Bocca commise il grande e imperdonabile errore di pensare l'Italia così. Con categorie antistoriche e teorie obsolete
di Un Uomo Libero

Solo oggi, giorno di Santo Stefano 2011, apprendo dai giornali la morte del giornalista Giorgio Bocca. Leggo in Internet anche il messaggio di cordoglio del Capo dello Stato Giorgio Napolitano alla famiglia del giornalista-scrittore.
Giorgio Bocca è stato uno degli ultimi sopravvissuti di un giornalismo italiano che oggi ritengo fortunatamente scomparso (qualcuno ancora resiste come ultimo epigono) e che ha pesantemente ipotecato il giudizio e la lettura della nostra storia.
Avevo imparato a leggere Giorgio Bocca già dalla mia più giovane età, sfogliando prima le pagine de “Il Giorno”, poi de “L’Europeo” e, in seguito, de “L’Espresso” e di “La Repubblica”.
Confesso che mai ho condiviso le impostazioni dei suoi articoli, le polemiche strumentali dei suoi attacchi giornalistici, l’ostilità preconcetta verso un Sud accattone, millenariamente povero, concepito e pensato come il cimiciaio di una repubblica nata per magia da un’eroica lotta esclusivamente partorita in area cisalpina.
I suoi attacchi sprezzanti al Meridione, intrisi di odio razziale e di altezzoso perbenismo sabaudo, mi hanno suggerito sempre la figura gattopardiana di Chevalley, modesta e povera sintesi di una politica cavouriana ignorante, limitata e gretta, degna controfigura di chi ha solo trattato il resto dell’Italia come un’unica grande provincia di un piccolo e fallimentare impero con la mente a Torino e il cuore a Milano.
Bocca commise il grande e imperdonabile errore di pensare l’Italia così. Con categorie antistoriche e teorie obsolete.
Chiuso in un delirio partigiano di perpetua “resistenza” al divenire dei tempi, non si era accorto che l’Italia intanto cambiava con tutti i pro e i contro che ogni cambiamento politico e sociale comporta. Ostinandosi anche a negare o a ignorare la Storia.
Da oggi riposa nel grande pantheon delle memorie.
La Storia, quella vera, saprà fare piazza pulita delle sue parole, non gli uomini, suoi contemporanei, che l’hanno inspiegabilmente assecondato, non il Presidente della Repubblica che in nome di tutta l’Italia ne ha esaltate discutibilmente la figura e l’opera.
Il silenzio, inseparabile compagno della morte, saprà dare la giusta risposta a me e a quanti, cittadini del Sud, ci siamo sentiti immeritatamente offesi negli anni dal suo sciocco e ingiustificabile orgoglio.
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