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19/11/2013 20:42

Adriana Faranda. Gli uomini e la storia

I puniti e gli impuniti

di Un Uomo Libero.

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Adriana Faranda
Adriana Faranda

Madrid – Non conosco la signora Faranda, non m’interessa conoscerla. Se mi trovassi a Modica, andrei a visitare la sua mostra come abitualmente faccio con qualsiasi artista che espone i suoi lavori.

Il passato di questa donna non m’interessa, anche se per un tempo il suo nome riempiva le cronache dei giornali che leggevo.

Ho letto su Ragusanews le parole di chi la condanna e la rifiuta per i suoi trascorsi e di chi, invece, la accoglie credendo in una sua convinta riabilitazione.

Machiavelli sosteneva tanto nel Principe quanto nei Discorsi che bisogna guardare al passato, alla Storia, per comprendere il presente e plasmarlo, tenendo conto dell’intrinseca cattiveria degli uomini.

Chi si scandalizza oggi per il ruolo della signora Faranda in quello che fu l’”affaire Moro”, dovrebbe ricordare che quella vicenda ebbe tanti colpevoli, alcuni puniti come la signora e altri invece riveriti, temuti, lasciati a gestire un potere che si era macchiato del sangue innocente di un padre di famiglia.

Quanti giusti sono stati sacrificati dallo Stato alla mafia, alla delinquenza organizzata, all’oscura strategia politica?

Nessuno ha pagato per le numerose stragi di quell’Italia inquieta che oggi forse capiamo di più.

Nessuno ha pensato mai di cancellare dal cuore e dalle strade una memoria di sangue troppo spesso spacciata per Risorgimento, patriottismo, liberazione dall’oppressore.

Bixio e Garibaldi sorridono beffardi nelle nostre belle piazze siciliane, con la complicità di storici in mala fede che hanno, per oltre un secolo, ingannato con i loro libri generazioni d’italiani.

La Storia è la Storia. Purtroppo!

Cesare Beccaria sosteneva che la pena doveva essere pronta, certa ma rieducativa per riportare l’uomo alla virtù.

La signora ha saldato il debito con le istituzioni. Gli sconti non sono così importanti quando è in ballo una vita spezzata. Dieci o venti anni di galera o tutta una vita servono a poco se, poi, il rimorso sarà un compagno inseparabile che agita la coscienza nelle inevitabili tempeste esistenziali.

Voglio credere che l’arte possa sublimare questo rimorso. Lo fece sicuramente in Caravaggio, per citare un esempio talmente noto che non ha bisogno di altra spiegazione.

Oggi sarebbe sciocco rifiutare Caravaggio perché la sua pittura è stata espressione di un’aggressività che spesso diede la morte.

Ma siamo uomini, come sosteneva sapientemente Machiavelli. 

Ho letto invece del Giudice Santiapichi. Fu il suo giudice, in quel tempo, l’uomo che dovette giudicarla e, nel nome del popolo italiano, condannarla.

Deposta la toga, quest’uomo meraviglioso, che appena conosco e che fa onore non solo a Scicli ma all’Italia tutta, la cerca e la incontra, dove espone le sue opere, là, dove davvero lei è autentica e rinnovata.

Per fare tutto questo bisogna trovare, però, un supplemento d’anima che un uomo normale difficilmente possiede, che solo gli esseri superiori esprimono.

Bisogna porsi fuori dalle categorie della Storia.