Firenze-Sampieri in bici
di Lino Bellia


Formia – Ogni mattina, inizio di una pedalata lunga, il peso sulle ruote fa avvertire non si è in una situazione proprio abituale. Ci voglio 10 chilometri per adattarsi e sistemare tutte le parti del corpo che sono in aderenza con il mezzo e sollecitate dal movimento.
Oggi sapevo, potevo prendermela comoda. Recuperare, perché domani: il massacro! Potevo fermarmi per fotografare, fare tutto senza assilli. I chilometri sono pochi e la giornata di luce è lunga in questo giugno assolato e caldo. Il percorso essenzialmente piatto. Le località attraversate le conoscevo bene per il viaggio precedente, ma oggi le condizioni erano di migliore freschezza e quindi tutto l’intorno aveva altro sistema di lettura. Nel viaggio di dieci anni addietro mi ero fermato per dormire a Castelvolturno, cittadina che incontro già nella prima mattinata. La meta di metà mattina è Napoli.
Certo quando di una geografia si ha di già nozione – anche se per fugace passaggio – tutto l’osservare ha un velata conoscenza. Dal pozzo profondo delle amnesie esumano immagini, colori, percezioni e sensazioni, finanche rumori e luci. Una mappa antica si rinvigorisce nelle disallegrie di una fatica nobile e genuina.
Forse a motivare i significati concreti e simbolici di questo viaggio – a tutti i viaggi – è la necessità di soddisfare un desiderio, una tensione di conoscenza e di ricerca, ma anche il bisogno di distacco, di allontanamento del felice perdersi. Sì, sentirsi persi in un territorio è una sensazione esaltante che trasmette il massivo valore di libertà. Certo non si tratta di viaggio in mare dove le rotte devono essere cercate, ed il naufragio è sempre in agguato, però allo stesso modo il viaggio è metafora della vita. Si concluderà in un porto, ogni giorno si giunge in un riparo dalla tempesta, anche se sempre in balia della padronanza di se stessi. Se da una parte c’è il rischio di perdersi (non certo fisicamente) dall’altra c’è la scommessa della ricerca, della piena coscienza di tutto quanto sta dentro e fuori noi stessi. La speranza (certezze non ne esistono per la strada) del ritorno, e l’angoscia eccitante dell’ignoto e dell’imprevisto che subdolamente reggono il gesto e la purezza della sua fatica.
Ho voluto sostare volutamente a Napoli città che non conoscevo. Man mano nell’inoltrami nelle pieghe più strette ed intime dalla città, gli aspetti del carattere partenopeo apparivano chiari. Il fuori regola è pratica abituale: semafori, strisce pedonali, sorpassi e contromano sono senza principio. Per una volta mi sono sentito napoletano anche io. Il contesto condiziona i comportamenti è vero. Napoli mi è apparsa come una città capovolta: le auto sui marciapiedi i pedoni sulla strada. tra Ho voluto in ogni modo fare il turista perditempo. Sono stato a cercare i luoghi noti – almeno quelli che sono riuscito a trovare – di un immaginario diffuso riferito alla città partenopea. Ne ho testimoniato il passaggio con delle fotografie. La parlata del napoletano è nu’ babbà…pastosa e affettuosa. Suona genuina come di pane fatto in casa e di nessun problema, tutto è risolvibile nel fatalismo di questo popolo.
Il lungomare è proprio lungo e il basolata, massacra le ossa della mia bicicletta e anche le mie. Nel passaggio del precedente viaggio su quel selciato incerto mi si ruppe il portapacchi…con grande inconveniente. Così tra i sampietrini masticati dall’incuria, vado pianissimo. Una nota positiva, da Napoli fino a Acropoli, lambendo il mare, la temperatura si è abbassate e il pedalare è stato più agevole.
Le gambe spingono verso sud e il paesaggio intorno scorre sfuocato; il sudore pieno di sacrifici scende sul volto solcandolo con rigagnoli vivi. Le ruote reggono il peso grave e corrono sulla strada nera e levigata. Meccanicamente ogni pedalata coincide con un respiro strozzato in gola, con una speranza a mente espressa. Ogni scatto del cambio che cambia, è un colpo di catena che libera da quello che si ha dietro le spalle: chilometri di strada percorsa e frammenti di vita lasciati nei luoghi attraversati.
Che liberazione fare tutto senza limiti e poche regole. Dei vagabondi ho sempre apprezzato la libertà, lo stare fuori dagli schemi, essere felici della marginalità. Ecco…così mi sono sentito: libero! Essere padrone del proprio tempo e delle proprie volontà, fare a piacimento senza costruzioni. Mi sono mosso quando ho deciso. Fermato alla stessa maniera. I bisogni si sono vestiti di relativo obbligo. Tutto ha nuova misura quando i rapporti interpersonali sono azzerati. Tutti i freni inibitori si cancellano. Sono stato anche oggi ore ed ore senza parole fiatate. E questa condizione credo sia fortemente depurativa.
Note a piè di pagina
Data l’eccessiva sudorazione, credo di avere qualche problemino nella dispersione dei liquidi, ma credo rallentando l’impegno tutto torni nella normalità. Scivola un po’ da un lato ad ogni sobbalzo, il bagaglio messo avanti sugli “spinaci”, ma ogni tanto rimetto nell’originaria posizione e tutto procede.
© Riproduzione riservata