Un paese piccolissimo, San Pietro
di Un Uomo Libero

Madrid – Si accomodi!- Gli ingiunse il maresciallo dei carabinieri mentre ancora in piedi ordinava alcuni faldoni sulla sua scrivania.
Don Mariano, un uomo semplice, robusto, sui cinquant’anni, attraversò timidamente lo spazio che divideva la porta d’ingresso dalla sedia e si sedette. Il maresciallo era là, davanti a lui, un giovanotto dal corpo tozzo e basso che dimostrava un’età più matura di quella che in realtà avesse, con baffi molto folti e occhi vivi da sbirro.
Un paese piccolissimo, San Pietro, dove tutti si conoscevano, dove continuamente s’incontravano e non c’era bisogno di presentarsi. D’inverno era solo quattro case abitate, seminate lungo un’unica strada, poste come tante piccole scatole bianche davanti al mare. Spesso le mareggiate le lambivano, i venti che spazzavano la lunga spiaggia a conchiglia le investivano ed era tutto un crepitio di tegole rotte che amplificava l’urlo terrificante della bufera. D’estate, invece, il piccolo borgo si animava. Perdeva l’abituale monotonia che il lento trascorrere del tempo soleva concedergli. Come dopo un lungo letargo, i finestroni delle villette, sparpagliate nella campagna circostante, si aprivano per incanto alla brezza marina, al sole che profumava di salsedine, alla luce mediterranea che inondava le stanze più intime e segrete. Era festa, allora, nello chalet della “playa”, nella piazzetta acciottolata e aperta sul Canale, nel piccolo molo, dove i villeggianti aspettavano con pazienza le barchette che nella notte avevano gettato al largo le reti.
-In che cosa posso servirla?- Chiese l’uomo al prete con accento da burocrate, sedendosi.
Il sacerdote era visibilmente impacciato, in soggezione. Il maresciallo non era tra i suoi parrocchiani. Spesso si erano incrociati la mattina sulla spiaggia. Lui col breviario, meditando i sermoni, l’altro in tuta facendo ginnastica. Il maresciallo correva, incalzato dal sole, come un sodomita di un girone dantesco, senza degnarlo di un saluto, di un apprezzamento, di un semplice gesto della mano.
-Non mi chiederà un contributo, immagino!- Aggiunse diffidente l’uomo. –Sa, io credo poco nella Chiesa e nei preti, sarebbe tempo perso. – E terminò sforzandosi di sorridere per attenuare la violenza dell’approccio.
-Oh, no!- Si affrettò a tranquillizzarlo il prete. – Per quanto è proprio un contributo, il motivo della mia visita.-
Il maresciallo lo guardò con occhi curiosi, interrogativi.
-Per Natale, durante le messe chiesi ai miei parrocchiani un piccolo sforzo per aiutare una famiglia che io so in gravissime difficoltà finanziarie. Il bambino è affetto da una terribile malattia ereditaria e al più presto possibile dovrà essere ricoverato in un famoso ospedale americano per essere sottoposto a trapianto. Una storia tuttavia molto comune. Una situazione di emergenza che prima o poi troverà il suo felice epilogo, spero.-
-Già, già! Lo spero anch’io. Non sono poi così disumano e insensibile. – Lo interruppe con un tono di voce conciliante, il maresciallo. –Ma i carabinieri che cosa c’entrano in tutta questa vicenda?- Insistette.
-In effetti, i carabinieri non c’entrano nulla. –Chiarì con ritrovato coraggio don Mariano. Riprese. –La settimana successiva al mio appello, aprendo una delle tante cassette delle elemosine disseminate nella chiesa, trovai una busta bianca anonima fra i pochi spiccioli e qualche euro di carta. Questa per la precisione. –Il prete infilò la mano nella tasca interna della giacca e depositò sulla scrivania una busta bianca, molto stropicciata da qualcuno per averla dovuta inserire a forza in una piccola fessura della cassetta adatta a far passare solo monete o biglietti.
-Le hanno scritto delle minacce, dunque!- Concluse affrettatamente il maresciallo.
-No, no!-Esclamò il sacerdote. –Tutt’altro! La apra, per favore.-
L’uomo allungò la mano e quasi ghermì la busta. La aprì e tirò fuori un sacchetto di velluto nero chiuso da un laccetto di cuoio, accuratamente annodato.
-Lo apra con cautela. –Gli suggerì il padre, ammiccando col viso al suo contenuto.
L’uomo slacciò con cura i due piccoli cordoni e rovesciò il contenuto su un foglio di carta bianco pensando che fosse droga.
-Sono diamanti. –Precisò subito il sacerdote, anticipando la domanda dei suoi occhi stupiti e increduli. –Di primo acchito ho pensato a dei falsi e a uno scherzo di cattivo gusto. -Proseguì don Mariano. -Ad ogni modo ne parlai col vescovo al quale mostrai immediatamente il contenuto del sacchetto. Anche lui, il vescovo, rimase perplesso e si convinse come me che fosse lo scherzo di un buontempone, però qualcosa gli suggeriva che non era così. Mi chiese, per ciò, di lasciargli quella roba perché la avrebbe fatta analizzare da un esperto per escludere qualsiasi altra possibilità. Così feci. La settimana seguente, di nuovo, nella buca delle lettere della parrocchia, confusa a molta corrispondenza, ritrovai un’altra busta come la prima anonima, sigillata questa volta. –Il prete mise la mano in tasca e tirò fuori la busta e, da questa, estrasse una magnifica parure di smeraldi. Il maresciallo ora lo guardava con occhi spalancati e seri. – Ieri –continuò il prete- ho aperto come ogni mattina la buca delle lettere e di nuovo è apparsa fra la corrispondenza un’altra busta bianca, esattamente uguale alle prime, con dentro questi splendidi gioielli. –Don Mariano infilò la mano in un’altra tasca e tirò fuori con l’aria di un consumato prestigiatore un’altra busta contenente un vero e proprio tesoro: anelli con diamanti e rubini, collane d’oro, una collana di perle. –Ho sempre tempestivamente avvisato il vescovo a ogni ritrovamento. Ieri fu il prelato a chiamarmi e, confermando che i primi erano autentici diamanti tra l’altro di valore imprecisabile, guardando ancora gli altri oggetti preziosi, m’invitò a contattare i carabinieri perché, se si fosse trattato di refurtiva, quanto meno in Centrale avrebbero potuto saperlo.–
Il maresciallo prese nelle mani i gioielli e li rigirò più volte fra le dita.
-Lei non si è fatta un’idea approssimativa di chi possa essere il misterioso benefattore? – Chiese l’uomo rompendo un silenzio imbarazzante e strano, guardando il sacerdote con aria diffidente e interrogativa. –Ho spesso avuto a che fare con ladri che hanno fatto di tutto per occultare i beni indebitamente sottratti, di solito rivendendoli a ricettatori, però questo è il primo caso nella mia discreta esperienza in cui ho a che fare con un ladro pentito. San Pietro d’inverno non è una metropoli. E’ chiaro come l’acqua che questo qualcuno ha saputo del suo appello, si fida della sua onestà. E’, dunque, persona del luogo, magari con un passato a noi sconosciuto. Credo pochissimo nella liberalità e ho motivi seri di dubitare che tutto questo ben di Dio sia frutto di risparmi accumulati durante una vita fatta di sacrifici e di rinunce. All’origine di qualsiasi comportamento strano c’è sempre un delitto. Qui non ci piove! Noi non sappiamo che razza di delitto abbia potuto mettere nelle mani di questo sconosciuto un autentico e ingente tesoro, però, che sia un delitto, questo lo sento a meno di un palmo dal mio naso. Dovrà lasciarmi questa refurtiva e portarmi eventualmente l’altro materiale che l’ignoto benefattore vorrà recapitargli ancora. Intanto mando questi oggetti alla nostra Centrale nella speranza di individuarne almeno la provenienza e restituirli, appena possibile, ai veri proprietari ai quali con certezza sono stati sottratti. Forse non è tutto perduto per lei. –Aggiunse con aria consolatoria, dopo una breve pausa.- Mi pare che in caso di devoluzione abbia diritto a una percentuale che poi potrebbe anche essere un valido aiuto per la sua benefica causa. In effetti, il “benefattore” voleva con questi gesti sicuramente aiutare proprio il suo progetto. –
Il maresciallo chiamò l’appuntato, gli diede le istruzioni su come compilare il verbale.
-Ah, dimenticavo! –Disse, mentre, alzandosi, invitava il sacerdote a seguire l’impiegato. –E’ inutile dirle che da domani dovremo “vigilare” la parrocchia e la canonica, soprattutto la buca delle lettere. –
-Fate pure. – Gli rispose Don Mariano. –Non credo che ci sia alcun impedimento da parte mia né da parte del vescovo al quale, chiaramente, lo farò presente insieme al racconto della mia visita. –
Il maresciallo questa volta gli tese la mano.
Il sacerdote si accomodò nell’ufficio dell’appuntato e dovette ripetere a questi il racconto fatto in precedenza al maresciallo perché potesse verbalizzarlo. Quando il verbale di custodia con l’inventario dei gioielli e dei diamanti terminò, l’appuntato si allontanò. Ritornò non più con la minuta ma con l’originale definitivo approvato dal maresciallo, originale che don Mariano firmò e del quale ricevette una copia.
Il prete ritornò in canonica. Telefonò al vescovo per informarlo. Ripassava in rassegna continuamente il volto dei suoi parrocchiani e nessuno riusciva a suggerirgli un dubbio, un sospetto, un movente.
Lo stesso pomeriggio ricevette una telefonata dalla caserma. Il maresciallo lo avvisava che sarebbero andati a trovarlo alcuni carabinieri in borghese per fare dei sopralluoghi.
In effetti, dopo una mezz’oretta, si fermò davanti al portone della canonica un furgoncino. Scesero due individui in tuta. Scaricarono una scala a forbice, attrezzi. Cominciarono a lavorare.
-Se qualche parrocchiano o parrocchiana dovesse fare domande, dica semplicemente che siamo della compagnia telefonica. –Gli suggerirono i due finti tecnici.
-Posso sapere che cosa pensate di fare?- Domandò loro il prete.
-Stiamo installando una piccola telecamera direttamente collegata col nostro centro operativo. La Centrale ci ha raccomandato la massima prudenza. –Risposero i due.
-Registrerete allora tutto?- Tornò a chiedere don Mariano.
-Sì, purtroppo sì. –Risposero laconici gli uomini.
Finito il lavoro, il furgoncino ripartì alla volta della Centrale.
Il maresciallo non aveva molto creduto nel racconto del sacerdote. Diffidente com’era, pensava che l’uomo di Dio avesse voluto coprire col segreto della confessione il pentimento del vero ladro. E forse, addirittura, d’accordo con lui, aveva inscenato quella strana pagliacciata.
Il mattino seguente squillò il telefono della canonica. Era il maresciallo che lo chiamava in caserma.
Questa volta non lo accolse con la freddezza del giorno prima bensì con un accattivante sorriso.
-Prego si accomodi! –Lo invitò a sedersi sulla sedia a lato della sua scrivania. Don Mariano si sedette e lo guardò con sguardo interrogativo e inquieto.
-Dunque lei non ha il minimo sospetto?- Lo incalzò il maresciallo.
-Mi creda…- Farfugliò con un filo di voce il sacerdote. –Neppure la benché minima idea!-
-Chi mi assicura, a parte l’abito che porta ormai simile in tutto e per tutto al mio, chi mi assicura che lei non menta, magari per amore di carità? –Tornò alla carica il carabiniere con uno sguardo aggressivo e cattivo.
-Ma, guardi, avrei potuto dirle delle sciocchezze e poi trincerarmi dietro il segreto confessionale.- Ribatté il prete.
Don Mariano lo guardò negli occhi e non fu difficile intuire dalla sua faccia quello che stava pensando in quel momento.
-Veda –continuò il carabiniere –proprio stamattina mi hanno chiamato dalla Centrale e mi hanno comunicato che nessuna rapina, nessun furto e nessuna denuncia hanno per oggetto un simile materiale. –
-E allora? –Chiese più sollevato ma sorpreso il sacerdote.
-E allora vuol dire che quella roba non è oggetto di refurtiva, cioè non è stata rubata a nessuno.- Concluse a malincuore il maresciallo che già si vedeva protagonista del colpo grosso e con una promozione in tasca. -In via cautelare, però, tratterremo i gioielli per qualche giorno ancora, fino alla chiusura delle indagini. – Aggiunse.
-Va bene. –Assentì don Mariano.-Non credo che ci sia niente da obiettare da parte mia o da parte del vescovo.-
-Già!- Concluse l’uomo. –Ad ogni modo sarà nostro interesse risolvere questo “giallo” apparente, almeno per escludere completamente la pista di un qualsiasi delitto.-
Si alzò dalla sua scrivania e porse la mano a don Mariano.
Sulla porta e in piedi, richiamò ancora il sacerdote.
-Ma proprio lei non ha nessun sospetto? –Gli chiese con voce melliflua. – Ora che la Centrale ha escluso l’ipotesi che potrebbe trattarsi di una possibile refurtiva?-
-Mi creda, sono sincero, da ieri ho cercato tra sospetti, indizi, curiosità e non c’è niente che possa aiutare la mia immaginazione a formulare anche l’ipotesi più stravagante e lontana. Come lei, brancolo inevitabilmente nel buio. – Gli sorrise. Un sorriso forzato che nascondeva un’ansia, un timore.
Ogni giorno apriva la cassetta delle lettere con un certo batticuore, sperando e temendo di trovare una busta ancora.
Il misterioso mittente, però, si faceva attendere. Come se si fosse accorto di essere spiato.
Trascorsero altre settimane e la normalità finalmente s’impadronì del cuore, della mente, della vita del sacerdote. Don Mariano non si faceva più domande e aspettava la telefonata del maresciallo per ritornare in possesso dei preziosi.
Il maresciallo invece era più stizzito che mai. Avrebbe sperato in una mossa falsa del sacerdote che lui sospettava apertamente di complicità con lo sconosciuto filantropo. Raddoppiò la vigilanza in borghese, frugò nella vita dell’uomo con accanimento quasi morboso. Un’indagine a trecentosessanta gradi che, per sua disgrazia, non portò a nulla.
Niente donne, niente uomini nei suoi costumi sessuali. Niente scandali o impennate politiche particolari anche giovanili. Una vita dedita al ministero, semplice, devota, esemplare. E questo lo faceva accanire di più contro quel povero prete di campagna. Più che la Centrale era lui a non voler chiudere il caso temporeggiando così per indurre l’autore di quella messinscena a uscire dall’ombra. La sua curiosità investigativa non voleva arrendersi all’evidenza.
Trascorse tutto l’inverno e giunsero la primavera e poi l’estate. Dell’ignoto benefattore neppure l’ombra. Come se quelle tre buste fossero state recapitate da un angelo.
A malincuore il maresciallo dovette disinstallare le telecamere e archiviare le indagini. Convocò, dunque, il sacerdote in stazione per restituirgli i beni inventariati.
-Non vorrà tenere tutta questa roba in canonica, spero? –Gli chiese mentre consegnava al reverendo il malloppo.
Il suo viso era triste, accigliato.
-Non saprei. -Rispose candidamente il prete. –Proprio l’altro ieri il vescovo mi chiedeva notizie e mi suggeriva una custodia temporanea nella cassetta di sicurezza che la diocesi ha affittato presso una banca locale. –
-Così va bene. – Disse l’uomo. –Perché, se questi gioielli non sono stati rubati prima, potrebbero sempre essere rubati ora. – E sorrise tra i denti.
-La cosa più triste è che non possono essere rivenduti immediatamente per aiutare la causa per la quale qualcuno me li ha donati.- Concluse amaramente don Mariano.
-Nessuno li ha sequestrati. –Rispose asciutto il maresciallo. –Certo è che non conoscendo davvero la loro provenienza bisogna stare attenti a rivenderli. –
-D’accordo con il mio vescovo, nell’omelia del giorno di ferragosto, festività dell’assunzione della beata Vergine al cielo, la festa più importante della nostra parrocchia, ringrazierò dal pulpito questo anonimo benefattore ma, tra le righe, gli chiederò soprattutto le garanzie necessarie perché possa tranquillamente disporre di questo suo importante regalo. Chissà che non succeda qualcosa che ci aiuti a capire meglio il gesto e il suo autore. –
Don Mariano si congedò dal maresciallo con un’altra stretta di mano.
L’estate era ritornata ad animare come sempre ogni anno il piccolo borgo. Le presenze centuplicavano. Molti stranieri spesso con roulotte occupavano le zone più selvagge del litorale. Don Mariano sperava nell’estate per trovare una volta per tutte la risposta con la chiave dell’enigma.
Come aveva anticipato al maresciallo, durante il pontificale di ferragosto fece delle allusioni curiose che non sfuggirono all’attenta curiosità dei parrocchiani e dei villeggianti. Ora tutti nel borgo si chiedevano qual era il gesto importante compiuto dall’anonimo donante e perché mai il sacerdote lo invitava a chiarire l’origine della sua consistente liberalità.
Don Mariano aspettò invano una lettera o un’altra busta anonima nei giorni immediatamente successivi al suo appello. Il benefattore sembrava scomparso nel nulla.
Il vescovo ogni anno proponeva a settembre, dopo l’estate, gli esercizi spirituali per il clero diocesano. Don Mariano, come gli altri anni, si allontanò dalla parrocchia. Di solito, durante gli esercizi, la chiesa e la canonica restavano chiuse.
Al ritorno svuotò la cassetta della corrispondenza e, questa volta, dopo un lungo periodo di silenzio, ritrovò una busta bianca, simile alle altre che tanto lo avevano fatto trepidare nello scorso gennaio.
La busta non conteneva gioielli ma solo ritagli ingialliti. Un articolo di un vecchio periodico e dei versi stampati che non si sa bene che cosa volessero dire. Il sacerdote ritenne opportuno di ritornare dal commissario per mostrargli il nuovo ritrovamento.
L’uomo lo accolse con molta cortesia, sperando sempre di risolvere quello che ormai era diventato “il suo caso”.
Don Mariano si sedette davanti a lui ed estrasse il contenuto dalla busta.
-Lei li ha già toccati, immagino?- Gli chiese il maresciallo alludendo ai ritagli ingialliti.
-Si. -Rispose sorpreso il prete.
-Non avrebbe dovuto. –Lo rimproverò l’uomo. –Ad ogni modo non credo che siano così importanti da richiedere uno studio delle impronte. – Prese una pinzetta dallo scrittoio e analizzò con una lente d’ingrandimento il primo che gli venne a caso. –Non è italiano. -Sentenziò laconicamente. Prese l’altro che riportava dei versi e lo osservò come il precedente. –Forse è tedesco. Conosco appena qualche nozione d’inglese, però, se fosse tedesco, il mio appuntato potrebbe capirlo. –Disse come se parlasse tra sé in una stanza dove non c’era anima viva. Era troppo curioso per resistere alla tentazione di conoscere il contenuto di quelle due reliquie del passato. Compose un numero al citofono interno. Presto bussò alla porta e subito entrò l’appuntato, lo stesso che mesi prima aveva steso il verbale. Un ragazzo giovane, robusto e biondo, dalle labbra carnose e rosse e gli occhi di un grigio indefinibile.
-L’appuntato ha frequentato da piccolo le scuole in Germania, i suoi genitori emigrarono a Monaco come molti italiani negli anni Sessanta. Lo portarono là che era ancora in fasce, ritornò in Italia già grande come tanti figli di italiani di quel tempo. Se questo è tedesco, lui saprà tradurcelo. –
Con queste parole il maresciallo presentò questa volta il giovane appuntato a don Mariano poi, con un gesto esplicito, invitò il carabiniere a dare un’occhiata ai pezzi di carta. Il ragazzo si avvicinò timidamente alla sua scrivania e, senza bisogno di usare la lente d’ingrandimento, con la pinzetta avvicinò il primo ritaglio agli occhi e poi il secondo per leggerli.
-Si. –Disse.- E’ tedesco. –
-E che cosa c’è scritto, dunque?- Chiese con impazienza il commissario.
-Il primo, il ritaglio più lungo, parla di bambini rapiti dai nazisti per germanizzarli nell’ambito di un progetto, il progetto Lebesborn, così mi pare di capire…-Rispose il ragazzo.
-E l’altro? – Lo incalzò il commissario.
-L’altro mi pare che sia una poesia o qualcosa di simile. Descrive una caserma, un portone, un fanale, Un uomo e una donna che s’incontrano, due amanti, forse…-
-Che cosa vorranno dire questi due pezzi di carta o, meglio, che cosa vorrà dire chi ha mandato i gioielli con questo messaggio sibillino? –domandò Don Mariano.
-Già! –Sbottò deluso e sovrappensiero il maresciallo. -Il mondo è pieno di pazzi, di mitomani, di gente che ama giocare con la verità.-
Licenziò l’appuntato e restituì i due ritagli al prete che li conservò con cura dentro la loro busta. Don Mariano si alzò e tese la mano al maresciallo per congedarsi.
-Lui vuole giocare, ho capito, a questo punto. –Aggiunse il maresciallo. -E lasciamolo giocare. Aspettiamo che si faccia vivo con qualche altro indizio più comprensibile. Ad ogni modo, lei già sa che deve venire a informarmi. – Detto questo, strinse la mano al sacerdote.
Don Mariano non appena rincasò in canonica chiamò il vescovo per chiedergli un’udienza. Il prelato lo ricevette quel pomeriggio stesso.
Anche a lui mostrò i due ritagli di giornale.
-E’ tedesco. –Anticipò subito il sacerdote, mentre il vescovo cercava di intuire in che lingua fossero stampati i due pezzi. -Il commissario li ha fatti tradurre al giovane appuntato che da piccolo ha vissuto in Germania.-
-Se fosse veramente tedesco, potrebbe confermarcelo anche padre Bogumil, il giovane prete polacco che da qualche anno aiuta fidei donum nella nostra diocesi. Lui il tedesco lo parla correntemente –E così dicendo chiamò in seminario dove il sacerdote abitualmente risiedeva.
Padre Bogumil non si fece attendere. Prese nelle mani i due ritagli, li esaminò con attenzione, corrucciò poi le sopracciglia e guardò con meraviglia prima il vescovo e poi don Mariano.
Un ragazzo giovane, padre Bogumil, biondissimo quasi rosso di pelo, gli occhi castani, un corpo massiccio e basso. Ormai parlava un italiano perfetto. Il vescovo gli restituì uno sguardo preoccupato e ansioso.
-Ebbene?- Chiese con impazienza il prelato.
-Il primo ritaglio –disse il ragazzo e lo mostrò perché lo vedessero bene – appartiene a un giornale polacco del 1947. No. Non è scritto in tedesco. Chi ve l’ha detto? Parla di un terribile traffico di bambini compiuto dai nazisti per garantire e selezionare la razza ariana. Fu una vergognosa operazione ideata dalla follia visionaria di Himmler. Il famoso progetto Lebensborn o com’era anche conosciuto “Progetto sorgente di vita”. L’articolo denuncia la scomparsa di bambini polacchi chiaramente relazionata con questo diabolico piano. L’altro ritaglio –e prese il brandello di giornale –no, quest’ultimo sì… è scritto davvero in tedesco. –Si fermò un attimo a rileggerlo con attenzione. Poi, dopo una lunga pausa, esclamò: -Non può essere! Incredibile!- E sbottò in una sonora risata.
Il vescovo e don Mariano si guardavano perplessi e guardavano a loro volta incuriositi il sacerdote.
-Che cosa non può essere?- Chiese timidamente don Mariano.
-Il secondo ritaglio di giornale non è qualcosa di particolarmente interessante, è semplicemente il testo della canzone Lili Marleene. Ne sono più che sicuro perché a mio nonno quella canzone piaceva tanto. – Il sacerdote polacco posò il secondo indizio sulla scrivania senza abbandonare l’espressione ilare che quell’ultima scoperta gli aveva conferito al volto.
Il vescovo e don Mariano si scambiarono occhiate interrogative e stupite.
-Tutto qui?- Chiese con voce allegra il polacco.
-Si. –Rispose il vescovo. Ci è stato di enorme aiuto. Può andare, se vuole. –
Il sacerdote si congedò.
-La cosa diventa davvero misteriosa. –Sentenziò il prelato. -Se non fossero autentici i gioielli, penserei di trovarci davanti a un vero mitomane. Ma non è così. Lo sconosciuto benefattore ha risposto al suo invito dal pulpito. Lo ha fatto con tanta circospezione che mi fa pensare a delle ragioni importanti e strane. Quale verità terribile e inconfessabile si cela sotto questi due pezzi di carta ingiallita? Che opinione si è fatta il maresciallo dopo che l’appuntato li ha tradotti dal tedesco?- Chiese il monsignore a don Mariano che lo guardava senza parole.
-Ma, eccellenza, un attimo! -Esclamò con stupore il sacerdote. – Li ha tradotti dal tedesco? L’appuntato ha detto che entrambi i ritagli erano scritti in tedesco e li ha tradotti da quella lingua. Però non era vero! Perché un ritaglio, invece, appartiene a un giornale polacco. Eppure la sintesi dell’articolo che ha dato era corretta. Come faceva a sapere l’appuntato ciò che era scritto in quel pezzo di giornale polacco?-
Il vescovo lo guardò sorpreso e allibito.
-Già! – Esclamò. –Qui qualcosa non quadra, sempre che l’appuntato non conosca pure il polacco, cosa che mi pare sinceramente inverosimile. Uno dei due traduttori mente, dunque! E non credo che a mentire sia proprio il nostro sacerdote!- Riprese dopo una lunga pausa di meditazione. –Lei conosce l’appuntato?-
-No. – Rispose don Mariano. –So però che è di un paese vicino appartenente al territorio della nostra diocesi e che è fidanzato con una ragazza di San Pietro. –
-S’informi a quale parrocchia potrebbe appartenere, dunque, così, in un modo molto discreto. Voglio parlare con lui senza però insospettire il maresciallo. Lo faremo avvicinare dal suo parroco.-
Don Mariano si congedò dal prelato e la sera stessa si dette da fare. Non gli fu difficile sapere notizie riguardanti il giovane carabiniere. Quando fu sicuro dei dati, il vescovo, per mezzo del parroco della parrocchia di appartenenza, fissò all’appuntato un’udienza.
Il giovane si presentò all’appuntamento puntuale e tuttavia sospettoso, guardingo.
-Si accomodi!- Lo invitò il prelato, indicandogli con la mano una poltroncina posta ai lati della sua scrivania.
-A che cosa devo l’onore di questo invito? –Subito domandò il ragazzo con un’ansia poco dissimulata nella voce.
-Don Mariano mi ha parlato di lei. Oh, molto benevolmente, s’intende!- Si affrettò a chiarire l’uomo di chiesa.
Il ragazzo parve rassicurarsi.
– Alcuni mesi fa fu proprio lei, mi pare, a compilare l’inventario di alcuni preziosi che un ignoto benefattore ha voluto farci pervenire per sostenere una giusta causa.- Il prelato lo guardò e fece un largo sorriso.
-Si. E’ esatto. Ho compilato quell’inventario. –Asserì il carabiniere.
-Per questo l’ho fatta chiamare! –Disse il vescovo. Il ragazzo lo guardò con aria interrogativa. –Le spiego- proseguì il religioso- nessuno sa a tutt’oggi di quest’autentico tesoro. Lo so io, lo sa il maresciallo, lo sa don Mariano e lo sa lei, a parte il misterioso donante.-
-E allora? –Domandò il giovane chiaramente infastidito.
-Niente! –Esclamò il prelato. –Lo so che i carabinieri sono molto riservati al riguardo, però io volevo chiederle una discrezione in più.-
-Una richiesta inutile. –Sbottò il giovane. –Perché è impossibile che qualcuno della caserma possa raccontare fuori fatti che riguardano l’attività investigativa, pena il licenziamento! Ed io non sono così sciocco da farmi licenziare. –
-Bene!- Concluse il vescovo. Il ragazzo si alzò in piedi e gli porse la mano. Si avviò verso la porta.
-Però! -Lo richiamò il prelato. Il ragazzo si voltò e lo guardò incuriosito. –Lei mi pare un ragazzo molto sveglio –continuò l’uomo di chiesa.- così, a quattrocchi e lontani dal maresciallo, posso chiederle che idea si è fatta di tutta questa vicenda? –
-Non so…non saprei che dire…-Farfugliò seccato il carabiniere.
-Venga! –Lo esortò il vescovo. –Si accomodi ancora un momento. La sua idea m’interessa. Siccome non conosco il tedesco, avrei piacere che lei traducesse per me i due ritagli di giornale come ha fatto col maresciallo. – Detto questo, il monsignore estrasse da una carpetta la busta con i frammenti.
Il ragazzo malvolentieri si sedette di nuovo e riprese in mano i ritagli che il religioso gli offriva.
-Nel primo –disse – si fa allusione a un certo numero di bambini polacchi selezionati dai tedeschi nell’ambito di un progetto che aspirava a creare una pura razza ariana. Era il cosiddetto progetto Lebensborrn. Il secondo riporta i versi di una poesia, immagino. Potrebbe anche essere una canzone.-
-Conosce molto bene il tedesco, vedo. Dove l’ha studiato?- Lo incalzò il prelato.
-Sono figlio di emigranti. Ho frequentato le scuole medie in Germania. Poi i miei genitori ed io ci trasferimmo in Sicilia e qui continuai le superiori. Alcuni anni fa ho fatto un concorso nell’arma dei carabinieri e sono stato scelto. Da alcuni mesi sono appuntato.- Quest’ultima frase la pronunciò con enfasi, quasi con orgoglio.
-Che bella storia! –Commentò il vescovo. Riprese. –I suoi dove vivevano esattamente in Germania?-
-Mio papà faceva il portiere in uno stabile di una zona residenziale di Monaco, un quartiere un po’ periferico e appartato. Mia madre lavorava, invece, in una fabbrica. –
-Monaco!- Ripeté come sovrappensiero il prelato. -La più italiana delle città tedesche! E lei l’ha conosciuto a Monaco il nostro misterioso benefattore?- L’uomo di chiesa lo guardò dritto negli occhi e la sua faccia cancellò immediatamente ogni traccia di sorriso. –
-Cheee!- Quasi gridò il ragazzo.
Il vescovo prese il ritaglio del giornale polacco e glielo allungò perché lo vedesse meglio. Poi gli disse con molta serietà: -Questo, mio caro ragazzo, non è scritto in tedesco bensì in polacco, lo abbiamo verificato. Come ha fatto a tradurlo se non conosce questa lingua? Lei conosce il polacco? Eppure è corretta la versione che lei ha dato prima al maresciallo e ora a me. Tutto mi lascia supporre, dunque, che lei non sia per niente estraneo a questa specie di gioco o se preferisce di giallo.-
L’appuntato abbassò la testa e non trovò né parole né coraggio per rintuzzare le accuse del monsignore.
-Ascolti! –Lo incalzò il prelato.-Non voglio sapere perché ha montato tutta questa messinscena, voglio solo capire come ha ricevuto e da chi questi preziosi per poterli restituire senza che il maresciallo si mangi la foglia. Tutto qui. Io sono prima di tutto un sacerdote e, come tale, posso agire trincerandomi dietro il segreto confessionale. Lei con me non correrà nessun rischio, dunque. Voglio sinceramente aiutarlo, mi creda!-
Il ragazzo guardò il vescovo negli occhi e il suo sguardo, ora, era malinconico e triste.
-Nessun giallo, Eccellenza, o forse sì. Una storia di quelle che non immagini, che solo in un film si può raccontare. –Esordì l’appuntato.
-Racconti! Senza timore! La prego! Dopo vedremo se possiamo raccontarla o no. –Lo rassicurò il prelato.
-I miei genitori mi portarono quasi in fasce in Germania. A Monaco i primi anni furono difficili per loro ma seppero cavarsela e sopravvissero. Poi, a mio padre offrirono il posto di portiere in un grande stabile come le dissi prima. Un quartiere nuovo, residenziale, gente molto distinta. In questo lavoro continuò fino a quando arrivò alla pensione. Mia madre dovette, invece, lavorare per qualche anno ancora dopo la giubilazione di mio padre. Con i risparmi messi da parte, andavano costruendo da tempo una villetta nel loro paese siciliano d’origine per cui, a pensionamento ottenuto, decisero di rientrare in Italia. Io dovetti per ciò interrompere gli studi e fu molto difficile riprenderli poi in Sicilia. Nello stabile dove mio padre lavorava come portiere era molto benvoluto, nonostante tutto con nessuno degli inquilini il rapporto andava più in là del semplice saluto. Al quinto piano del palazzo viveva un’anziana signora sola. Una donna molto discreta, riservata. L’impresa che gestiva la proprietà dell’immobile le aveva affittato da molti anni un appartamentino, affitto che lei puntualmente pagava. Mai nessuno veniva a cercarla. Non aveva amiche, non aveva parenti, nessuno sapeva se fosse stata sposata nella sua vita. Le faceva compagnia un cagnolino che lei viziava come se fosse un figlio. Un giorno, eccezionalmente, la signora venne a casa nostra: abitavamo un piccolo appartamento a piano terra attiguo alla portineria. La donna disse a mio padre che doveva ricoverarsi in una clinica per sottoporsi a un delicato intervento al cuore. Gli chiese se avessimo preso in cura il suo cane. Ben volentieri mio padre si prestò non foss’altro per tranquillizzarla. Gli affidò in custodia anche una valigetta di pelle chiusa a chiave con l’intenzione di ritirarla al suo ritorno. Trascorsero alcuni mesi e l’impresa proprietaria del palazzo chiamò mio padre, gli ordinò di svuotare l’appartamento della signora trasferendo i pochi mobili in un magazzino del seminterrato, nell’eventualità che qualcuno si fosse presentato a reclamarli. Dopo questa operazione arrivarono muratori e pittori, riformarono l’appartamento che fu affittato ad altri inquilini. Della signora nessuna traccia. Ci rimase il cagnolino e quella valigia che mio padre conservò con molta cura nell’eventualità che qualcuno la avesse rivendicata. Dopo qualche anno anche il cagnolino morì. Si approssimava, intanto, la data del trasloco in Sicilia. Restava quella valigia da consegnare. Alcuni giorni prima della partenza, mia madre convinse mio padre a forzare la sua serratura nella speranza di trovarvi dentro un indizio o delle piste che lo aiutassero a disfarsi di quell’ingombro. Mio padre la aprì e ci mancò poco che non gli venisse un infarto. Preziosi, gioielli, lingotti d’oro, una vera fortuna come il tesoro dei pirati che spesso raccontavano i fumetti. Insieme con tutto quel ben di Dio, documenti vari, diversi passaporti contraffatti di differenti nazionalità privi di foto e un carteggio che per la signora sicuramente doveva essere importante. Nessun indirizzo concreto. I miei genitori trasferirono tutto il contenuto in un’altra valigetta e, rientrati in Sicilia, murarono quest’ultima fra le pareti della nuova casa, temendo più che i ladri le possibili rogne della giustizia. Non sapevano nulla di quella fortuna, per questo evitavano anche di parlarne in famiglia. –
Il ragazzo fece una pausa. Il vescovo lo guardava con occhi increduli.
-Dovevo crescere abbastanza e diventare carabiniere per studiare meglio il contenuto della valigia misteriosa. –Riprese.- E’ sempre molto triste dover frugare nella vita degli altri. Non ci volle molto a capire che la signora era stata infermiera in una delle cliniche delle SS nelle quali si accudivano partorienti speciali, donne che avevano offerto già dal grembo materno i propri piccoli al regime, neonati che, dopo accurate analisi, erano stati selezionati per garantire così la purezza di una razza ariana. Monaco fu il centro principale di questa incredibile pratica ma molte altre “case” furono aperte in Germania e nei vari territori occupati. Un aberrante traffico di bambini, ideato dall’esaltazione mistica di Himmler e destinato a diventare la vera mostruosità del nazionalsocialismo, più che l’olocausto.
La signora era stata la complice amante di un ufficiale delle SS che dopo la caduta di Hitler era riuscito a eclissarsi e a raggiungere con passaporto falso l’Argentina. Là, infatti, in questo paese sudamericano, si perdono le sue tracce. L’ultima lettera lui gliela scrive, in effetti, da Buenos Aires. Dopo, il silenzio. L’ufficiale aveva fatto parte pure dell’Afrika Korps, un battaglione al servizio di Rommel che operava in Africa settentrionale. Da là l’uomo scriveva alla donna lettere struggenti e appassionate. Dal nord dell’Africa le inviò, infatti, quel ritaglio i cui versi altro non sono che le parole della canzone Lili Marleene, una canzone molto in voga fra le truppe al fronte. Gliela inviò perché quei versi all’ufficiale sicuramente ricordavano la loro relazione.
Da ciò che ho potuto capire, lei lo nascose e lo protesse dopo la disfatta e, in seguito, lo aiutò a fuggire. Con parte di quel tesoro a lei affidato, il gerarca forse comprò una libertà e un’impunità come prima altri avevano inutilmente pensato di comprare la loro vita.
Quando scoprii tutto questo, mi resi conto che non potevo accettare quell’eredità magnifica perché sicuramente era stata prima un’eredità insanguinata. Ho tuttavia altri gioielli e dell’oro in lingotti ma mi dà il voltastomaco l’idea di custodirli ancora.
Se non hanno saputo salvare allora la vita dei legittimi proprietari ai quali i preziosi furono sottratti con l’inganno o con la forza dal criminale- mi son chiesto – perché non utilizzarli per salvare ora, davvero, altre vite innocenti? Una specie di obolo di Caronte necessario perché queste due anime maledette dalla Storia potessero finalmente essere traghettate, purificate, dal limbo di una memoria infame alla serenità di un oblio anonimo, riparatore e giusto.-
Il ragazzo guardò ora con fierezza gli occhi del suo interlocutore. Occhi commossi che si vergognavano quasi per averlo inutilmente sospettato.
-Li venda tranquillamente quei gioielli, Eccellenza, nessuno potrà dirle niente, neppure il maresciallo. Li venda e aiuti quel bambino e altri bambini, prima che sia troppo tardi. Io non avrei potuto farlo, non ne ero capace. Le porterò le altre gioie che mi restano, sicuro e felice che almeno lei investirà correttamente il ricavato in opere di carità. –
-Grazie. – Seppe solo balbettare il vescovo. -Lei non è un uomo, lei è molto di più. E’ un angelo.-
Il ragazzo si alzò, gli porse la mano per salutarlo. Il vescovo invece lo abbracciò. Lo accompagnò in silenzio con lo sguardo fino a quando scomparve in fondo al corridoio, dietro la porta.
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