Cultura
|
04/09/2016 17:31

Teresa dei poveri. Di Calcutta e del mondo

Profumo di santità

di Un Uomo Libero.

Teresa di Calcutta
Teresa di Calcutta

Madre Teresa di Calcutta oggi è stata innalzata alla gloria degli altari.
Non è stata una semplice coincidenza ma un disegno di Dio averla canonizzata Francesco, un uomo che per altre vie e in altre direzioni, anche lui ha scelto la povertà come vocazione speciale prima del suo presbiterato e, poi, del suo pontificato.
Teresa già godeva della visio beatifica di Dio, come esorta a credere e insegna la fede della Chiesa a ogni beatificazione. La canonizzazione aggiunge alla sua storia terrena solo l’ufficialità che la legge (il codice millenario che disciplina e governa la Chiesa di Roma) esige e prevede.
Conobbi Teresa di Calcutta a Catania. Non aveva ancora ricevuto il Nobel per la pace. Lei parlò a un mare di gente nel più grande teatro moderno della città. Un teatro affollatissimo di curiosi, di persone che già avevano capito e apprezzato la sua totale dedizione agli ultimi, di agnostici e di credenti.
Lei venne accompagnata da una giovane signora di Ragusa che faceva da interprete al suo inglese coloniale scarno e pausato.
Guadagnò subito il centro del proscenio nel quale volle che fosse sistemato un microfono, giunse le mani, inchinò il capo e cominciò il suo discorso con la recita del Credo.
Nel teatro si fece improvvisamente silenzio, un silenzio che non lasciava neppure percepire il respiro dei presenti.
Piano piano la sua minuscola figura di donna, visibilmente segnata da una vita di sacrifici e di miseria, cominciò a guadagnarsi la scena annullando tutto ciò che era intorno, anche la signora che in un angolo traduceva il suo discorso fatto di frasi staccate e quasi sussurrate come se fossero pronunciate in una delle cappelle delle sue case.
L’impressione che ebbi subito fu sconvolgente, impattante.
E mi commosse fino alle lacrime quando raccontò di un uomo, un moribondo raccolto in una strada di una favela di Calcutta, al quale bisognava somministrare una medicina che non si trovava.
Lei la chiese con insistenza quella medicina. Con fede aveva pregato per tutta la notte il Signore degli abbandonati e degli afflitti perché quella medicina si trovasse.
La mattina, la suora che apriva le porte del loro rifugio, trovò un cesto proprio posato quasi sull’uscio. Era pieno di svariati flaconi di quel medicamento.
Io penso che questo sia uno dei tanti veri miracoli di Teresa.
Più tardi frequentai spesso la sua casa di Vittoria, portando offerte che raccoglievo fra amici e colleghi.
Una casa spoglia ma piena di una serenità che m’inquietava per una scelta radicale e coraggiosa.
Ricordo gli occhi azzurri e felici della suora che mi riceveva, le sue mani e le unghie, un tempo davvero belle, corrose da detersivi e saponi.
Non avevano una lavabiancheria perché non potevano possederla, perché nella loro povertà totale l’unica cosa cui potevano aspirare era una doppia tunica, due “sari”.
Un velo bianco separava il mondo dalla loro clausura ma era solo un ostacolo effimero perché il mondo viveva nella loro gioia, nel loro silenzio, nella loro abnegazione.
Don Ignazio Modica Arena, uno dei tanti contemplativi che la città di Scicli non ha saputo riconoscere e apprezzare, aveva pensato di devolvere nel suo testamento (se la memoria non m’inganna) parte della sua eredità alle Missionarie della Carità (le suore di Madre Teresa di Calcutta), nel caso in cui non fossero stati conseguiti gli obiettivi indicati nella sua fondazione. Una fondazione che voleva privilegiare soprattutto i poveri della città di Scicli.
Oggi, in questa felice ricorrenza, la figura del piccolo benefattore sciclitano, discreto e appassionato di Dio come Teresa, mi è venuta prepotentemente alla mente.
Ma soprattutto mi ha assalito l’angoscia di non sapere nulla di quel suo pio e santo desiderio.
Entrambi hanno vissuto la carità cristiana come contemplazione di Cristo povero. Con modalità e impegni diversi perché diversi furono i contesti e le chiamate.
Entrambi fecero della preghiera l’obolo necessario con il quale le loro vite si presentarono al giudizio della misericordia di Dio.