre gruppo scultorio del “compianto sul Cristo Morto” commissionato all’artista nel 1564 dalla Confraternita di S. Maria La Nova e del quale purtroppo oggi restano solo due grandi statue e cioè il Cristo deposto e l’Addolorata (cfr: Antonino Lo Monachello, artista e contemplativo, Un Uomo libero, www.ragusanews.com, 14.4.2020).
In quest’articolo, invece, comunico un’altra notizia riguardante un altro celebre gruppo cinquecentesco presente nella Chiesa della Consolazione di Scicli del quale si è salvata solo l’imponente e ieratica figura del Cristo.
Si tratta del gruppo statuario del Cristo alla Colonna. Le figure dei flagellanti nel corso dei secoli sono andate perdute.
Carioti nel suo testo di Memorie richiamato sopra aveva sicuramente e correttamente indicato l’anno dell’esecuzione dell’opera ma l’errore di un copista o la cattiva interpretazione della spigolosa scrittura dell’arciprete ha fatto sì che la ricerca fosse spesso depistata e resa vana.
Infatti, la data “1371” che appare nel Carioti sarà stata, in originale, 1571. Non è per nulla difficile trascrivere un “5” per “3”.
Scrivo questo perché, a parte la cifra delle centinaia sbagliata, il resto della data corrisponde perfettamente con la vera data dell’esecuzione dell’opera.
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A pag. 405 e seg. delle “Notizie storiche” si legge:
I minori altari di essa (Chiesa di S. Maria della Consolazione di Scicli, ndt) sono sei, in due de’ quali si adorano due misteri della Passione di Gesù Cristo. In uno s’alza una statua, che lo rappresenta alla colonna in mezzo a due manigoldi, costrutto dal 1371, nell’altro colla croce sulla spalla, caduto a terra co’ Giudei, che con ferità lo sollevano e colle Marie svenute a quell’incontro. Dal 1500, a detto del canonico Don Pasquale Cottonaro, opere entrambe e per la maestria e pe’l mistero ammirabili all’occhio e alla fede.
Tuttavia la data della costruzione del gruppo del Cristo alla Colonna “1371” riportata nel testo del Carioti, che ha indotto chiunque in errore, in passato non è sembrata così improbabile perché la devozione al Cristo alla colonna a Scicli è molto antica. Ho trovato, infatti, un censo comprato il 24 gennaio 1521 gravante su una clausura (un appezzamento di terra recintato, ndt) di contrada Chana de Alferj di Scicli legato da Tuchio Denaro, personaggio molto influente e potente nella Scicli delle prime decadi del Cinquecento, all’altare sub vocabulo Divi nostri Jhesu Christi in colonna ubicato prope Altaris Maioris nella Matrice di san Matteo. Nel primo altare più vicino all’altare maggiore del duomo si venerava, dunque, già questo mistero. Tale vicinanza privilegiata lascia facilmente supporre che la devozione a questo Mistero della passione nell’antica Scicli dovesse essere radicata e sentita.
Il 18 dicembre 1570, 14 ind/, in presenza dei testimoni il nob/ not/ Alex/o Chancho, il maestro Matteo de Augusta e Pietro del fu Lorenzo Vaccaro, e alla presenza dell’economo della Confraternita di S. Maria della Consolazione di Scicli, il nob/ Cavalerio Ciccardo, nella duplice veste di procuratore della confraternita, i rettori Joan Paulo de Nana, Pietro de Alfano e Matteo de Marsala, quest’ultimo come rappresentante di tutti i confrati, s’impegnavano a stipulare entro il mese di agosto successivo un contratto con il frate carmelitano Giuseppe d’Amico di Noto, faber figuram relevatarum, presente a Scicli per l’occasione.
Oggetto del contratto era la committenza di
condere figuram ditti n/ri Yhesu Christj sive immaginem carte qontuse vulgariter ditte di carta pista relevatam columne ligatam stature palmorum septem cum duobus personagijs etiam relevatis flagellantibus jn manibus stature palmorum sex cum dimidio pro quolibet personaggio et huiusmodi jmaginem bene jncarnare et jncarnatina munire etiam ditta personagia et bene huiusmodi personagia colorare et coloribus opportunis munire.
L’artista doveva, dunque, modellare nella cartapesta la figura di un “Cristo alla Colonna” alto palmi sette (circa mt 1,75, ndt) altezza naturale con due personaggi a latere, con flagelli nelle mani, di poco più bassi e cioè di palmi sei e mezzo. I personaggi dovevano essere molto “veri” e ben dipinti.
Per il lavoro (salario + mercede) i rettori s’impegnavano a corrispondere onze sedici a semplice richiesta dell’artista o a persona da lui nominata.
Nel caso d’inadempienza comminavano una penale di onze quattro.
Il frate carmelitano, strappato il contratto ai Rettori, si mise subito all’opera.
La cartapesta, è noto, ha bisogno di tempi lunghi di essiccazione.
Il primo febbraio 1571, 15 ind/, alla presenza dei testimoni, il nob/ Lucio Baxetto e il maestro Crispino de Madio, fu cooptato nell’esecuzione dell’opera il maestro Vincenzo de Messana alias Mazarella, pittore di Noto, il quale s’impegnava a colorare a regola d’arte il gruppo durante il mese di febbraio. E’ espressamente annotato nell’atto che il Messana non era in sostituzione del frate bensì “aggiunto” al primo contratto stipulato dal carmelitano. Con certezza lo scultore si era rivolto a un pittore amico e di sua fiducia per dipingere il gruppo e non si esclude il fatto che entrambi gli artisti lavorassero in tandem.
Il 15 ottobre 1571, alla presenza del ven/ don Luca Jnguanti, nob/ Crispino de Madio e Francesco del fu Giacomo Cuffaro, l’economo della Confraternita, Cavalerio Ciccardo, pagò in contanti a Giuseppe D’Amico onze nove e per questo fu redatta ricevuta.
Il lavoro doveva essere quasi ultimato, se già nove onze erano state corrisposte allo scultore.
Il 7 novembre successivo, alla presenza del nob/ Pietro de Augusta, del nob/ not/ Antonino Pellegrino e del nob/ Crispino de Madio, De Amico ricevette sempre dall’economo, Cavalerio Ciccardo, onze tre in contanti.
E’ da pensare che le quattro onze residue non incassate dal frate siano state il compenso del pittore.
Il documento, a parte la sua rilevanza per la storia della Chiesa locale, ha una sua grande importanza perché ci rivela l’esistenza a Noto, nella seconda metà del Cinquecento, di una notevole scuola d’arte sacra.
Il canonico Antonino lo Monachello prima, ora il frate carmelitano Giuseppe de Amico, e il pittore Vincenzo de Messana, alias Mazzarella, sono tutti artisti che ricevono committenze importanti dai centri vicini per le quali fino a oggi nulla o poco si sapeva.
Non è da escludere che l’altro gruppo statuario in cartapesta oggi ancora presente nella chiesa di Santa Maria della Consolazione di Scicli e venerato sotto il titolo di “Cristu o timpuni” cioè Cristo caricato della Croce, caduto a terra, davanti alle Marie disperate, sia stato eseguito dagli stessi artisti che in prima battuta avevano lavorato al Cristo alla Colonna e, dunque, sia solo di qualche anno più recente, visto il grande successo del primo gruppo, se anche nel Settecento il Carioti ne loda la maestria dell’esecuzione.
Che dire? Si spalancano orizzonti nuovi.
Ancora oggi la scultura superstite del Cristo alla Colonna suscita nel fedele sentimenti di pietà e di commozione che a ragione l’hanno resa celebre nei secoli.
Ma la storia della sua esecuzione è ancora più sorprendente e affascinante.
CREDITI
Archivio di Stato di Ragusa, sezione di Modica.
Carioti Antonino, Notizie storiche della Città di Scicli, Edizione del testo, introduzione e annotazione a cura di Michele Cataudella, Comune di Scicli, 1994).
I puntuali riferimenti archivistici saranno pubblicati nel mio prossimo lavoro sulla storia dell’università di Scicli.
Sono comunque disponibile a fornirli a quanti, interessati, ne faranno richiesta alla direzione del giornale on line Ragusanews.
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