Cultura
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24/03/2018 12:50

La forma della voce, film sul bullismo. Tutti lo dovrebbero vedere. VIDEO

Un delicato racconto su una tematica importante e spesso sottovalutata.

di Irene Savasta

La forma della voce
La forma della voce

Quando pensiamo ai film d’animazione automaticamente abbiamo l’errata convinzione che si tratti di opere per bambini. Per fortuna, questa convizione è stata scardinata da autori di film d’animazione importanti come Hayao Miyazaki o dalla casa di produzione americana Dreamwork. Non necessariamente, quindi, un film d’animazione è un’opera per bambini. E sicuramente non lo è “La forma della voce”, un film d’animazione giapponese diretto da Naoko Yamada arrivato in Italia a fine 2017 e tratto dal manga “Koe no katachi”, che tradotto significa “La voce silenziosa”. La forma della voce è un’opera adulta, pieni di spunti riflessivi, in cui viene affrontato il difficile e delicato tema del bullismo. Anche in Giappone, infatti, questo problema affligge più che mai le scuole, anche se poi viene affrontato da insegnanti e famiglie in modo decisamente diverso. La forma della voce è una rara perla dell’animazione, in cui la regista è riuscita a non tradire il manga originario, pur facendo degli ovvi tagli alla trama. Un’opera intensa, commovente, in cui viene affrontato il problema del bullismo nelle scuole dal punto di vista del bullo.

La trama è apparentemente molto semplice. Siamo alle scuole elementari. Nishimiya è una bambina sorda che viene quasi subito presa di mira da un gruppetto di bulli capitanato Ishida, un bambino annoiato che viene spesso trascinato da altri amici a commettere azioni “malvagie” per piacere di più. L’arrivo di Nishimiya viene dapprima guardato con una certa curiosità, dato che la bambina utilizza un quaderno per conversare con i compagni di scuola. Successivamente, la sua presenza in classe modifica molti equilibri. Ad esempio, i ragazzi perdono una competizione canora perchè Nishimiya, essendo sorda, non sa cantare e, successivamente, vengono invogliati ad imparare la lingua dei segni per poter conversare con lei. Ishida, spinto anche dagli altri, le ruba continuamente gli apparecchi acustici (otto paia in tutto), provocandole anche una ferita al lobo. La scuola lo comincia ad attenzionare fino a quando la ragazzina, su decisione della madre, viene trasferita altrove. Tutte le colpe ricadono su Ishida che, usato come capro espiatorio, viene isolato dagli altri e quindi, anche lui, diventa vittima di un bullismo più o meno silenzioso.

Alle superiori, però, Ishida reincontra Nishimiya e, resosi conto di quanto male le ha fatto, cerca in tutti i modi di diventare suo amico, imparando la lingua dei segni e cercando di “ascoltarla”.

Il film è un delicato inno all’amicizia e a quanto sia difficile ascoltare gli altri. Molto facile, invece, è cadere nel tranello del bullismo, solo perchè si ha voglia di piacere agli altri. Il film mette in evidenza anche come sia diversa la scuola giapponese da quella italiana, ad esempio. La famiglia di Ishida (la madre è una parrucchiera), per scusarsi del danno economico provocato dalla rottura degli apparecchi acustici a Nishimiya, offre dei soldi per ricompensarli. La scuola stessa invita tutti a denunciare atti di bullismo e sembra che questo problema, pur di non facile soluzione, sia quantomeno attenzionato. Ishida, inoltre, fa di tutto per redimersi e la redenzione, si sa, non è un cammino facile: anche se Nishimiya non porta rancore, le azioni di Ishida hanno rotto equilibri molto precari e il ragazzo stesso ha ormai un rifiuto e una paura degli altri che lo porta a non guardare e a non sentire nessuno, neanche quando si trova in un posto affollato. Nishimiya non è nel film una semplice “vittima”: molti, infatti, non riescono ad entrare in contatto con lei perchè sembra conoscere una sola espressione facciale e si scusa continuamente con tutti.

La verità verrà svelata più avanti: in quanto portatrice di handicap, la prima a soffrire è proprio lei e lo dirà a Ueno, una ragazza che l’ha sempre detestata: “Sono io che mi odio”. Nishimiya, infatti, sa che il suo handicap ha costretto molte persone a cambiare stili di vita: la sorellina Yuzuru la protegge vestendosi da maschiaccio, rinunciando anche alla scuola, Ishida è diventato a sua volta bersaglio di bulli e la madre è di una freddezza glaciale, come se non provasse emozioni nei confronti di nessuno.

Il film, dunque, offre una riflessione non superficiale del rapporto vittima-carnefice e sembra suggerire questa tesi: quando vi è bullismo, non c’è nè vittima nè carnefice. Ci sono solo vittime.