Una mitica recente
di Un Uomo Libero.


Madrid – Per una fortuita occasione mi capita fra le mani un numero della rivista “SUDEST welcome magazine”, e precisamente il numero 6 allegato al periodico “Genia box.com”. Una rivista molto curata con belle foto e servizi sul Sudest siciliano. Fra gli articoli in essa pubblicati uno in special modo, a firma di Ros Belford dal titolo: “Un assaggio degli Aztechi”, ha catturato subito la mia curiosità.
In esso si fa la storia del cioccolato “modicano” e sinceramente si dà una versione che a me è sembrata non solo fantasiosa ma addirittura scandalosamente fuorviante.
A pag. 26 della rivista testualmente si legge: “Nel 17° secolo la moda del cioccolato eplose in Europa. A Londra come a Parigi e Madrid nacquero molte Cioccolaterie. I semi di cacao erano diventati un grande business. Agli Spagnoli serviva un luogo ideale più vicino casa per la coltivazione del cacao e la produzione del cioccolato. E dominando un vasto territorio, compresa la Sicilia, lo individuarono proprio a Modica. Qui, non solo il clima era simile a quello del Sud America, ma a poca distanza c’erano anche abbondanti riserve di pietra lavica, necessaria per macinare i chicchi, secondo l’autentico procedimento azteco. Modica diventò molto ricca e gli aristocratici modicani, noti per la loro stravaganza cominciarono a banchettare con piatti come la lepre cotta nel cioccolato e le ‘mpanatigghi etc”.
Fermo restando che qualsiasi pubblicista ha sempre il dovere di documentarsi seriamente prima di scrivere frottole suggerite da qualche spirito buontempone, mi chiedo dove l’autrice abbia attinto queste notizie che a mio modesto avviso risultano infondate e, anche, ridicole.
Mi sono occupato già del “cioccolato di Modica” pertanto non rifaccio la sua storia e rimando al mio articolo apparso su questo stesso giornale on line “Ragusanews” nel dicembre del 2009 dal titolo: “Cioccolato amaro. La vera storia del cioccolato modicano, che modicano non è.”
A memoria mia e dei testi che ho avuto la possibilità di consultare, non risulta da nessuna fonte storica che nel XVII e /o nel XVIII secolo a Modica o nella sua contea (grazie ad un clima particolarmente temperato ma che nulla ha a che fare con quello del Sud dell’America dove il cacao è coltivato) vi fossero piantagioni di cacao con produzione di fave di cacao e per questo la città navigasse tanto nell’oro da sprofondare negli stravizi insinuati dall’autrice. Né che il cioccolato di Modica sia stato così celebre e diffuso nella Sicilia del tempo. Il cioccolato a Modica e in Sicilia fu apprezzato esattamente come in tutta l’Europa. Le uniche fave coltivate a Modica sin dai tempi più remoti sono, invece, le fave cottoie (favi cucìvili), rinomati legumi secchi. Non solo. Le “mpanatigghi”, citate dall’autrice nel suo pezzo, sono grossi ravioli di pasta frolla confezionati anticamente dalle suore non per le mense opulente della nobiltà modicana ma per i padri predicatori della Quaresima. Le suore, infatti, pietosamente e ad insaputa dei predicatori, nascondevano in un ripieno di mandorla macinata, cacao amaro, zucchero e cannella una significativa presenza di carne finemente tritata, sostanza proibita in quel tempo penitenziale ma necessaria per dare forza, senza indurli nei rigori dell’Inquisizione, ai corpi emaciati di quegli uomini pii provati dal lungo cammino e dalle severe penitenze.
E che dire poi delle cave di pietra lavica? Servivano appena pochissime pietre per macinare le fave di cacao che arrivavano dall’Africa o dal Sud dell’America.
Il cioccolato “modicano” rischiò di scomparire proprio nella prima metà del Novecento e solo alla fine di questo secolo a qualcuno venne in mente di rilanciarne la produzione e di fare di questo scadente prodotto (in effetti, è un semilavorato per ottenere la cioccolata calda) un vero e proprio business. Anticamente, addirittura, neppure era così apprezzato -come oggi si vorrebbe dar ad intendere!- per il suo aspetto durissimo e granuloso (si chiamava, infatti, volgarmente “a pasta ro vitru” e non cioccolato!).
Che poi, ora, vogliamo ricamarci sopra è un altro affare.
Ma che si sappia che il “cioccolato modicano” di “modicano”, in effetti, non ha proprio nulla neppure le padelle dove abitualmente si amalgama.
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