Il caso di Angelo Giacchi
di Valentina Raffa
Vittoria – È un autentico mercato di beni svenduti. Enormi patrimoni finiscono per essere acquistati per pochi spiccioli. Cosa prova chi vede strapparsi un bene realizzato in anni di sacrifici? “Più che fregatura è un’ingiustizia – dice Angelo Giacchi, imprenditore di Vittoria, la cui azienda è finita all’asta -. La giustizia, per quanto riguarda gli incanti pubblici, è rapidissima. E ci si ritrova dinanzi un muro, quello degli istituti di credito, che non concedono accordi. Se ricorri al tribunale, invece, passano anni prima di avere un responso sulla correttezza o meno della procedura a tuo carico. Paradossalmente potresti avere ragione, ma ormai l’azienda è andata”. Perché i suoi beni sono all’asta? “Dal 1983 tiro su l’azienda storica di famiglia di produzione d’ortaggi. Tanti investimenti, operai, le tasse ed ecco un debito di 1 milione e 100mila euro a fronte di un capitale stimato di 6 milioni. Ho fatto il giro delle banche per un accordo e ho ricevuto porte in faccia”. Cosa è stato messo all’asta? “Tutto quanto. Da imprenditore onesto, ho fatto fideiussioni di garanzia sull’intero capitale. Non c’è un bene libero: 2 appartamenti, un terreno di 10mila mq, un altro edificabile di 3.500 mq e l’azienda, ossia 2 impianti di condizionamento per produrre ortaggi, tra cui il noto ciliegino di Pachino”. A quanto sono stimati i beni? “Un capannone del 2005 che vale 1 milione e 700mila euro è all’asta a 320mila euro, e uno del 2002 di 1 milione e 300mila se lo aggiudicheranno per 220mila. Ogni 90 giorni i beni subiscono un deprezzamento del 25%”. Cosa la tormenta di più? “Il fatto che non sia solo io con le spalle al muro. Si vorrebbe fare un tentativo di aprire un’azienda a uno dei miei figli. Ma c’è una black list in cui è inserito il mio cognome. Inoltre, sono rimasti a casa 90 dipendenti, che, confidando nello stipendio fisso, hanno aperto mutui, e ora accumulano debiti”.
Da Il Giornale
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