Le multinazionali e il dialogo culturale
di Giuseppe Savà
Modica – Un mio amico diceva la scorsa settimana che il “sistema Modica” è in crisi da tempo, esattamente da quando ha chiuso il McDonald.
Il mio amico dice che non è vero che le scacce hanno sconfitto il panino del signor Mc, è vero invece che quella chiusura segnò l’inizio del declino della città locomotiva della provincia, la città del cioccolato diverso e più buono, quella che oggi si identifica invece con le kebabberie al corso, piuttosto che con le botteghe dei panzerotti di Fichera.
E’ di questi giorni una nuova vertenza sindacale, di cui i media per la verità non stanno ancora parlando, che vede i lavoratori della Technicolor lottare per il loro posto di lavoro in uno degli stabilimenti in cui è passato il cinema italiano, quello che ha fatto la storia del grande schermo, nel mondo. La Technicolor di via Tiburtina, a Roma.
Cosa vuol dire la chiusura di Technicolor?
E’ come se a Modica chiudesse l’antico caffè Bonaiuto.
E’ il sintomo di un Paese che perde, insieme a Cinecittà, un suo asset storico, un patrimonio culturale che è del tessuto sociale della comunità.
Anche Technicolor, come Mcdonald, è una multinazionale, ma è una multinazionale che con la tradizione artigianale del cinema neorealista e postneorealista italiano ha trovato un senso e una ragion d’esistere.
Non così per i signori del Cheesburger, che non hanno capito che qui a Modica avrebbero dovuto sposare il centro storico, piuttosto che la periferia, la razza modicana, piuttosto che la chianina.
Il tema è come le multinazionali riescono a fare sintesi culturale con il territorio che le ospita.
Lo smarrimento di Modica, la sua perdita di identità, come motore e riferimento, è nell’incapacità della sua classe dirigente di trovare il bandolo della matassa: una borghesia intellettuale snob e autoreferenziale, battuta dalla massericia dei praticoni, che annunciano querele agli organi di informazioni non allineati.
La nostra solidarietà ai modicani volenterosi, e ai lavoratori di Technicolor.
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