di Redazione


Bartolo Campailla e
Lorenzo Verdirame
Due amici.
Due ciclisti di Scicli.
Sappiate però, che la sconfitta aiuta a crescere. Ma “bisogna saper perdere” solo in quella modalità modella il carattere e in questo senso la pratica del ciclismo può servire alla vita, ne è la prova generale!
Il ciclismo è sport duro, dove la fatica ai margini della sofferenza è sostanza basilare. Fare accostare al ciclismo un giovane, è sempre convincimento difficile, per le tante distrazione che i ragazzi vivono e che, con il rigore che il ciclismo richiede, non si accordano. In questo senso è sport antico o se preferite senza tempo. È sport vero, che vuole dedizione completa, non mezzana. Non è un gioco. Non è sport di squadra – o lo è in una stranissima mistura di dedizione e sottomissione seguace – non si può fare scorrere palla togliendosi l’impiccio e stare a guardare. I ciclisti pedalano tutti. E fatica di più chi viene staccato e perde – perché giunto al punto paralizzante della fatica limite – che chi stacca gli avversari e vince per sue doti proprie e facilità del gesto.
Quasi mai i figli condividono la stessa passione dei genitori. Nel caso di Bartolo e Lorenzo, la regola ha avuto una anomalia. Forse Bartolo e Lorenzo hanno visto fin da bambini per casa, le tracce inconfondibili di una passione viva: maglie coloratissime con scritte ben visibili, caschi e strane scarpe, e biciclette dai vari materiali sempre rinnovate. Hanno assistito ai racconti entusiasmanti delle gare alle quali i due genitori Memmo Campailla e Memmo Verdirame hanno partecipato. Forse dal sentimento di quei racconti, dalle gare dei genitori viste e seguite al vero, hanno abbracciato convinti tutto questo fardello di affanni.
Memmo Campailla si accosta al ciclismo amatoriale ormai da grande, ma con impegno, sacrificio ed assiduo allenamento riesce ad ottenete delle affermazioni in gare con poca salita, che si risolvevano in volata. Caratteristica da passista veloce.
Per “i verdirame”, il discorso è diverso. Costituiscono a Scicli la “famiglia del ciclismo” che ha anche avuto una squadra di Federazione e amatoriale in alternativa agli “Amici del pedale”. Siamo ormai alla seconda generazione di ciclisti. Quasi tutti i figli della numerosa dinastia, sono passati dal pedalare. Nella primigenia famiglia dei ciclisti Verdirame: Bartolo, Ciccio, Angelo, Giovanni, e anche Memmo (il padre di Lorenzo) hanno pedalato, anche in categorie di Federazione con buoni risultati. Ho gareggiato con Memmo. Aveva caratteristiche complete. Teneva in salita, aveva andatura nel passo ed in volata: timore di nessuno. Provò a correre nella Federazione a Varese, ma … quella era altra epoca e quella era altra storia.
Della seconda generazione, oltre Lorenzo, fa parte pure Carmelo (figlio di Bartolo) che per due anni ha gareggiato al nord con un sodalizio lombardo come Juniores insieme ad un altro sciclitano: Peppe Ficili.
Ora … l’esperienza si rinnova.
Un’altra coppia di sciclitani alla rincorsa di un sogn, che può valere una carriera.
In Sicilia, nella stragrande maggioranza, i ciclisti sono amatori. Cioè praticanti di quel ciclismo dopolavoro, sterile e per sua natura senza prospettive di professione. Le squadre di Federazione nell’isola sono poche e con poche risolse. Anni addietro si tentò – se bene ricordo, con l’avv. Ingrillì – di costituire una squadra dilettantistica come rappresentativa regionale chiamata “Progetto Sicilia” . Gli esiti furono deludenti e impedirono a buoni corridori (uno a caso e per tutti: Rosario Fina passato professionista ormai trentenne) la liberatoria per il passaggio in altre quadre del nord, che avrebbero facilitato il transito verso il professionismo. È da miopi, non riuscire a vedere l’impossibilità della realizzazione di un progetto ciclistico in Sicilia, data l’estremità, la mancanza di risorse, e innumerevole altre faccende che sarebbe lungo e penoso elencare.
Si sa, il ciclismo di Federazione in Sicilia, è difficile da praticare. Il ciclismo vero – non nel senso della fatica, ma della prospettiva futura – però è solo quello di Federazione. Chi vuole seriamente dedicarsi a questo sport per costruirci insieme una professione, deve abbandonare prima possibile questa regione periferica non solo geograficamente, e per il ciclismo: assolutamente marginale. Questi ragazzi di Sicilia, per poter esercitare, per farsi notare, devono andare a cercare le gare lontano, quasi sempre in continente. Lo spostamento non è disagio da poco. Oltre che impegno economico, anche in termini di accumulo di fatica, che incide notevolmente sulla prestazione agonistica.
Questo popolo entusiasta aspetta Bartolo Campailla e Lorenzo Verdirame.
Anche in una eventuale delusione sportiva, quegli appassionati gli daranno una ulteriore possibilità. Chi conosce questo sport, non può che pensare in questo modo, e a questi ragazzi – che con grande coraggio e risolutezza affrontano questa dura prova – le possibilità di provare vanno date tutte e sempre con magnanimità e benevolenza.
Questa esperienza da “emigrati dello sport” è indispensabile se si vuole provare a fare il salto nel ciclismo che conta, quello che scrive la storia e può dare da vivere. La Toscana – insieme alla Lombardia e al Veneto -, è il territorio dell’università del ciclismo. Questi ragazzi, che hanno volontà e determinazione, li vedremo di sicuro ai vertici delle classifiche. Hanno caratteristiche fisiche e attitudine nella specializzazione differenti. Bartolo, di struttura solida dalle lunghe leve, più passista veloce. Lorenzo, fisicamente leggero e longilineo, più adatto alle salite.
Il ciclismo, è la prova generale della vita, si diceva all’inizio. Ad un buona prima tappa, può seguire una brutta seconda tappa. Ci sarà comunque una seconda occasione e poi un’altra corsa e dopo l’ultima pedalata: un nuovo confronto. Non possiamo, le corse, perderle tutte.
Vorrei spiegare a Bartolo e Lorenzo, che scegliendo la passione per la bicicletta, ci siamo scelti una professione complicata e difficile. Il ciclista è esigente, disincantato, scettico per vocazione. È un pessimista ironico ed è convinto che ogni colpo di fortuna, verrà nel tempo pagato. Dico a voi due, miei cari, che perdere con classe è difficile, ma è meglio che perdere senza classe. Non esistono scuse o attenuanti nelle sconfitte. Vanno accettate e sapute accettare con serietà e giusta aria dignitosa. È facile perdere, molto, molto più difficile vincere. E nelle vittorie eventuali, passate il traguardo a mani basse, senza esaltazione esagerate (come Bugno ha insegnato). Pensate a tutte le innumerevoli volte vi siete confusi nella massa dei perdenti. E ricordate, che accadrà d’essere sconfitti in corse più importanti delle ciclistiche. Quindi tanto vale prepararsi, ad accettarle: “la sconfitta è il blasone dell’animo ben nato”, diceva un poeta argentino.
Il ciclismo, è la prova generale della vita.
Ellj Nolbia
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