Cultura
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08/04/2014 23:04

Il farmacista

Guglielmo Cartia

di Un Uomo Libero.

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Guglielmo Cartia
Guglielmo Cartia

Madrid –  Mi sembrava enorme nella sua mole soprattutto quando, piccolino, gli correvo incontro per la via Santa Teresa a Scicli e, appendendomi al braccio robusto, mi riparavo alla sua ombra.

Il farmacista Guglielmo Cartia rimane nella mia memoria un ricordo indelebile e amico.

Un uomo tutto d’un pezzo, un galantuomo si diceva in giro, nell’antico quartiere Fiumillo, dove lui abitava da sempre e dove tutti lo conoscevano.

Una presenza rassicurante, benevola.

Un farmacista vero, all’antica.

Miscelava polveri miracolose che si mandavano giù racchiuse in ostie santificate dalla sua inarrivabile perizia.

Fabbricava sciroppi che curavano i malesseri più strani o pomate che guarivano le malattie più rare.

Io lo aspettavo la sera, a volte per ore e ore.

Tendevo l’orecchio al silenzio per riconoscere il suo passo pesante sull’acciottolato, non appena imboccava la strada che dall’antico Corso San Michele, dov’era la farmacia, portava diritta alla sua casa.

Ed era una festa rivederlo.

Solo ora, però, ricordo i suoi occhi stanchi, le gote tirate per un lavoro di precisione, senza orario.

Non appena arrivato a casa, gli saltavo sulle ginocchia e gli frugavo nel taschino del panciotto, dove sempre nascondeva una dolce sorpresa per me: un involtino cartaceo con liquirizia purissima tagliata a rombi irregolari; le ostie che scartava, necessarie per confezionare i medicamenti da prendere per bocca; caramelle dai gusti strani che si divertiva a preparare.

Premurosa e apprensiva, spesso mi staccava a forza da lui ronn’Angela, una Diodata di verghiana memoria, sottomessa e devota, fedele alla sua vita come nessuna donna mai.

Durante il fascismo, attraverso la sua unica radio si ascoltavano i comunicati del regime, le notizie dei trionfi e poi, alla fine della guerra, i resoconti e l’eco della disfatta.

Magnanimo, dispensava cure e medicine a chi sapeva in difficoltà o povero.

Quando il paese, per difendersi dai bombardamenti, fuggì verso le grotte di Chiafura, fu ospite della mia famiglia che molto lo amava e che tanto lui ha riamato.

Tutte le volte che visito la “botica” del Palazzo Reale di Madrid inevitabilmente penso a lui.

I vasi farmacia antichi e preziosi, di vetro o di ceramica dipinta; i mobili del suo antro di mago e quelle due giovanette dipinte sullo specchio di una porta che si apriva sul mistero e celava più che l’alchimista stregone un uomo buono, conservano intatto, per me, ancora oggi il fascino di un passato dove lui era e dove anch’io ero.

Morì e fu silenzio intorno.

Per la prima volta, bambino, scoprii la morte e il dolore.