Un refolo eterno di caldo scirocco
di Un Uomo Libero.


Scicli – Lei era là, davanti a me, gli occhi persi in un cielo lontano. La mano tremava per un accentuato parkinsonismo.
– Grazie! – Esclamai – per questa forza che hai trovato dentro di te nel volermi a tutti i costi al tuo fianco… –
Sembrava davvero smarrita in un vuoto esistenziale.
– Dovevo farlo – disse con calma, non senza un velo di tristezza – nel rispetto della sua vita…-
Finalmente mi fissò negli occhi ma solo per dare più forza alle sue parole.
Mio zio, suo marito, era spirato nella notte e lei già avvertiva tutto il peso di quel distacco.
Strinsi forte le sue mani quasi a volere bloccare il tremore inconsapevole di una malattia che si annunciava terribile.
Si diresse verso il centro della sala, dove su un letto, coperto da un velo, giaceva adagiato il cadavere. Lo zio era stato un uomo eccezionale che aveva indelebilmente segnato la mia prima giovinezza.
Lei gli prese la mano fredda, di marmo, tra le sue tremanti, quasi a volerla riscaldare per comunicarle la vita.
– E’ stata una buona persona. – Continuò, recitando come un’attrice consumata una parte solo per me. – Ti ha voluto tanto bene. Per lui sei stato il figlio che avrebbe desiderato e che io purtroppo non gli seppi dare. –
– Sì, lo so, l’ho sempre saputo. – Mormorai con un nodo alla gola che non riusciva a sciogliersi in lacrime.
– Anche negli ultimi istanti della sua malattia riuscì a mantenere quell’equilibrio e quella saggezza che tanto mi avevano affascinato. Non voleva che mi preoccupassi per lui, sapeva che stava per morire ma non voleva accettarlo dalle mie lacrime. –
Ascoltavo in silenzio le sue parole che mi risuonavano nuove, strane. Negli anni mi ero fatta di lei l’idea di una donna chiusa, impenetrabile e arida.
– Ho telefonato a te perché solo gli affetti forti possono condividere e capire il dolore. Poi a nessun altro della famiglia. Bisogna saper essere gelosi anche delle perdite come delle gioie. –
Cinsi col mio braccio forte le sue spalle ricurve. La approvavo.
– Nessun funerale, mi chiese una volta, quando ancora stava bene. Glielo giurai. Solo una veglia intima nella quale i ricordi avrebbero dovuto parlare per lui, nella quale la vita avrebbe dovuto continuare a esistere, a dispetto della morte, trasfigurata dalle parole. –
– Non ci sarà un rito funebre, dunque? – Domandai, sorpreso.
– No! – Rispose in modo perentorio. – Tu ed io e nessun altro, in sua compagnia, per non sciupare gli ultimi momenti di una presenza tra le banalità dei formalismi e una messa in scena del dolore che lui non avrebbe mai sopportato e a me farebbe solo male. –
Rimasi perplesso. Non volli contrariarla in un momento tanto delicato e drammatico.
– Dopo ti leggerò il suo testamento. Non ora. – Ammiccò con un filo sapiente di voce. – Solo dopo averlo cremato e avere sparso le sue ceneri al vento, al vento autunnale che prelude all’inverno, piccola ciclica morte dalla quale i nuovi germogli a primavera riavranno vigore e vita. Ricordi ancora le lunghe passeggiate a Sampieri, sulla spiaggia d’ottobre, battuta dallo scirocco, sporca del rigurgito della risacca della notte? –
La rievocazione emozionante di quei giorni felici produsse in me finalmente il miracolo del pianto.
– Eri piccolo, inventavamo sull’arenile corse e giochi per te, perché potessi crescere sano e forte. Sembrava tutto perfetto tra noi, corpi di un universo felice che non avrebbe mai conosciuto la fine, credevano tutti. –
– Sì. Ricordo ogni attimo di quel tempo passato, perfettamente, ancora. – La consolai.
– Purtroppo non era così, si sbagliavano, sai? Fu una parentesi breve ma intensa che per un attimo agitò e sconvolse con la forza dell’uragano le nostre vite, gli equilibri, gli affetti. –
– Tutto è così nebuloso e imprevedibile nella vita degli uomini. – Commentai. – Ricordo una volta zio a letto, malato, tu tanto nervosa…-
– Non era malato, – si affrettò a precisare – l’inferma vera ero io che non capivo la grandezza dell’uomo che mi era toccato in sorte e per un abbaglio del destino avevo barattato il suo amore con quello di un altro. A volte la vita fa brutti scherzi, ti pone davanti a un bivio e non sai se la strada che hai scelto è la giusta. Deve essere poi un adulterio a darti la misura del vero amore. –
– Perché risuscitare vecchi fantasmi, ora che quelle storie non contano più? – La interruppi con un certo fastidio.
– Per una giustizia necessaria – continuò lei – che serve solo ai vivi e senza della quale non c’è pace. Non ricordo neppure più il volto dell’altro e non saprei nemmeno riconoscere la sua voce, quella voce che un tempo faceva sobbalzare il mio cuore. Come sono ingannevoli i miraggi della passione! E’ proprio vero che le apparenze non sono certo la sostanza delle cose. Lui capì. Non mi rimproverò per quella fuga temporanea. Non lo fece mai perché, a dispetto dell’altro, lui mi amava davvero. Rimase in silenzio ad aspettarmi, nel rispetto di una mia libertà e con la pazienza che solo l’amore vero concepisce e possiede. –
Si fermò un attimo forse per ridare fiato al suo racconto.
– Quando ritornai da lui, piangendo, – riprese – mi abbracciò con lo sguardo tenero e indulgente di chi non aveva mai smesso di amare. Capii. Non disse nulla, anche se io per tutta quella drammatica notte fui tra le sue braccia un fiume di parole e di lacrime. Il tempo della sua malattia non fu abbastanza lungo perché potessi con la mia dedizione assoluta saldare finalmente il mio debito, espiare la mia colpa. Che cosa non avrei dato in cambio, tuttavia, per non vederlo soffrire!- Concluse con un certo rammarico.
Presi la sua mano e la strinsi forte una volta ancora.
A parte il dolore, la confessione dell’adulterio mi aveva scosso profondamente, causandomi un certo disagio.
-Vai a riposare! – Le ordinai con voce perentoria, nella speranza di essere ubbidito. – Resterò io qui tutta la notte a vegliarlo.-
– No. – Rifiutò lei. – Contavo sempre i minuti della sua assenza quando non eravamo insieme, non saprei resistere al pensiero di pensarlo separato da me in quest’ultimo addio…-
– Ti dovrai abituare. – La esortai.
– Quando l’uomo della tua vita muore, che senso ha sopravvivergli? O forse ha un senso. – Provò a darsi una risposta.- La fedeltà a oltranza alle sue parole, l’esecuzione scrupolosa di tutti i suoi desiderata… ma poi, dopo, morire è quasi necessario per chi resta. – Fece una pausa. Continuò. – Disperderemo le sue ceneri nel mare di Sampieri, dopo la cremazione, così ho promesso e così voglio che tu faccia pure con le mie, appena il suo spirito e il mio vorranno ricongiungersi per sempre in quel mondo fatto di mistero e di ombre.-
Annuii con la testa più che altro per rassicurarla.
Si appisolò. La circondai di cuscini perché stesse più comoda.
Anch’io avevo subito il tradimento di mia moglie. Avevo reagito, però, col chiederle un divorzio e le spese, trascinandola in un giudizio legale infinito di cui ora mi vergognavo.
Mi appisolai anch’io. Speravo ardentemente di sentire la sua mano fredda al mio risveglio per consegnarla, riscattata, fedele e pronta per un ultimo viaggio, all’uomo che amava, sulla mitica spiaggia del sogno, in un miscuglio di ceneri in libertà spinto verso una meta ignota da un refolo eterno di caldo scirocco.
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