Il quotidiano che impaginò la cultura siciliana
di Redazione

Palermo – Fondato nel 1900 dai Florio, dinastia di mercanti, banchieri e industriali (avviati poi al declino, per scarso orgoglio borghese ed eccessiva inclinazione agli sprechi aristocratici), acquistato dagli imprenditori Pecoraino (azionisti de «Il Mondo» di Giovanni Amendola) e poi, dopo il buio del fascismo, rilanciato da una società editoriale vicina al Pci, «L’Ora», dalla metà degli anni 50 alla sua chiusura (marzo 1992) è stato, nei periodi migliori, un vero e proprio ponte tra la sinistra riformatrice, gli ambienti politici più aperti del mondo cattolico (la Dc di Piersanti Mattarella, per esempio) e i partiti “laici”, come i repubblicani di Ugo La Malfa.
Una scelta politica e culturale nel nome d’una profonda modernizzazione della Sicilia e del Sud. L’impegno contro la mafia è stato una conferma di questa visione. Per la legalità e il senso dello Stato, naturalmente, come nel miglior solco del pensiero meridionale e siciliano. Ma anche per lo sviluppo economico e sociale senza ipoteche di violenza. «La mafia dà pane e morte», era il titolo della prima grande inchiesta contro la mafia, nel 1958. La mafia come nemica di libertà, imprenditoria, innovazione. Una battaglia politica, economica, culturale.
«L’Ora», infatti, ha fatto da ponte anche tra borghesia colta e produttiva e ceti popolari. E tra l’orgoglio identitario siciliano (senza nostalgie “sicilianiste”) e la visione d’un Mediterraneo aperto alle trasformazioni. Le firme dei collaboratori ne sono riprova: Leonardo Sciascia, Danilo Dolci, Vincenzo Consolo, Gesualdo Bufalino, Renato Guttuso, Giuseppe Giarrizzo, Bruno Caruso, Emilio Isgrò e altri ancora. Per non dire della costanza delle interviste e degli interventi di uomini e donne di cultura italiani ed europei (Vittorini, Pasolini, Visconti, Maraini).
Eccolo, il punto chiave: l’importanza d’un giornalismo di inchiesta e di racconto della costruzione d’una pur faticosa e talvolta contraddittoria modernità. La qualità della politica contro il malgoverno e le complicità mafiose. Gli investimenti pubblici per la crescita economica e non gli sprechi clientelari. Il senso di responsabilità civile. La passione per una cultura critica, aperta e dialettica. La storia de «L’Ora» è stato un vero e proprio Romanzo civile, per parafrasare il titolo di un libro di Giuliana Saladino, una delle sue migliori “firme”. E una riprova del fatto che, con originalità intellettuale, anche negli anni più difficili, il Sud ha saputo avere una voce forte, orgogliosa. E moderna.
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