Un edificio che non esiste più
di Paolo Nifosì


Scicli – Molto spesso una delle domande che si pongono allorquando si visitano le chiese di Scicli è quella di sapere con quali fondi sono state costruite. Ai miei amici lettori offro un documento del 14 aprile del 1631 che chiarisce un modo di costruire una chiesa, nello specifico la chiesa di Santa Maria la Piazza, seconda parrocchia della città già dai primi del Cinquecento, che intorno al 1630 risultava pericolante. Con ogni probabilità qualche lesione fu motivo pretestuoso per fare un nuovo progetto in un momento in cui la città vedeva aperti diversi cantieri dalla chiesa di San Matteo, alla chiesa di Santa Maria la Nova, dalla Consolazione al Collegio gesuitico, da San Bartolomeo al Carmine, per citare l’edilizia monumentale ecclesiastica. Per Santa Maria la Piazza si elabora un nuovo progetto rispetto alla preesistente chiesa del Cinquecento e i rettori della chiesa Girolamo Ribera, Don Giacomo Iurato ( cavaliere gerosolomitano), il barone Castelletti, Lucio Bellomo, Don Guglielmo Celestri, il chierico Marco Antonio Rondei, insieme ai giurati della citta Guglielmo Russo, Giovan Batttista Melfi, Carlo Damiata e…Ortega ed ancora con la presenza del beneficiato Don Paolo la Carruba concedono il suolo per la costruzione di una cappella della nuova chiesa a a ciascuno dei sottocitati Giovan Battista Melfi ( regio milite), Agostino Celestri, Don Girolamo Gravina, il cavaliere gerosolomitano Girolamo Cartia, il sacerdote Don Baldassarre Marsala, Francesco Penna.
La chiesa che si doveva costruire comprendeva otto cappelle, quattro nella parte destra e quattro nella parte sinistra oltre il transetto la cappella maggiore e le cappelle laterali alla cappella maggiore. Il costo previsto di costruzione di ogni singola cappella concessa era di 150 onze. Ogni cappella doveva essere di palmi 16 per ogni lato, “con li suoi pilastri d’intaglio, grossezza di muro sufficiente et atta sopra quello potersi voltar lo dammuso dello corpo della chiesa, e la cappella ha da essere dammusata e completa di sopra e dalla parte di dentro della chiesa, deve arrivare sino al cornicione e con tutti i requisiti necessari conforme al modello e disegno della chiesa da costruire ex novo” dentro le quali cappelle ogni affidatario poteva collocare “ monumenti, altari, quadri e ogni altra cosa” che riteneva utile.
La prima cappella del lato destro della cappella maggiore è assegnata al Celestre. A Don Girolamo Gravina “ la cappella contigua a quella assegnata al Melfi; al Cartia la cappella che si trova sotto la porta di tramontana a frontespizio della cappella del Melfi”. A Don Baldassarre Marsala “ la seconda cappella seguente alla cappella concessa al Cartia”; a Francesco Penna “ la cappella contigua alla detta cappella concessa al suddetto Cartia a frontespizio della cappella concessa a don Girolamo Gravina; li quali cappelli devono essere di larghezza di palmi sedici di quatro”. I suddetti concessiona ri per costruire la loro capella potranno utilizzare la pietra della vecchia chiesa.
Col terremoto del 1693 quella chiesa sarà notevolmente danneggiata per cui si penserà a ricostruirla con un progetto che vede Pietro Cultraro progettista della nuova facciata.Ma anche quella architettura settecentesca non avrà fortuna, dopo l’unità d’Italia, alla fine dell’Ottocento, Santa Maria la Piazza sarà demolita per far posto all’attuale Piazza Municipio. Questo documento citato comunque aiuta a capire il rapporto tra committenza e chiesa, soprattutto tra Cinquecento e Seicento.
( Modica, Archivio di Stato, notaio Vincenzo Aparo, n. 496, vol. n. 7, cc. 712r-715v)
© Riproduzione riservata