Riceviamo e pubblichiamo
di Redazione


Scicli – Gentile redazione,
sono uno sciclitano non mafioso e, soprattutto, sono uno sciclitano per nulla preoccupato che il Comune sia sciolto per mafia. Perché io, ci tengo a ripeterlo, non sono mafioso, come non lo sono tanti tra coloro che, in questi giorni, e non se ne capisce il perché, hanno vestito i panni dell’agiografo di città. Io invece non me la prendo e continuo a dormire sereno se l’autorità preposta scioglie o potrebbe sciogliere, in via preventiva, e a tutela della democrazia, l’ente Comune.
Aggiungo, a scanso di supposizioni, che non ho svolto il ruolo di consigliere comunale e nemmeno quello di assessore et similia; pertanto le vampate d’imbarazzo che possono provare nostri rappresentanti politici, con tutti e due i piedi nella rovente graticola dello scioglimento, non le sento addosso.
Scrivo, per esporre la mia modesta opinione, che forse corrisponde a quella dei 26 mila e più sciclitani che non hanno firmato la petizione contro lo scioglimento. Siamo stati in tanti a non aver sottoscritto la supplica al Presidente della Repubblica per non favorire lo scioglimento del Comune, lo so. Ventiseimila sciclitani che hanno deciso di non inginocchiarsi davanti all’altare delle distorte preghiere, sono davvero tanti. O forse sarebbe stato più corretto scrivere: tutta la città di Scicli non invoca alcuna pietà, non ha bisogno di mettere una buona parola. Tutti, tranne il commissario Montalbano, il rassegnatissimo Rosario di Elio Vittorini assieme alla cortigiana Odeida e alla gran signora Rea Silvia, con Topolino, Pippo, Orazio e Clarabella. Scicli, a farla breve, non teme lo scioglimento! E perché mai, gli sciclitani veramente onesti e laboriosi, dovrebbero averne paura?
Posto che ho personale e umana simpatia per Franco Susino, cui auguro di uscire, in sede dibattimentale, dalla vicenda giudiziaria che lo vede inquisito per concorso esterno in associazione mafiosa, per un’assoluzione che gli restituisca l’onestà e la correttezza per le quali molti l’hanno votato, mi chiedo: cosa avrebbe dovuto fare la politica in luglio, quando il nostro sindaco fu raggiunto da avviso di garanzia?
La risposta è semplice: occorreva prendere le distanze, decidere per le dimissioni in massa. Giunta e consiglio, avevano il dovere di sgomberare il campo da ogni seme di dubbio. Anzi, oltre ogni ragionevole dubbio. “Il sindaco sarebbe andato alla Suburra a chiedere voti, a firmare patti scellerati? Noi facciamo un passo indietro!”. Questo avrebbero dovuto dire assessori e consiglieri invece di abbandonare un capro espiatorio. E invece, qual è stata la reazione della maggioranza bulgara di cui il sindaco si è presto circondato? “Andiamo avanti, noi siamo i salvatori della città”. Con il primo cittadino raggiunto da un avviso di garanzia e poi rinviato a giudizio per concorso esterno per mafia? È forse questo il giusto modo di praticare la via, chiaramente impervia, della responsabilità del mandato elettorale? Facendo da supporter a chi, passatemi il gioco di parole, non poteva essere politicamente più supportato perché sotto scacco da parte della magistratura?
Angelino Alfano ci dirà a breve quali interessi dovevano salvare i “salvatori”, e verso quali responsabilità son venuti meno i “responsabili”, che poi sempre di quella dozzina di persone parliamo, e forse ce lo dirà ancor di più la Procura di Ragusa, cui la triade e il Prefetto hanno passato le centinaia di pagine di risultanze di sei mesi di indagini. La Fase Due dell’affaire Scicli deve ancora iniziare e non è detto sia solo un fuoco fatuo. E la vera tempesta giudiziaria deve ancora venire. Quanti oggi si strappano le vesti e digrignano i denti per l’oramai chiaro, imminente e ineluttabile scioglimento devono solo recitare il mea culpa: quelli che tengono famiglia e mogli, quelli che attendono indennizzi milionari dall’ente, quelli che hanno vissuto in maniera casereccia la vicenda amministrativa. Loro hanno paura di essere sciolti, temono la separazione giudiziaria dal potere, tremano al sol pensiero di essere allontanati dal ponte di comando: perché sanno che il loro asset di interessi ne sarebbe travolto, coi loro conti in banca elusi e quelli in tasca delusi. Sarebbe più onesto, per loro, recitare il “me culpa”. Purtroppo, fra di loro, ci sono anche quelli in buona fede. Quelli che nel bestiario delle amenità hanno scritto che ci tolgono l’Unesco, ci impiantano una discarica in Piazza Italia, ci fregano i soldi che ci deve Modica, che a Pasqua il Gioia non esce e che alla Madonna delle Milizie cadranno i capelli. Ci dispiace, ma a Scicli non siamo buontemponi, disposti a credere come Giufà che piova uva passa dal cielo. L’altro giorno sentivo in radio un tizio che si lamentava: “Se Papa Francesco si dimette, il turismo a Roma calerà”. Ecco, il problema di Scicli non è la legalità, la trasparenza, la possibilità per i giovani professionisti di trovare lavoro e porte degli uffici pubblici aperte. Il problema è il turismo e su questo si basa, in larga parte, il documento formato da 1100 cittadini!
Il nuovo dio cui siamo disposti a sacrificare tutto, anche la dignità di cittadini che desiderano una città a misura di cittadino, prima che a misura di turista. Voglio terminare la riflessione con un antico proverbio siciliano che esprime e sintetizza come nessun’altra frase mai il mio rifiuto a firmare: “Ariu niéttu, nun si scanta re trona.” L’animo pulito, come il cielo terso, non ha paura dei fulmini. E dunque, Ad maiora!
Spaventa, invece, l’improvvisazione della politica sciclitana. Spaventa la fecondazione artificiosa di intelletti nel ventre già pregno della casta. E spaventa, soprattutto, la differenza sempre più marcata tra i portatori sani d’interessi propri e la cittadinanza. Quella veramente onesta. Quella indiscutibilmente operosa. Quella umile, quella laboriosa.
© Riproduzione riservata