Lettere in redazione
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25/03/2011 19:05

Padre La China: Questa è la vera cavalcata

"E’ vero, i turisti sono stati ingannati: hanno assistito alla vera cavalcata ma nessuno glielo ha detto!"

di Redazione

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Scicli – Spettabile redazione,

ho apprezzato il tentativo di dar voce alle varie posizioni sul modo di intendere la Cavalcata, per questo mi permetto di ritornare ancora una volta sul tema. Senza voler entrare nel dibattito per riaprire polemiche, la lettera del signor Foresto finalmente ci riporta in un clima sereno e ci stimola ad avviare una riflessione sulla vera identità della cavalcata (inseparabilmente unita alla festa di san Giuseppe e alla rievocazione della  fuga in Egitto) Prima di stabilire chi deve organizzare la festa qui bisogna stabilire cosa organizzare: inviterei a riflettere su questo tutti, amministrazione, cavalieri, politici, operatori turistici… specie ora che la festa è stata iscritta al Registro delle eredità immateriali. Perciò, più che rimarcare la mia opinione (che è nota: anch’io col il  Foresto sabato sera ho avuto l’impressione di essere ritornato alle cavalcate della mia infanzia, e questo sentimento è condiviso da tanti sciclitani, anche se dal vociare di questi giorni non è emerso) voglio proporre la lettura di alcuni brani di storici locali e del  grande scrittore Vittorini per chiedere se siamo sicuri che la Cavalcata pubblicizzata su Repubblica sia proprio quella descritta dal Vittorini. A riprova di ciò e adr ragione al sig. Foresto bastava guardare la mostra fotografica sulle antiche cavalcate e i disegni dei bambini esposti sul sagrato della chiesa a cura dell’Associazione dei giovani del quartiere. Prima di pensare a infiorate estive e, come dice l’amico Foresto,prima che sia troppo tardi e la cavalcata diventi qualche altra cosa.

                           Sac. Ignazio La China

 

 

LA CAVALCATA DI SAN GIUSEPPE NELL’OTTOCENTO E NEL NOVECENTO

1. SERAFINO AMABILE GUASTELLA, Canti popolari del circondario di Modica, p. LXLIII e seg. Modica, 1876.

“In Scicli è un altro paio di maniche. Lì, come in molti altri paesi, c’è un uomo che ha l’impiego di San Giuseppe. Or nella sera della vigilia il popolo tutto quanto, invaso da sacro entusiasmo, afferra il Patriarca, lo sospinge a furia di braccia, lo pone a cavalcioni di asino, gli mette fra le braccia un bimbo di stucco e lo costringe a correre per tutte le vie e le viuzze del paese, preceduto e seguito da immensa caterva di villani e di operai , chi a cavallo, chi a piedi, ma tutti con le fiaccole in mano, tutti urlanti e fischianti, tutti in corsa vertiginosa.Ovunque passi la stranissima processione si spalancan le porte, si aprono le finestre, si sporgono i lumi, ed è un ricambio di grida di entusiasmo tra quei che corrono, e quei che li vedono correre.In ciascuna delle vie e dei chiassiuoli e degli angiporti sono accesi falò  che tramandan luce vivissima, e dàn l’idea di un incendio.Intanto il Patriarca grida come un ossesso che sta già per cadere, che gli “saltano” le budella, che ha le vertigini al capo: ma il popolo non se ne dà per inteso, anzi invece di punzecchiar l’asino, che non ne ha di bisogno, punzecchia maledettamente il povero santo in tutte le parti del corpo: e mentre uomini e donne strillano in tutti i tuoni e semituoni della scala cromatica “viva San Giseppi! Viva lu lu spusu ri Maria Virgini! Viva la colonna ri la Santa Criesia!” San Giuseppe urla e bestemmia come un ariano e, terminata la corsa, sta per parecchi giorni ammalato.”

2. GIUSEPPE PITRE’, Feste popolari siciliane, Palermo, 19 marzo 1881, ristampa Brancato Editore, 2003, p. 65.

“In Scicli è un altro paio di maniche. Lì, come in molti altri paesi, c’è un uomo che ha l’impiego di San Giuseppe. Or nella sera della vigilia il popolo tutto quanto, invaso da sacro entusiasmo, afferra il Patriarca, lo sospinge a furia di braccia, lo pone a cavalcioni di asino, gli mette fra le braccia un bimbo di stucco e lo costringe a correre per tutte le vie e le viuzze del paese, preceduto e seguito da immensa caterva di villani e di operai , chi a cavallo, chi a piedi, ma tutti con le fiaccole in mano, tutti urlanti e fischianti, tutti in corsa vertiginosa.Ovunque passi la stranissima processione si spalancan le porte, si aprono le finestre, si sporgono i lumi, ed è un ricambio di grida di entusiasmo tra quei che corrono, e quei che li vedono correre. In ciascuna delle vie e dei chiassiuoli e degli angiporti sono accesi falò  che tramandan luce vivissima, e dàn l’idea di un incendio.”.

3. MARIO PLUCHINOTTA, Memorie di Scicli, Scicli, 1932, pp. 79-80

“Giorno di San Giuseppe (19 marzo). Statua di San Giuseppe.

La sera precedente ha luogo una fantastica fiaccolata a cavallo a cui prendono parte centinaia e centinaia di contadini.Questa fiaccolata, che commemora la fuga in Egitto della Sacra Famiglia, è senza dubbio una fra le più belle delle tante fantasmagorie religiose tradizionali in Sicilia. Il suo personaggio principale è il Patriarca San Giuseppe a cavallo di un’asina e col Bambino in braccio. Prima c’era anche la Madonna, ma non bisogna dimenticare che questi personaggi sono tutti di carne ed ossa e che la Madonna non può essere rappresentata che da una fanciulla; ciò dava spesso esca ad entusiasmi non precisamente religiosi che si traducevano in abbondanti pizzicotti irriverentemente somministrati alla Madonna fino a quando fu giocoforza non farle più prender parte alla fiaccolata; è rimasto però l’uso dei pizzicotti che si danno ora a San Giuseppe, quasi per ripicco. I personaggi umani che rappresentano santi sono comuni nelle feste religiose in Sicilia. Nei nostri paesi anzi un povero vestito con l’abito del Patriarca San Giuseppe, autorizzata dalla locale autorità ecclesiastica, raccoglie le elemosine tutto l’anno in nome del santo, provvedendo così a sbarcare il lunario e a mantenere accesa una lampada nella chiesa dello sposo di Maria; egli va in giro con una cassetta per le oblazioni con l’effigie del santo; è questo appunto il personaggio così festeggiato la sera del 18 marzo, a cui poi si offre un pranzo il giorno dopo davanti la porta della chiesa con cibarie offerte dai fedeli, di cui il superfluo è venduto all’asta a benefizio della chiesa; e perché la Sacra Famiglia fosse al completo siedono alla modesta agape anche una Madonna e un Bambino improvvisati. Sin negli ultimissimi anni del secolo XIX a Scicli c’era un altro povero che allo stesso modo, vestito da eremita, raccoglieva le elemosine in nome di San Guglielmo.”

 

4. BARTOLO CATAUDELLA, Scicli. Storia e tradizioni, Editore Il Comune di Scicli, 1970, p. 253:

“Un baccanale rumoroso e scatenato, ma originalissimo, è quello a cui ogni anno si assiste, per la vigilia di San Giuseppe, e che vuol commemorare la fuga in Egitto della Sacra Famiglia.

Torme di villici, a piedi, o montati su cavalcature ingualdrappate con fronde di palma, tralci di rosmarino e mazzi di violacciocche, e cariche di sonagliere, e di campanacci da vacche, sfilano in corsa, a notte per le vie, agitando fiaccole accese (“i ciaccàri”) fatte con lunghi, aridi, steli d’una pianta selvatica (l’ampelodesmo). E fanno travolgente scorta al “Patriarca”: un vecchio con una barba bianca posticcia, che regge tra le braccia un Bambino di cartapesta: lo stesso personaggio, che un tempo soleva (ora non più) andare questuando per il paese, figurando San Giuseppe, con la tonaca azzurra bordata di giallo, un cappello da prete, e il bastone fiorito di gigli artificiali. Egli procede a cavallo, la sera della Vigilia della festa, sorretto da tante mani, sopra una mula, la più mansa, condotta al passo; e tutta la folla da vicino e da lontano a vociare: – Patriarca! Patriarca!- Al suo passaggio, sui crocicchi e su gli spiazzi, si incendiano i falò (“i pagghiàra”) a cui i ragazzi del quartiere han montato la guardia, armati dei forconi (che devono anche servire per attizzare le fiamme), per impedire che altri vi accenda il fuoco, per invidia o dispetto, e che il bel mucchio di paglia e sarmenti non vada in cenere, prima che passi il Patriarca”.

 

5. UN RIFERIMENTO LETTERARIO: ELIO VITTORINI, Conversazioni in Sicilia,

“La cavalcata partiva di la in faccia, in direzione di quel palo del telegrafo… C’è una piccola chiesa che non si vede, su quella montagna, ma la illuminavano dentro e fuori e diventava una stella e la cavalcata partiva dalla chiesa, con lanterne e sonagli, e scendeva la montagna.E sempre di notte, naturalmente.Si vedevano le lanterne e io sapevo che c’era mio padre in testa, un gran cavaliere, e tutti si aspettava nella piazza giù in basso o sul ponte.E la cavalcata entrava nei boschi, le lanterne non si vedevano più, si udivano solo i sonagli.Era una cosa lunga e poi la cavalcata spuntava sul ponte, con tutto il chiasso dei sonagli e con le lanterne, e con lui in testa come se si sentisse un re…”.