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13/12/2020 17:56

Settis: la tutela scempio dell’arte in Sicilia si chiama Carta di Catania

Mentre una terracotta greca sarà esposta al pubblico in un supermercato o in un albergo, chi mai ne controllerà condizioni climatiche e stato di conservazione?

di Redazione

Settis: la tutela scempio dell'arte in Sicilia si chiama Carta di Catania
Settis: la tutela scempio dell'arte in Sicilia si chiama Carta di Catania

Quadri e statue tirate fuori dalle soffitte e dagli scantinati dei musei, per essere affidati a privati che si propongano di esporli. In bar, ristoranti, alberghi. E’ la Carta di Catania, firmata neanche a dirlo a Catania, dall’assessore regionale ai beni culturali Alberto Samonà, con la pensionanda sovrintendente catanese Rosalba Panvini il 30 novembre scorso.

Duro l’intervento dell’archeologo e storico dell’arte italiano Salvatore Settis su Il Fatto Quotidiano del 12 dicembre: “Tutela ultimo atto, protagonista la Sicilia. È quel che sta accadendo con un decreto del 30 novembre scorso, pomposamente chiamato “Carta di Catania”.

Con la quale l’assessore ai Beni culturali Samonà ha deciso che “i beni culturali appartenenti alla Regione Siciliana che si trovano custoditi nei depositi regionali potranno essere valorizzati attraverso l’esposizione in luoghi pubblici o privati aperti al pubblico”, previo “pagamento di un corrispettivo che potrà avvenire, oltre che in denaro, anche attraverso ila fornitura di beni e/o servizi”. Gioiosamente, l’assessore sottolinea la piena comunità d’intenti con la soprintendente ai Beni culturali di Catania, Rosalba Panvini, anch’ella a quel che pare esultante se i beni “deprivati di ogni riferimento al contesto di appartenenza” potranno finalmente essere liberati dalle oscure segrete in cui giacciono in catene, e contribuire alle magnifiche sorti e progressive di quella Regione, “finalmente esposti e fruiti da tutti”.

E come si svolgerà tale “intervento rivoluzionario (…), un’importante svolta nella gestione del patrimonio regionale”? Avverrà per concessione, “sulla base di elenchi di beni, suddivisi per lotti omogenei”, che saranno comodamente redatti (gratis) da “studenti universitari in discipline connesse alla conservazione dei beni culturali che opereranno in regime di tirocinio formativo”.
Insomma, sotto il segno della “valorizzazione” i depositi dei musei e delle soprintendenze siciliane verranno svuotati, purché non siano già “destinati alla pubblica esposizione” nel museo stesso. A chi vuol prendere in affitto statue e quadri basterà “produrre un documento tecnico o un progetto di valorizzazione”, ponderosi allegati per i quali non viene fornita la minima istruzione o specifica. L’affitto (o se preferite concessione in uso) previo canone durerà da un minimo di due a un massimo di sette anni, prorogabili tacitamente. Non una sillaba vien spesa per rispondere a una semplice domanda: e mentre una terracotta greca o un quadro barocco saranno esposti al pubblico in un supermercato o in un albergo, chi mai, con che competenze e con che frequenza, ne controllerà condizioni climatiche e stato di conservazione? Colpisce che questo colpo basso alle buone pratiche della tutela venga battezzato “Carta di Catania”, quasi potesse schierarsi accanto alla Carta di Atene del 1931 o alla Carta di Venezia del 1964, documenti che rappresentano ancora un punto di riferimento nelle discussioni sulla città o sul restauro.
L’assessore evidentemente mira a fare del provvedimento una sorta di manifesto, proponendo la sua “Carta” a modello universale per quegli stolti musei (dal Louvre ai Musei Vaticani, dal Metropolitan al British Museum, dall’Hermitage al Prado) che custodiscono gelosamente i materiali nei propri depositi. È assai improbabile che questo invito venga raccolto dai musei fuori d’Italia, ma il rischio che il contagio passi lo Stretto c’è. La Sicilia infatti è l’unica Regione italiana che goda di piena autonomia nell’ambito dei Beni culturali, per una norma la cui conformità alla Costituzione è assai discutibile. L’assessore regionale vi ha in pratica quasi tutti i poteri del Ministro nel resto d’Italia, e già in passato la Regione è stata campo di sperimentazione di riforme controverse o infelici (come l’istituzione delle soprintendenze uniche, dall’arte contemporanea all’ © Riproduzione riservata