Moda e Gossip
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04/09/2025 15:18

Morto Giorgio Armani, il re della moda: aveva 91 anni

di Redazione

Milano – Si è spento oggi 4 settembre, a 91 anni, Giorgio Armani. Era a casa in convalescenza dopo un ricovero ospedaliero, tenuto segreto sino all’ultimo. Se n’è andato come avrebbe sempre voluto, conoscendolo: lavorando. Pur non potendo partecipare alle sfilate maschili, ha infatti seguito le prove sino all’ultimo via Facetime, controllando i look e redarguendo i suoi collaboratori per non aver fatto sedere gli invitati per tempo, ritardando l’inizio dello show. Lui era fatto così.

Re Giorgio. Leggenda assoluta della moda, mito universalmente dello stile contemporaneo, liberatore delle donne, inventore di stili, mode e soprattutto modi di essere. Se proprio si deve fare un paragone, l’unico altro creativo ad aver tanto cambiato il costume è stata Coco Chanel. Quando si dice che l’opera di Armani è unica, è perché lo è. Nessuno come lui ha capito il proprio tempo, trasformandolo in abiti

Ha sempre detto quel che pensava, Giorgio Armani. Per lui veniva prima di tutto chi indossa i suoi vestiti, e solo poi la moda, le tendenze, le manie del momento. Ed è sempre stato così: sarà che ha fondato la sua azienda nel 1975, a 41 anni – un’età in cui di solito si hanno già le idee chiare -, ma è rimasto fedele al suo credo fino alla fine. Come quando, nel 2020 s’è scagliato contro gli stilisti che, forzando le donne a vestirsi secondo i trend senza badare a cosa sia giusto per loro, “stuprano” le loro clienti. Quando lo disse, successe il finimondo. Ma poi, tutti dovettero ammettere che sì, era vero. Quando Giorgio Armani parlava, lo faceva a ragion veduta.

Destino insolito, quello dell’aspirante medico nato a Piacenza l’11 luglio del 1934. Con i genitori nel ’49 si trasferisce a Milano, nel ’53 s’iscrive alla facoltà di medicina, ma dopo 3 anni arriva la chiamata alla leva. Tornato a casa, decide di non riprendere gli studi, e finisce per trovare lavoro in Rinascente, il grande magazzino milanese per eccellenza. Fa il vetrinista e il commesso, e lì sul campo impara come va fatta la moda, quella vera. Gli riesce talmente bene che nel 1965 Nino Cerruti lo assume e affida a lui, senza alcuna esperienza tecnica, la sua collezione. Il suo amico, compagno e partner finanziario Sergio Galeotti lo convince ad aprire uno studio di consulenza: le consulenze sono un mondo ben remunerato, ma popolato di fantasmi anonimi. La prima linea in cui compare il suo nome è quella creata per Sicons, azienda pellettiera. Lui e Galeotti capiscono che i tempi sono maturi per una collezione Giorgio Armani: il 24 luglio 1975 nasce il marchio con sede in corso Venezia. Due stanze, quattro scrivanie. Poche settimane dopo debutta in passerella con la primavera/estate 1976, al Plaza Hotel di Milano. Un trionfo per il marchio e pure per la città, che diventa il fulcro del p-à-p italiano.

Leggenda vuole che poco prima della sfilata decida di inserire dei capi a pois. È troppo tardi per produrli e allora, pennarello alla mano, li disegna lui stesso sul tessuto. «L’intuizione è tutto», dirà anni dopo ricordando quei momenti. «È la capacità di cogliere un sentimento, un’impressione tra le mille che s’affollano nel quotidiano, stabilendo una diversa relazione causa – effetto. Non c’è alcun percorso che non possa essere cambiato, perché la moda è attualità e comunicazione. Ma non per seguire le manie del momento, quanto per esprimere meglio i miei concetti». E fa bene, per l’appunto. La sua moda molto più moderna e rifinita è la formula ideale per quei tempi alla ricerca di una nuova identità: le donne sono più forti e potenti, gli uomini sempre meno “inscatolati”. Con Armani i confini estetici tra generi si confondono, senza però mai cadere nella pantomima.

Nel 1980 lancia il simbolo della sua rivoluzione, quella con cui sfonda: la giacca destrutturata. Prende le classiche costruzioni sartoriali e le svuota, le rende morbide, avvolgenti, comode senza perdere la silhouette. È esattamente quello che di cui le donne hanno bisogno, solo che ancora non lo sapevano. Un successo talmente planetario che nel 1982 Time gli dedica una copertina. Prima di lui era successo solo a Christian Dior. Anni dopo giudicherà quella cover troppo prematura. «Al momento ne rimasi sconcertato, mi sembrava impossibile, un’esagerazione, pure un po’ imbarazzante: avevo ancora troppe cose da dire, onestamente l’avrei meritata qualche anno dopo». Il suo punto di vista è comprensibile, ma pensando a quello che è stato capace di fare, non era né prematura né eccessiva. Perché l’impero di Giorgio Armani si ramifica, cresce fino ad attirare anche i più giovani, diventando un riferimento del loro linguaggio.

Nel 1981 alla prima linea s’affianca Emporio Armani, quella pensata per i giovani: i jeans, le felpe e gli accessori con il logo dell’aquilotto diventano uno degli status symbol della nuova generazione, con il negozio in via Durini vera e propria meta di “pellegrinaggio” degli appassionati. E poi c’è il jeans, e più di recente la linea sportiva EA7, adorata dai più giovani, con cui veste anche la squadra italiana alle Olimpiadi (per non parlare dell’Olympia, la squadra di basket che acquista nel 2008). Nel 1991 disegna pure le divise Alitalia, rendendo la compagnia di bandiera tra le più eleganti del mondo. Nel 2005 debutta a Parigi con la haute couture: è emozionato, tanto, ma la sua Armani Privé diventa subito il riferimento delle star sul red carpet e delle poche, fortunate donne che comprano l’alta moda.

Armani non ha cambiato solo la moda, ma il modo di comunicarla: inventa con la sorella Rosanna l’EA Magazine, la prima rivista di un brand con contenuti editoriali; è il primo marchio di lusso a usare le affissioni in giro per le città, come il muro in via Broletto, a Brera, che occupa dal 1984. Quando lo fa gli danno del pazzo, perché all’epoca a investire in affissioni erano i marchi di elettrodomestici e (talvolta) i film: sono quasi cinquant’anni che è ancora lì, ed è diventata un simbolo della città. E poi c’è l’hangar Emporio Armani di Linate, con l’enorme scritta che dal 1996 saluta chi atterra e parte dall’aeroporto, e dove nel settembre 2018 il designer sfila con le linee Emporio uomo e donna: aeroporto quasi bloccato, voli deviati, esibizione a sorpresa di Robbie Williams, migliaia di invitati sugli spalti a ridosso della pista.

Ancora, c’è la linea casa, che nel 2010 si evolve fino a diventare una catena di hotel di lusso, gli Armani Hotel, 5 stelle dal lusso non esibito, che a loro volta hanno aperto la via ai primi condomini, ovviamente sempre di lusso, firmati Armani. D’altronde gli spazi per lo stilista sono sempre stati fondamentali: alla sede in via Borgonuovo aggiunge nel 2000 la sede in via Bergognone, negli ex-spazi Nestlé, con annesso il Teatro progettato da Tadao Ando. Di fronte, nel 2015, inaugura il Silos, spazio dedicato a mostre di fotografia, moda e design. L’ultima mostra in corso è quella dedicata ai vent’anni di Armani Privé, inaugurata lo scorso maggio e curata dallo stesso designer, che ha passato tutta la notte prima dell’inaugurazione a sistemarla.

Ancora, c’è il rapporto con il cinema, che ha spinto ancora di più la sua visione: inizia nel 1980 con American Gigolò, e non si ferma più. Gli Intoccabili, the Wolf of Wall StreetThe social network. Nel 1992 veste Jodie Foster agli Oscar, quando l’attrice viene premiata per il ruolo ne Il silenzio degli innocenti: le prime avvisaglie di come il red carpet si trasformerà di lì a poco in una passerella d’alta moda. Ma, al di là delle star che veste, è Armani stesso un divo: spesso viene fermato dai fan, a cui non pare vero di vederlo di prima mattina, nella vetrina della sua boutique in via Sant’Andrea, intento a sistemare i manichini. Lui non si nega mai a una foto, a un autografo, a un saluto.

Il suo lavoro per lui è tutto, non ha difficoltà ad ammettere d’averle sacrificato la sua vita personale. Ma, aggiunge, «Provare rimpianti è un sentimento inutile, che fa male. Riflettere suoi comportamenti passati aiuta però a crescere, e io penso ora di riservare più tempo alla mia vita privata, ai miei affetti: i miei familiari, gli amici, quelli che mi interessano, ma rifarei tutto».

Nel 1985 viene a mancare Galeotti: muore di Aids in un ospedale fuori Parigi. Un colpo durissimo per lo stilista che oltre al dolore immenso, si trova a gestire il momento di massima espansione del brand. Ma ci riesce, eccome. Perché non è da solo: ci sono la sorella Rosanna, suo figlio Andrea Camerana, le nipoti Silvana, che cura il womenswear, Roberta, che cura le celebrities. E c’è Leo Dell’Orco, responsabile del menswear e tra i primi dipendenti del marchio. È suo l’anello con diamante che lo stilista indossa sempre. Sono loro gli eredi designati dallo stilista quando le voci sul futuro dell’azienda si fanno sempre più forti e contrastanti: proprio per metterle a tacere una volta per tutte, il designer crea una Fondazione gestita dalla famiglia, a cui spetta il compito di decidere destino dell’universo Armani ora che il suo centro non c’è più. Negli anni sono molte le smentite che lo stilista fa riguardo la sua successione: si parla di una vendita a L’Oreal, di un fondo, e poi di una fusione con Ferrari, per la creazione di un vero polo del lusso italiano. Ma Armani è sempre secco nello smentire: il brand rimane alla famiglia. Anche qui la sua autorevolezza non è mai in discussione: il suo carisma, la sua esperienza, la posizione che occupa nell’immaginario del pubblico gli permettono di essere sempre ascoltato. Esemplare quello che accade con la pandemia, nel 2020: il 23 febbraio, quando il Covid inizia a fare davvero paura, ma non si è ancora capito fino a che punto, è il primo stilista a rinunciare alla passerella dal vivo – è in corso proprio la fashion week milanese – per sfilare a porte chiuse e mettere così in sicurezza ospiti e impiegati. Ancora: è il primo con una lettera aperta a invocare un rallentamento dei ritmi frenetici della moda, e a dare l’esempio donando milioni alle associazioni di beneficenza che si occupano di supportare la popolazione in difficoltà e ad avviare nei suoi stabilimenti una produzione di camici ospedalieri monouso, diventati praticamente impossibili da reperire durante i picchi del contagio. Lui c’è sempre, in prima fila, e questo il pubblico se lo ricorderà sempre. Non è un tipo da smancerie, i suoi gesti sono sempre sinceri e sentiti.

Lo dimostra ancora una volta nel febbraio 2022, a pochi giorni dall’inizio della guerra in Ucraina, quando sfila senza musica in segno di rispetto per le vittime del conflitto, e si commuove fino alle lacrime davanti ai giornalisti pensando ai bambini sotto le bombe. La sua chiarezza d’intenti, lo rende sempre più amato: la gente capisce come lui creda in quello che dice e in quello che fa. Lo dimostra l’entusiasmo quando, nel maggio 2023, l’Università Cattolica della sua Piacenza gli attribuisce la laurea honoris causa in global business management: la folla di concittadini e universitari accorsi ad applaudirlo blocca mezza città.

Con lui è sempre così: quando nel settembre dello stesso anno sbarca a Venezia con una sfilata speciale della sua Armani Privè, passa le giornate affacciato al ponte del suo yacht e a terra a salutare, abbracciare e lasciarsi fotografare con i suoi tantissimi ammiratori. Ma non è un sentimento limitato solo al grande pubblico: gli addetti ai lavori lo stimano, lo lodano, lo ammirano. Anche se i suoi giudizi nei loro confronti spesso non sono teneri, nessuno mette in dubbio la sua grandezza e la sua etica.

I novant’anni li celebra, a luglio, con una festa assieme a tutti i suoi dipendenti. Per chiunque i novanta sarebbero un traguardo finale. Per lui, no. La haute couture Armani Privé presentata a Parigi pochi giorni prima del suo compleanno è considerata la più bella sfilata della stagione; e a ottobre, instancabile, presenta la Giorgio Armani donna p/e 2025 non a Milano, come di consueto, ma a New York. E poi a gennaio c’è stata l’alta moda, nel nuovo palazzo affacciato su rue Francois 1er, e poi la donna a febbraio, e l’uomo a giugno, dove , come si diceva, per la prima volta è mancato. Si stava preparando però a sfilare con la couture a Parigi: ci teneva a farcela. Aveva già detto che, forse, a 92 anni avrebbe fatto un passo indietro, per riposarsi un po’. Conoscendolo, avrebbe trovato di sicuro qualcosa da fare.