Come curare Covid-19 a casa (prima del tampone) Il protocollo per la cura a casa del Covid. Ecco tutte le risposte ai dubbi sulla gestione a casa dei pazienti Covid
di Redazione

Deve essere sempre il medico di base a stabilire quando il paziente non può essere più curato a casa ma deve essere portato in ospedale.
Mentre il governo discute ancora sulla bozza di un protocollo guida per curare a casa gli infetti con sintomi lievi da Coronavirus, in Lombardia è stato stilato un vademecum per provare a mettere ordine. Si tratta di un documento messo a punto dalla Federazione regionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri della Lombardia che, di fatto, spiega ai medici di famiglia come comportarsi nel caso di trattamento domiciliare dei pazienti sintomatici.
Fino a questo momento la cura domiciliare del Covid ha incontrato difficoltà non solo per le carenze fisiologiche della medicina territoriale, ma anche per l’assenza di un protocollo guida per i medici di base. Una mancanza tamponata con una serie di indicazioni generali contenute nella bozza del documento “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SarsCov2”, alla cui stesura ha contribuito il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli.
Del documento parla oggi Marco Imarisio sul Corriere della Sera, spiegando che parte dalle richieste arrivate al Negri da medici di mezzo mondo e che è diverso dal cosiddetto Protocollo Bassetti e dal vademecum dei medici lombardi perché non aspetta l’esito del tampone e prevede una serie di interventi che può effettuare il medico di base. Negli altri approcci si attende prima l’esito del tampone mentre partendo in anticipo, scrivono gli autori dello studio, “si previene nella maggior parte dei casi la reazione infiammatoria che comunque quando si manifesta viene colta precocemente ed è quindi trattabile a domicilio”. Il protocollo, scrive il quotidiano, è stato sperimentato su cinquanta persone con tampone positivo e (scarsi) sintomi, che sono guarite senza arrivare in ospedale.
Il documento, ancora provvisorio, verrà messo a punto sentendo anche le organizzazioni dei medici di medicina generale e la Federazione degli ordini dei medici. Intanto, ecco tutte le risposte ai dubbi sulla gestione a casa dei pazienti Covid e dei farmaci da utilizzare.
Chi può essere curato a casa?
Le indicazioni per la cura a casa valgono solo per i casi lievi di Covid-19. Si applicano sia ai casi confermati (con una conferma di laboratorio indipendentemente dai sintomi clinici), sia a quelli probabili (con sintomi compatibili. E per casi lievi si intende: presenza di sintomi come febbre (minore di 37.5°C), malessere, tosse, faringodinia, congestione nasale, cefalea, mialgie, diarrea, in assenza di dispnea, disidratazione, alterazione dello stato di coscienza. Un’attenzione particolare va riservata a soggetti anziani e immunodepressi che possono presentare sintomi atipici.
L’idrossiclorochina va usata o no?
L’Aifa ha sospeso l’autorizzazione all’utilizzo di idrossiclorochina sulla base di studi scientifici e in coerenza con quanto raccomandato dalle Linee Guida internazionali. Non solo, secondo l’agenzia italiana del farmaco (qui l’elenco dei trattamenti autorizzati) è stato provata l’assenza di ogni beneficio clinico associato al trattamento in questione. Anzi, si sono riscontrati in ambito clinico effetti collaterali anche gravi e potenzialmente letali per il paziente.
Che farmaci somministrare a chi non ha sintomi o ne ha pochi?
Per gli asintomatici o paucisintomatici il farmaco di elezione resta il paracetamolo per i sintomi febbrili. Si passa agli antinfiammatori solo se il quadro clinico del paziente Covid inizia ad aggravarsi.
Quando vanno usati eparina e cortisone?
Il cortisone va somministrato solo in emergenza per evitare di aggredire il sistema immunitario del malato. Nessun antireumatico, nè antibiotici. Si consiglia di mantenere una idratazione e nutrizione appropriata e di non modificare terapie croniche per altre patologie (es. terapie antiipertensive o anticoagulanti), in quanto si rischierebbe di provocare aggravamenti di condizioni pre-esistenti. I corticosteroidi vanno utilizzati sui pazienti il cui quadro clinico non migliora entro le 72 ore, soprattutto se in presenza di un peggioramento dei parametri dell’ossigeno. L’eparina va usata solo nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto.
E antibiotici, vitamine e integratori sono efficaci?
Gli antibiotici, di norma, vanno evitati, se non in presenza di una persistenza della febbre per oltre 72 ore o quando si sospetta la presenza anche di un’infezione batterica. Esclusa la somministrazione di farmaci tramite aerosol dato il rischio di contagio se in isolamento con altri conviventi. In quanto a vitamine e integratori alimentari (vitamina D, lattoferrina, quercitina), non ci sono evidenze scientifiche della loro efficacia. Dunque, non se ne raccomanda l’utilizzo.
Come si classificano i vari stadi del Covid in base ai sintomi?
L’infezione viene ritenuta lieve se il paziente ha febbre ma assenza di dispnea e alterazioni radiologiche. Moderata se il malato ha la polmonite con evidenza radiologica e l’ossigenazione del sangue vicina ai valori di soglia. Severa se l’ossigenazione è al di sotto della soglia, la frequenza respiratoria è alta e si riscontrano infiltrazioni polmonari. Critica se sono presenti insufficienza respiratoria, choc settico o insufficienza di diversi organi.
Chi decide se il paziente deve essere ricoverato?
Deve essere sempre il medico di base a stabilire quando il paziente non può essere più curato a casa ma deve essere portato in ospedale. Ma le indicazioni terapeutiche contenute nella bozza non convincono i medici di famiglia, irritati anche per non essere stati coinvolti nella stesura del protocollo.
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