Le 8 regole d'oro per tenerli in salute
di Redazione

Oggi si potrebbe fare molto se la malattia renale cronica fosse riconosciuta nei suoi primi stadi e la dialisi, a cui si approda quando ai reni resta circa il 15 per cento della loro capacità, potrebbe diventare un’eccezione.
La strada per riuscirci passa dalla prevenzione, prendendoci cura della salute dei reni per evitare che «perdano colpi», ma anche da una diagnosi tempestiva che consenta di adottare terapie salva-reni.
La ricetta per mantenere i reni in funzione più a lungo possibile non è tanto diversa da quella che dovremmo seguire per prenderci cura della nostra salute in generale: non fumare, non esagerare con l’alcol, fare esercizio fisico con regolarità, seguire una dieta equilibrata non troppo ricca di sale e zuccheri sono le regole principali. Così infatti si tengono alla larga anche sovrappeso, obesità, diabete e pressione alta, che sono fra le peggiori minacce per la funzionalità dei reni.
Un po’ di attenzione supplementare serve quando passano gli anni, perché invecchiando un calo progressivo della funzione renale è inevitabile e come spiega Luca De Nicola, presidente della Società Italiana di Nefrologia (Sin): «Da anziani la cosiddetta riserva renale si riduce: in pratica, la funzione renale risulta normale ai test ma ci sono meno nefroni (le unità di filtrazione del rene, si veda a lato, ndr) che lavorano di più per sopperire alla perdita di funzionalità di altri nefroni, di conseguenza la capacità di adattarsi e far fronte a stimoli esterni diminuisce. Un esempio classico è l’insufficienza renale acuta degli anziani in estate o dopo un’influenza, quando si suda tanto per il caldo o per la febbre: reni non più giovanissimi hanno una minore capacità di trattenere acqua e sale, così si perdono troppi liquidi e la pressione scende. Risultato, i due organi non ricevono abbastanza sangue e, se sono già al limite della riserva renale, si finisce in Pronto Soccorso con un’insufficienza d’organo. È bene quindi che gli anziani mangino un poco più salato in estate o quando hanno un’influenza, ma anche che evitino l’abuso di farmaci antinfiammatori non steroidei (perché possono danneggiare reni non più in perfetta forma, ndr)».
Il calo «naturale» della funzionalità del rene con l’età avanzata rende peraltro più complicato accorgersi della iper-filtrazione, l’anticamera della nefropatia grave in chi ha il diabete: l’eccesso di zuccheri nel sangue danneggia i reni, che non trattengono più le proteine come dovrebbero; per porvi rimedio attingono alla loro capacità di super-lavoro e per un certo periodo vanno appunto in iper-filtrazione. Poi però il sistema non regge, il tasso di filtrazione crolla e il risultato è, spesso, la necessità di dialisi. Riconoscere l’iper-filtrazione in reni che funzionano di meno per l’età è fondamentale ma difficile, per questo di recente ricercatori dell’Università di Osaka, in Giappone, hanno messo a punto un algoritmo che «corregge» i valori tenendo conto dell’invecchiamento. Prima ancora che interpretati bene, però, gli esami per valutare la funzionalità renale andrebbero fatti: «Invece solo il 10-20% delle persone con malattia renale cronica sa di averla, anche perché sintomi come la stanchezza al mattino o la pressione un po’ alta sono poco specifici e i reni danno segno di deficit quando sono già molto compromessi e hanno perso come minimo metà della loro funzionalità», dice De Nicola.
I test per capire se i reni sono in salute prima che sia troppo tardi sarebbero invece banali. Serve innanzitutto un esame delle urine per misurare l’albuminuria ovvero la quantità di una proteina, l’albumina: se il setaccio-rene non funziona più bene le maglie si «allargano» e nella pipì compaiono sostanze che di solito vengono trattenute, come appunto le proteine. A questo si aggiunge un’analisi del sangue col dosaggio della creatininemia: la creatinina è un prodotto di scarto dell’attività muscolare e deve essere filtrata ed espulsa con le urine, viene perciò misurata in entrambi i liquidi corporei perché è un indicatore diretto della capacità di filtrazione dei reni. Anche la presenza di anemia potrebbe essere indicativa di una ridotta funzione renale.
Sono esami facili, poco costosi, che qualunque laboratorio esegue di routine e per questo la Sin in collaborazione con il Ministero della Salute ha redatto un Percorso Preventivo Diagnostico Terapeutico Assistenziale (Ppdta) e soprattutto sta portando avanti una proposta di legge per uno screening della malattia renale cronica attraverso i medici di famiglia: «Contiamo di arrivare all’approvazione entro l’anno, per diventare il primo Paese al mondo con una legge di questo tipo», dice De Nicola. «L’idea è che i medici di famiglia valutino albuminuria, creatininemia e livelli di emoglobina nei loro assistiti fra i 55 e i 75 anni con almeno un fattore di rischio fra diabete, cardiopatie, obesità o ipertensione. Lo screening potrebbe individuare i casi di malattia renale cronica, consentendo un invio tempestivo dal nefrologo e risolvendo così il paradosso attuale per cui l’insufficienza renale è diffusa e pericolosa, visto che è una delle principali patologie cronico-degenerative al mondo e la mortalità sta superando quella di altre malattie come diabete e tumori, ma è anche facile da diagnosticare e relativamente semplice da curare, se la individuiamo presto».
Oggi esistono molte possibilità di intervento, come conclude De Nicola: «Dallo scorso luglio per esempio non serve più il piano terapeutico per prescrivere le glifozine, che hanno dimostrato di ridurre l’albuminuria e quindi la progressione di malattia; nei pazienti che non rispondono alle glifozine si possono utilizzare altre categorie di medicinali (come inibitori del sistema renina-angiotensina o l’antagonista dei recettori per i mineralcorticoidi non steroideo finerenone, ndr). Vale però il principio che prima ci si cura, più la terapia è efficace».
Ogni rene ha un milione di nefroni, organelli che filtrano il plasma in continuazione, come sottolinea Emanuele Montanari, direttore dell’Unità di Urologia della Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, «non lavorano tutti assieme, ma alternandosi come i turnisti. Quando sono danneggiati, quelli rimasti lavorano di più, ma peggio». Che cosa può far perdere nefroni? «Malattie che danneggiano i vasi come il diabete o l’ipertensione, infezioni dell’apparato urinario ma anche patologie urologiche», risponde Montanari. «Il filtrato renale viene escreto attraverso vie urinarie che sono a bassa pressione: tutto quello che crea ostacoli o aumenta la pressione nelle vie urinarie, per esempio in vescica, può compromettere la funzione renale. È bene sottolinearlo perché molte condizioni urologiche facili da gestire, per esempio calcoli di cui ci si “dimentica” perché non danno coliche, se trascurate possono far perdere la funzionalità di un rene».
Per questo che anche l’urologo può dover gestire problemi renali: come specifica Luca De Nicola, «il nefrologo è il medico dell’apparato urinario, l’urologo è il chirurgo che interviene in caso di tumori e altre “ostruzioni” meccaniche». «Anche quando c’è un cancro al rene però oggi si è più conservativi possibile, scegliendo per esempio la chirurgia robotica e operando dopo aver creato mappe tridimensionali molto precise del tumore e dei tessuti vicini: l’obiettivo è essere più accurati e rapidi, diminuendo così al minimo la perdita di tessuto e quindi di funzione», riprende Montanari. «Più si preserva una funzionalità renale normale, più l’aspettativa e la qualità di vita migliorano. Per questo anche l’ecografia, in persone con una familiarità per patologie renali consigliabile fin da bambini, può essere molto utile: individuare un tumore al rene quando è piccolo significa poterlo gestire senza rischiare di intaccare la funzione di questi organi».
Quando l’insufficienza renale è grave si ricorre alla dialisi. «Significa dover stare attaccati a un macchinario per 4 ore, 3 volte a settimana, con costi fino a 50 mila euro l’anno per paziente», specifica Luca De Nicola.
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