Paolo Conte e Gino Bartali si sono incontrati una volta sola - nel 1997, quasi 20 anni dopo la canzone - a un concerto del Maestro vicino Firenze a cui l’ex ciclista, allora già 83enne e reticente a eventi e serate mondane, fu trascinato quasi di peso. "Poi si va via, si torna a casa" bofonchiò mentre lo portavano in camerino a conoscere finalmente l’autore. Peccato non ci siano foto di quell’incontro, ma chi era presente racconta che Conte abbracciò commosso il vecchio campione che, da buon toscanaccio, gli disse: "Senti Conte, la canzone mi piace ma la fa meglio Jannacci”. A Bartali infatti il brano fu spedito dal cantautore milanese, e aveva sempre creduto che fosse lui ad averlo a scritto. “Eppoi te lo devo dire - aggiunge Ginaccio -, cos'è questa storia del naso triste come una salita? Io a naso non sto male ma te, ti sei visto che nappa ti ritrovi?". Al che Conte scoppiò a ridere, abbracciandolo nuovamente. Come faceva a dirglielo che il suo personaggio era solo una scusa: l’appiglio, il gancio per raccontare di un’emozione, un sentimento.
Farà piacere un bel mazzo di rose
Incipit elegiaco, esuberante e romantico; pronunciato tutto d’un fiato, di slancio.
e anche il rumore che fa il cellophane
Ma l’arditezza poetica dell’autore ci spinge a considerare finanche l’effetto di piacevolezza che può infondere, tra le dita del vincitore, lo stesso fruscio della carta che avvolge i fiori.
ma un birra fa gola di più
Dalla vetta della sensazione uditivo-tattile, nella celebrazione del trionfo; giù all’intestino, alla birra ghiacciata con cui dissetarsi al sole, alla concreta considerazione di una necessità fisiologica: il continuo e rapido alternarsi di toni alti e bassi caratteristica della poetica contiana, in questo brano sale e scende vorticosamente, come se anche la liricità del testo seguisse discese e risalite di una corsa ciclistica.
in questo giorno appiccicoso di caucciù
Ecco che infatti l’intensità si rialza subito con questa originale associazione espressiva, metricamente perfetta, che rende in maniera così vivida la sensazione di caldo, l’immagine di una maglietta inumidita dal sudore che s’incolla addosso sulla pelle.Sono seduto in cima a un paracarro
e sto pensando agli affari miei
Dopo la ‘cima’ appena toccata il tono si riabbassa repentinamente, sdrammatizzando l’elegia nel colloquiale. La scena inizia a delinearsi: il protagonista sta aspettando qualcosa di importante e che lo assorbe completamente per costringerlo a patire l’afa, tanto da salire sul lastrone che delimita la carreggiata per vedere meglio.
tra una moto e l'altra c'è un silenzio
che descriverti non saprei
Va bene le rose, il cellophane, il caucciù, ma c’è una cosa davanti alla quale Conte è costretto ad arrendersi: la concentrazione e il raccoglimento che informa l’attesa di un pubblico prima di esplodere nel grido d’incitamento. Quella, ammette candidamente di non riuscire a rappresentarla nemmeno lui.
Oh quanta strada nei miei sandali
quanta ne avrà fatta Bartali
Dall’astrazione del silenzio, dalla sospensione del tempo e del pensiero che intercorre nel passaggio delle varie motociclette alla ruvida concretezza di un terreno battuto da una suola di una calzatura che solo la pantofola batte in popolarità. All’attacco del ritornello, dunque, il contesto è svelato: l’autore è a bordo del tracciato di una gara di ciclismo e fa anche un outing non da poco nel mondo della bici, visto che - nell’eterna disputa tra Coppi e Bartali - si schiera apertamente per il secondo, appunto come un vero tifoso. Lo sente più vicino a sé, anzi s’immedesima nelle gesta del suo beniamino: secondo lui vengono dalle stesse esperienze di vita, anche se uno le ha fatte camminando anziché pedalando.
quel naso triste come una salita
Il tono, di nuovo, s’impenna: geniale il paragone tra l’aspetto più vistoso della figura di Bartali - e, guarda caso, anche di Conte - con la sagoma profilata di una dura e faticosa tappa di montagna.
quegli occhi allegri da italiano in gita
Il ritratto del volto si completa con lo sguardo - invece vivace e ridanciano - di Gino Bartali, che pare affrontare il selciato col piglio di una scampagnata fuori porta. Due versi per due pennellate d’eccezione.
E i francesi ci rispettano
che le balle ancora gli girano
Il tono ricala verticalmente nell’ultima tessera per comporre anche storicamente l’avvenimento: è il Tour de France del 1948, vinto clamorosamente dal corridore fiorentino. Un’edizione mitica, proprio per l’accesa rivalità nazionale che lo contraddistinse.
e tu mi fai - dobbiamo andare al cine -
- e vai al cine, vacci tu -
Grande l’agilità nel passare al discorso diretto: botta e risposta, uniti senza pause nella frase musicale, suonano come una formula magica. Scopriamo che insieme al nostro c’è una donna a cui non potrebbe importare meno dell’evento e che - nonostante l’aurea di ‘leggenda’ che circonda la corsa, e nell’imminenza di una realtà più che cinematografica, che supera la fantasia - preferirebbe piuttosto bearsi della finzione di un film, magari d’amore.
Zaz-zarazà zaz-zarazà…
L’ulteriore e personalissima firma stilistica: non sarebbe stato certo un problema affidare a uno strumento a fiato il refrain della canzone, eseguito nella versione originale in studio solo pianoforte e voce. Ma tra le altre caratteristiche di Conte - affezionato non a caso del kazoo - c’è quella di piazzare qua e là nel testo vocalizzi e scat ritmici, come il ‘ci-bu bum’ di Via con me, nella personale ricerca di una musicalità minima ed essenziale della voce.
E’ tutto un complesso di cose
che fa sì che io mi fermi qui
L’autore vorrebbe spiegare il perché di questa sua passione sportiva, forse anche a se stesso, ma - come di fronte al silenzio lasciato dalle moto - non riesce a trovare le parole e rinuncia: non è facile far capire una passione a chi non la possiede, razionalizzare l’accanimento per uno sport e gli inevitabili fanatismi che può assumere la partecipazione emotiva un’impresa in cui, va ricordato, si rifletteva allora l’orgoglio di un intero paese uscito dilaniato dalla guerra.
le donne a volte sì, sono scontrose
o forse han voglia di far la pipì
Conte considera come l’indole femminile non sia sempre conciliante con certi amori “extraconiugali”, di tipo sportivo: qui il tono piomba al punto più basso dell’intero brano, si fa letteralmente viscerale, quasi goliardico. Ma il tuffo nel fondo della pancia è, ancora una volta, il trampolino di lancio al salto del verso successivo.
E tramonta questo giorno in arancione
e si gonfia di ricordi che non sai
Illuminante e seducente l’immagine del sole all’orizzonte, riempito inconsapevolmente dagli episodi vissuti nel corso della giornata: grande e tondo, come il colore di transizione che lo dipinge, spingendolo verso l’imbrunire. Conte è anche un pittore e dipinge uno splendido quadro del momento del giorno in cui l’animo è portato per eccellenza alla riflessione, all’introspezione.
mi piace restar qui sullo stradone
impolverato, se tu vuoi andare vai
Prezioso l’enjambement a capoverso, figura poetica molto cara all’autore che - nonostante faccia sera - non è minimamente intenzionato a mollare la sua scomoda postazione per gustare un cremino sulla poltrona di un cinema con l’aria condizionata; del resto sarebbe un vero peccato, dopo tanta attesa, mollare proprio adesso.
E vai, che io sto qui e aspetto Bartali
scalpitando sui miei sandali
Liaison tra la conclusione della strofa e l’attacco del secondo ritornello, in cui rovescia le rime del primo, ma - finezze tecniche a parte - il tono torna, appunto, sotto i sandali: ormai arriva il gruppo e, a dirla tutta, se la compagna si levasse di torno gli farebbe un gran piacere. Il personaggio femminile è al fianco ma resta senza descrizione: è una figura che serve a Conte come una spalla in una macchietta, il momento comico con cui spezzare il drammatico. Inoltre, presumibilmente, dovrebbero esserci parecchi altri spettatori accanto a lui. L’autore appare però distaccato rispetto alla folla, non vi accenna mai, vive ma non ‘condivide’ la corsa: è un incontro interiore, tra lui e Bartali, una gioia intima.
da quella curva spunterà
quel naso triste da italiano allegro
Da capogiro il fotogramma della parte più prominente del volto di Bartali, che - sporto in avanti sul manubrio, nella falcata - compare per prima dal tornante. Ormai siamo all’autocitazione: Conte rimischia e condensa le estrose associazioni disegnate in chiusura del terzo verso in un compendio al quadrato, in un’ulteriore e superiore sintesi. Siamo allo sprint finale, non solo e non tanto di Bartali, ma anche e soprattutto dell’inseguimento di Conte nei confronti della propria poesia. Tra i tornanti delle righe, si sta giocando un’altra corsa parallela al Tour: quella dell’autore con la propria ricerca linguistica.
tra i francesi che si incazzano
e i giornali che svolazzano
Come il sandalo è stato rivelato e rivalutato nella sua natura ‘nobile’, così Conte ha il potere – anche pronunciandolo - di privare il verbo incazzarsi di ogni volgarità. Al solito: dalla magnifica istantanea della volata del suo eroe, si ripiomba al farsesco. L’ultimissima risacca stilistica che, a mo’ di fionda, ci catapulta verso la vertiginosa chiusura.
c'è un po' di vento, abbaia la campagna
c'è una luna in fondo al blu
La ricercata assonanza vento-fondo interna ai versi; la doppia interna allo stesso verso (abbaia-campagna; una-luna); la chiusura senza rima con una parola tronca: tutto dona all’ultima frase una fluidità che pare le sillabe siano note sullo spartito. L’arancione si è fatto blu e l’autore ci proietta improvvisamente in uno stacco temporale: la corsa è finita ma non ce lo dice, la lascia aperta. Omette addirittura di svelarci se, dopo tutto l’ambaradam, alla fine Bartali abbia vinto o meno la tappa. Ovvio: la bellezza è nell’attesa del successo, nel suo divenire. Al raggiungimento della vittoria, l’ha già detto all’inizio, è preferibile una bella birra fredda. Ma per la gara personale di Conte c’è ancora un ultimo verso, un ultimo giro: questo suggestivo acquarello acustico e visivo, affidato a una nuova inedita associazione soggetto-verbo (la campagna che abbaia). L’articolo indeterminativo riferito a “luna” in minuscolo infonde una valenza metaforica al satellite, rimandando a uno tra i molti significati privati che può avere la parola: forse è la stella del corridore partigiano, che brilla isolata, o forse chissà. La notte chiude il brano e la corsa, perché è stata la giornata - vissuta e sudata, con le emozioni che ci hanno fatto battere il cuore - la vera protagonista della canzone. E la luna è la puntina con cui la inchioda al muro, consegnandoci una straordinaria diapositiva finale.