Ragusa -Per una colonscopia in provincia di Ragusa ci sono cinque, anche sei mesi di attesa.
Ci siamo calati nella parte del paziente che ha bisogno di alcuni esami diagnostici per curarsi e il nostro giornale ha verificato che le attese sono ancora una volta di sei mesi per alcune specifiche risonanze magnetiche, per la prenotazione di visite endocrinologhe, per esofagogastroduodeno, per elettromiografia.
In questi casi, il paziente viene respinto per la chiusura della lista d’attesa (qualcuno la chiama indisponibilità).
Ma la legge prevede che le liste di attesa debbano restare aperte, in segno di trasparenza.
Oggi, nel ragusano, ottenere la prenotazione al Centro Unico Prenotazioni (CUP) per alcune prestazioni d’accesso è un’autentica impresa. Lo abbiamo verificato e il nostro viaggio nel mondo delle prenotazioni ha messo a nudo le criticità del sistema.
Inizio da qui il mio racconto in prima persona.
Sono il paziente Gabriele e attendendo il mio turno in fila allo sportello: la maggior parte degli utenti che mi precede viene respinta con la formula della “lista d’attesa chiusa”.
Negli anni questo odioso disservizio è stato più volte segnalato dai cittadini e dagli Amministratori locali ai vertici della Asp e ai vertici della Regione, purtroppo senza alcun risultato.
E dire che la chiusura delle liste d’attesa in linea di principio è punita dalla legge 266/2005 art. 1 commi 282 e 284, ma il dispositivo sanzionatorio previsto dalla norma è totalmente inefficace.
A questo punto, che fare?
Il malcapitato ha davanti a sé quattro alternative.
La prima è quella di tornare di nuovo al CUP e ritentare la fortuna, nella speranza che qualche lista si “riapra”.
La seconda opzione prevede la rinuncia, immaginando, se non c’è urgenza, di fare a meno della prestazione suggerita dal medico pur di non sottoporsi alla lotteria delle prenotazioni, in questo invalidando le politiche della prevenzione.
La terza via consiste nel rivolgersi a qualche politico per individuare una scorciatoia attraverso “vie ufficiose”: è la fortuna di alcuni.
Infine, c’è una quarta possibilità, quella sempre più diffusa e praticata: rivolgersi a strutture private, pagando la prestazione.
Ma la beffa delle “liste chiuse” non finisce qui.
Si creano infatti fenomeni distorsivi sulle statistiche relative alle prestazioni sanitarie e ai tempi di risposta.
Il mancato tracciamento di una buona parte della domanda di prestazioni falsa i dati di partenza e quindi i risultati di fine anno.
Ovvero, se un certo numero di utenti si vede costretto a rivolgersi alla sanità privata oppure rinuncia alla prestazione, è chiaro che tale numero finisce con l’essere escluso dalle statistiche.
Di conseguenza viene a mancare nei computi proprio quel segmento di domanda in deficit di risposta, che allungherebbe i tempi medi di attesa e andrebbe con la propria presenza a peggiorare le performance ufficiali di aziende sanitarie e Regioni.
Una situazione paradossale. Il paziente rinuncia a priori a dire di essere malato perché sa che la sanità pubblica non lo curerà.