Riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Valerio Abbate


Modica – Il giorno 10 febbraio si è celebrata la giornata mondiale dei legumi, manifestazione promossa dal 2019 dalla FAO con l’obiettivo di sottolineare l’importante ruolo che i legumi rivestono dal punto di vista nutrizionale e ambientale. Nell’occasione Slow Food in una cartina geografica dell’Italia ha trascritto tutti i legumi che si fregiano di questo marchio, elencandone nove in Sicilia. Fra questi nel territorio ibleo rientrano la Fava cottoia di Modica e il Fagiolo cosaruciaru di Scicli e in una locandina vengono elencati 12 ristoranti siciliani che hanno aderito all’iniziativa per promuovere questi legumi quali ingredienti di piatti tipici tradizionali e rielaborati della cucina siciliana.
Nessun ristorante di Modica e Scicli veniva menzionato, un’occasione mancata!
Le leguminose da granella, oltre a rappresentare un fondamento agronomico degli ordinamenti colturali dei seminativi a gestione ecocompatibile, si pongono alla base della piramide alimentare rappresentando un cibo dall’alto valore nutrizionale e dietetico.
Nell’altopiano di Modica, per lunga tradizione, è abbastanza diffusa la coltivazione della fava, ma anche della lenticchia a seme piccolo (mignon) e del cece, così come nelle “cannavate” di Scicli lo è quella del fagiolo “cosaruciaru”. La tipicità e la peculiarità delle caratteristiche organolettiche in particolare di questi due legumi Slow Food hanno ormai varcato i confini locali. Ma anche altri legumi tipici dell’area iblea meriterebbero attenzione.
Il marchio Slow Food, tuttavia, se certifica la tipicità di questi prodotti, sostenuta da un disciplinare di produzione, non garantisce la qualità del prodotto immesso in commercio, se non attraverso il controllo e l’autogestione del processo produttivo dei singoli coltivatori afferenti al presidio.
Per il Fagiolo cosaruciaru di Scicli, allo stato dei fatti, non sembrano emergere particolari problemi sotto il profilo delle caratteristiche qualitative, salvo la constatazione che gran parte della produzione viene commercializzata senza il marchio Slow Food ad un prezzo abbastanza inferiore rispetto a quello contrassegnato dalla chiocciola.
Nel caso della Fava cottoia di Modica il presidio è rappresentato dalla omonima Confraternita, costituita a suo tempo da un gruppo di coltivatori, che rappresentano però soltanto una parte degli attuali produttori di fava. La rinomata qualità della fava cottoia di Modica consistente nelle apprezzate caratteristiche organolettiche dei semi interi dopo cottura (pastosità, dolcezza e, soprattutto, tenerezza della buccia) è fortemente legata alla coltivazione di una popolazione locale di fava in alcuni terreni dell’altopiano di Modica, che sulla base di una lunga esperienza forniscono un prodotto con alto standard qualitativo. Tuttavia il decorso dell’andamento meteorico durante la fase di maturazione dei semi può esercitare una notevole influenza sulla consistenza della buccia. Ne deriva che non sempre il prodotto messo in commercio dalla Confraternita con il marchio Slow Food presenta la caratteristica di “cuocibilità” (intesa come tenerezza alla masticazione della buccia del seme), attributo qualitativo di apprezzabile rilevanza e specifico di questo prodotto. Peraltro questa caratteristica della buccia presenta una rilevante variabilità in rapporto ai fattori agronomici sopra ricordati (terreno e andamento meteorologico) ed ovviamente il problema si presenta, forse anche in modo più esasperato, per la produzione (rilevante in termini quantitativi) offerta dai numerosi produttori che non afferiscono alla Confraternita, non facilmente identificabili dal consumatore.
In conseguenza, ferme restando tutte le altre apprezzate e rinomate caratteristiche qualitative della fava di Modica, si renderebbe indispensabile al fine di fidelizzare i consumatori un controllo quanto più oggettivo possibile della “cuocibilità” prima che il prodotto venisse immesso in commercio.
La proposta operativa per raggiungere questo obiettivo è quella di valutare e definire questo limite di “cuocibilità” dei semi mediante analisi sensoriale analitica (panel test neutro e imparziale ufficialmente riconosciuto), possibilmente preceduto e corredato da test di laboratorio che misurino le caratteristiche fisiche e/o chimiche dei semi. In questo modo l’associazione di produttori o anche il singolo produttore potrebbe richiedere questo attestato di garanzia, che consentirebbe di differenziare la categoria di prodotto. Ad esempio proporre in commercio la categoria che rientra nell’intervallo di confidenza del limite di “cuocibilità” assieme ad altre due categorie che si collocherebbero, rispettivamente, al di sotto e al di sopra di tale intervallo di confidenza. Ovviamente queste tre categorie di prodotto avrebbero un diverso valore commerciale con conseguente differenziazione del prezzo. Ciò consentirebbe di instaurare con il consumatore un rapporto di fidelizzazione, con conseguenti ricadute nel tempo di facile comprensione.
© Riproduzione riservata