Queer uguale libertà. Il termine che in queste ore sta rimbalzando prepotentemente dopo la morte della scrittrice Michela Murgia e il messaggio che ha voluto lasciare nei suoi ultimi mesi di vita, deriva dall’inglese, letteralmente significa «eccentrico, insolito o bizzarro».
Nel corso del tempo e nell’uso comune però ha assunto diverse accezioni, anche negative nei confronti degli omosessuali. Secondo l’Oxford English Dictionary la parola è stata usata come «modo offensivo di descrivere una persona gay, in particolare un uomo».Qualcosa che ha a che fare con la stranezza e la diversità; un modo per identificare e, in questo caso, denigrare l’altro. Queer si diffonde nel mondo anglosassone a partire dagli anni Cinquanta come insulto, mentre in Italia il termine si fa conoscere, già a partire dagli anni Settanta, con una connotazione non necessariamente negativa.
Solo negli anni Novanta il termine si estende nel resto d’Europa, reso popolare dal gruppo di attivisti inglesi QueerNation, nato a New York per rispondere alla violenza e ai pregiudizi nei loro confronti. La parola Queer si trasforma, cambia, muta. Non più un insulto, ma un modo per dare un nome a un movimento, a un pensiero sempre più forte. Prende piede la Teoria Queer, una visione critica sul sesso e sul genere. Con quest’espressione - coniata da Teresa de Lauretis nel 1990 - si intende sfidare la pratica comune di dividere in compartimenti separati la descrizione di una persona, al fine di inserirla in una o più particolari categorie definite.
Queer si avvicina intrinsecamente sempre più al concetto di libertà. Libertà di espressione, libertà sessuale, libertà nel vivere i rapporti, i ruoli, la famiglia. Ed è così che si arriva alla famiglia Queer di cui ha parlato Murgia. Murgia, in un’intervista rilasciata a Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera, aveva spiegato di desiderare di trascorrere il tempo che le rimaneva insieme alla sua ‘famiglia queer’, una sorte di comune o famiglia allargata, composta nel suo caso da dieci persone, con le quali non si ha un legame di sangue ma di spirito.
La visione di Michela Murgia
Nella visione murgiana si intende una nuova idea di nucleo familiare, che sfida stereotipi, convenzioni e leggi. Vivere in una famiglia ‘queer’ significa vivere sotto lo stesso tetto insieme ad altre persone per scelta e non per costrizione sociale o culturale, indipendentemente dal genere o orientamento sessuale. Significa condividere emozioni e pensieri, amore e rabbia, con chi ha con te un’affinità mentale, spirituale, intellettuale. Significa amare ed essere amato nel modo più libero possibile.
La scrittrice, morta all'età di 51 anni, il 15 luglio aveva sposato Lorenzo Terenzi in articulo mortis spiegando: "Se avessimo avuto un altro modo per garantirci i diritti a vicenda non saremmo mai ricorsi a uno strumento così patriarcale e limitato, che ci costringe a ridurre alla rappresentazione della coppia un'esperienza molto più ricca e forte, dove il numero 2 è il contrario di quello che siamo". La sua casa ha accolto non solo i parenti ma anche amici, colleghi, persone che ha amato e che l'hanno supportata.
Il matrimonio con Terenzi
Voleva "arrivare viva alla morte" Michela Murgia, lo aveva promesso nell'intervista a Il Corriere della Sera, e così ha fatto, senza rinunciare, fino alla fine, a prendere posizione, a far sentire la sua voce, a raccontare sul web tanti piccoli e grandi atti di gioia, di dolore, di protesta, fino alle nozze del 15 luglio in articulo mortis con Lorenzo Terenzi e alla festa con la sua famiglia allargata. Una celebrazione con gli invitati tutti in bianco e la scritta "God save the queer" ricamata con perline sul suo abito fatto da Maria Grazia Chiuri, la stilista di Dior. "Non è una festa", aveva detto Murgia sposando Terenzi, attore, regista, autore e musicista conosciuto nel 2017 grazie a uno spettacolo teatrale. "Lo abbiamo fatto controvoglia: se avessimo avuto un altro modo per garantirci i diritti a vicenda non saremmo mai ricorsi a uno strumento così patriarcale e limitato, che ci costringe a ridurre alla rappresentazione della coppia un'esperienza molto più ricca e forte, dove il numero 2 è il contrario di quello che siamo. Niente auguri, quindi, perché il rito che avremmo voluto ancora non esiste. Ma esisterà e vogliamo contribuire a farlo nascere".